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The Fabelmans: com’è il film autobiografico di Steven Spielberg

The Fabelmans arriverà il 22 dicembre nelle sale italiane, distribuito da 01 Distribution.

Non è un caso che negli ultimi anni molti autori abbiano realizzato opere autobiografiche, incentrate soprattutto sugli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Fra i primi c’è stato Alfonso Cuarón, che con il suo Roma ha messo in scena una toccante rielaborazione della sua stessa esperienza a Città del Messico. A inserirsi in questo filone sono poi arrivati, fra gli altri, Paolo Sorrentino con È stata la mano di Dio, Richard Linklater con Apollo 10 e mezzo e Paul Thomas Anderson con Licorice Pizza. Legittimo dunque interrogarsi sulle motivazioni di questa tendenza, che forse, in un momento particolarmente critico per il cinema e per il genere umano, risiedono nell’impossibilità di vedere un orizzonte davanti a sé e nella conseguente scelta da parte dei registi di rivolgere il loro sguardo all’indietro. Proprio l’orizzonte è al centro di una scena di un’altra sublime opera autobiografica, The Fabelmans di Steven Spielberg.

«Dov’è l’orizzonte? Quando l’orizzonte è in basso, è interessante; quando è in alto, è interessante. Quando è al centro, è fottutamente noioso», dice nientepopodimeno che John Ford all’emozionatissimo giovane Sammy Fabelman, chiaro alter ego dello stesso Spielberg. Uno dei tanti picchi emotivi di un racconto sul cinema e di cinema, vera e propria ragione di vita per il piccolo Sammy, che nasce in lui durante la visione in sala della celeberrima sequenza dell’incidente ferroviario ne Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille. Una sorta di imprinting per Sammy, che conferma la tesi espressa da David Lowery nel recente brillante documentario Lynch/Oz, secondo cui ogni regista nel corso della sua carriera cerca continuamente di replicare i film responsabili della sua spinta verso la settima arte.

The Fabelmans: il film autobiografico di Steven Spielberg è un regalo per gli amanti del cinema

The Fabelmans

L’emozione provata da Sammy spinge infatti il padre Burt (un formidabile Paul Dano) a comprare un trenino elettrico, in modo da permettergli di riprodurre infinite volte quel momento. I bambini però non sono portati alla conservazione degli oggetti e dell’ordine, e ben presto infatti Sammy finisce per creare un insopportabile trambusto in casa. A risolvere il problema è una brillante intuizione della madre Mitzi (Michelle Williams, eccellente come sempre), che regala al figlio la prima macchina da presa, con cui Sammy riprende il movimento del treno e alimenta il suo desiderio di creazione e controllo. Nasce così l’indissolubile rapporto del protagonista col cinema, parzialmente osteggiato dal padre (che pur affascinato dal lato tecnico del cinema lo considera solo un hobby) e stimolato invece dalla madre, alle prese però con il disagio psicologico dovuto al suo sentimento per Bennie Loewy (Seth Rogen), amico e collega di Burt.

A ben vedere, il senso di The Fabelmans è tutto in questo incipit ad ambientazione familiare, e in quelle emblematiche dediche di Steven Spielberg sui titoli di coda “Ad Arnold” e “A Leah”, ovvero i suoi genitori morti pochi anni fa. Da una parte il padre di Spielberg (realmente ingegnere elettronico), espressione del raziocinio e della tecnica, ma anche dell’arte di ottenere ottimi risultati con trucchi semplici e artigianali (uno dei momenti in cui Sammy e Burt si trovano più in sintonia è quando il giovane bucando la pellicola ottiene l’effetto dello sparo in un suo film amatoriale). Dall’altra la madre (che ha divorziato da Arnold quando Spielberg era un ragazzo), simbolo del cuore e della spinta all’arte e alla narrazione. In mezzo il cinema, che per Sammy/Steven non è né un hobby né una passione, ma l’unico filtro con cui guardare la realtà.

The Fabelmans: il potere salvifico del cinema

Il cinema si trasforma in uno strumento di espressione e comunicazione per un bambino timido e senza amici, sballottato fra uno stato e l’altro per via dei trasferimenti lavorativi del padre. Ed è lo stesso cinema, sotto forma di filmino familiare, a permettere a Sammy di cogliere qualcosa che non va all’interno della sua famiglia, ovvero il rapporto ambiguo fra Mitzi e Bennie, evidentemente non limitato alla semplice amicizia. Ed è su questa direttrice che si sviluppa The Fabelmans, racconto autobiografico mascherato da dramma familiare e allo stesso tempo omaggio totale e totalizzante al potere della narrazione.

Steven Spielberg compie un percorso analogo a quello del Quentin Tarantino più ucronico, ribadendo a più riprese il potere salvifico del cinema, capace di modificare la realtà o perlomeno il nostro punto di vista su di essa. Le riprese di una festa studentesca in spiaggia diventano così nelle mani di Sammy un curioso ibrido fra una commedia slapstick e un epico film sportivo, che gli permettono di ridicolizzare un bullo antisemita della scuola e di scuoterne nel profondo un altro, confuso dal contrasto fra la sua mediocrità e la quasi angelica rappresentazione realizzata dal coetaneo.

Ma The Fabelmans non è solo un lavoro sull’immagine e dentro l’immagine. Steven Spielberg ragiona anche e soprattutto sull’emozione profusa da un’immagine, ben rappresentata dal frequente ricorso a un vero e proprio marchio di fabbrica del suo cinema, cioè lo sguardo di estasiato stupore verso un orizzonte, sempre alto o basso: lo stesso di Laura Dern in Jurassic Park, dei visitatori della Torre del Diavolo nel finale di Incontri ravvicinati del terzo tipo o del piccolo Elliott che osserva il suo amico da un altro mondo in E.T. l’extra-terrestre.

The Fabelmans: un viaggio nella vita e nel cinema di Steven Spielberg

Senza mai cercare la lacrima facile o l’autoesaltazione, Steven Spielberg riversa tutto se stesso in The Fabelmans, trasformandolo in una sorta di guida al suo cinema e al suo modo di intendere la vita. Anche chi è ignaro delle vicende biografiche del regista statunitense può così comprendere il frequente ricorso da parte sua a famiglie disfunzionali, fatte di matrimoni sfasciati, madri amorevoli e figli dai rapporti tormentati coi padri, come Harrison Ford e Sean Connery in Indiana Jones e l’ultima crociata. Non è certo casuale inoltre che Steven Spielberg abbia spesso usato nazisti o figure di stampo nazista come antagonisti nelle sue opere, per poi arrivare al lacerante racconto dell’Olocausto in Schindler’s List – La lista di Schindler: The Fabelmans testimonia chiaramente le minacce e le violenze a sfondo antisemita da lui subite da ragazzo.

Non potevano ovviamente mancare i ragazzini in sella alle bici, surrogato dei cowboy a cavallo nei western che hanno formato Spielberg (passione ribadita dagli omaggi a John Ford e al suo L’uomo che uccise Liberty Valance) entrato nell’immaginario degli anni ’80, cavalcato ancora oggi da Stranger Things e altri prodotti di successo. Ma scavando fra le pieghe di The Fabelmans si possono trovare rimandi pressoché infiniti alla filmografia di Spielberg, come un’amorevole ripresa della madre che sembra Audrey Hepburn in Always – Per sempre o un tornado improvviso che potrebbe essere un perfetto incipit di una delle sue tante storie di persone ordinarie alle prese con situazioni straordinarie.

Steven Spielberg burattinaio delle nostre emozioni

The Fabelmans 7

Accompagnando Sammy nella sua crescita (un doveroso plauso agli interpreti Mateo Zoryon Francis-DeFord e Gabriel LaBelle, estremamente espressivi nonché incredibilmente somiglianti a Steven Spielberg bambino e adolescente), ci rendiamo conto che per Spielberg è sempre stato tutto lì, in una famiglia imperfetta ma piena di amore, in una provincia americana spaventosa e allo stesso tempo foriera di stimoli e in un bambino che gioca con le storie e con i personaggi, come un burattinaio munito di macchine da presa sempre più grandi e potenti, per stare al passo con le sue crescenti ambizioni.

Ci divertiamo assistendo alle prime esperienze di Sammy con l’altro sesso (una fervente cristiana irrimediabilmente attratta dal suo ebraismo), soffriamo con lui ogni volta che viene sminuito il suo talento, perché non allineato a una visione pratica e manuale del lavoro e della vita, e palpitiamo al suono delle parole del bizzarro zio Boris (Judd Hirsch), che in maniera lungimirante anticipa il destino del nipote, fatto di soddisfazioni nel cinema ma anche di un inevitabile isolamento sociale e familiare. E infine forse siamo anche vittime di una bonaria presa in giro da parte di Spielberg, quando Sammy smentisce la lettura particolarmente tortuosa e sfaccettata del suo filmato fatta dal bullo della scuola, alludendo velatamente a un eccesso di interpretazione di alcuni risvolti della filmografia del regista da parte di pubblico e critica.

Una visione consigliata a cinefili e non solo

The Fabelmans

Un cast coeso e inappuntabile (in cui fa capolino nel ruolo di una delle sorelle di Sammy anche Julia Butters, già vista in C’era una volta a… Hollywood), l’avvolgente fotografia di Janusz Kamiński (che ricrea perfettamente le atmosfere degli anni ’50 e ’60) e la nostalgica colonna sonora, affidata inevitabilmente al sodale John Williams, suggellano un’opera intima e allo stesso tempo universale, capace di scavare nel profondo di tutti noi.

The Fabelmans è la visione ideale per i cinefili, che non mancheranno di cogliere citazioni e riferimenti nonché il loro stesso amore per la settima arte. Come sempre, Spielberg riesce però a parlare a tutti nel modo più limpido e sincero possibile, trasformando un viaggio nei suoi ricordi di bambino e adolescente in una riflessione di abbagliante bellezza sui sogni, sull’importanza dei traumi e delle gioie provate durante l’infanzia e sull’inquietudine e l’ossessione che accompagnano ogni passione. Un approccio al talento e all’aspirazione sintetizzato da una sequenza destinata a essere ricordate come una delle più rappresentative dell’intera filmografia di Spielberg, cioè quella in cui il piccolo Sammy guarda un film da lui girato su uno schermo formato dalle sue stesse mani.

The Fabelmans ci ricorda perché è giusto sognare ancora davanti al grande schermo

The Fabelmans

In un’epoca di prodotti sconsideratamente dilatati, vorremmo che i 151 minuti di The Fabelmans non finissero mai, come quelli passati a ridere con un amico di infanzia, ad ascoltare i racconti dei nonni, a giocare in un pomeriggio d’estate o a vivere e rivivere le storie che ci hanno formato. Il cameo di uno straordinario regista (che non vi anticipiamo) nei panni di un regista altrettanto grande impreziosisce l’epilogo di un vero e proprio regalo per tutti gli amanti del cinema, che ci ricorda perché è giusto, prezioso e salvifico ritrovarsi ancora a sognare davanti a uno schermo grande come la nostra fantasia.

The Fabelmans arriverà il 22 dicembre nelle sale italiane, distribuito da 01 Distribution.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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