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The Whale: com’è il film con Brendan Fraser e Sadie Sink

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A 5 anni di distanza dal controverso Madre!, Darren Aronofsky torna a Venezia per il suo nuovo film The Whale, che ci riconcilia con la poetica del discontinuo regista statunitense e al tempo stesso regala a Brendan Fraser una prestazione monumentale, di quelle in grado di definire un’intera carriera. L’ex sex symbol di Hollywood presta infatti volto e corpo (sepolto da un costume pesante quasi 50 chili) al protagonista del racconto Charlie, professore di inglese a distanza, padre assente per troppo tempo e soprattutto obeso a livello patologico, dal momento che la sua massa di circa 270 chili gli permette di compiere solo piccoli spostamenti all’interno del suo appartamento. Contrario al ricovero in ospedale che potrebbe salvargli la vita, Charlie può contare unicamente sulla passione per il suo lavoro, sul sostegno dell’infermiera Liz (Hong Chau) e sul rapporto tutto da ricostruire con la figlia Ellie (Sadie Sink).

Sulla base dell’omonima opera teatrale di Samuel D. Hunter (autore anche della sceneggiatura del film), Darren Aronofsky declina con The Whale i temi portanti del suo cinema, dando vita a uno struggente dramma fisico ed emotivo davanti al quale è difficile restare indifferenti, toccando vette artistiche che non raggiungeva dai tempi The Wrestler e Il cigno nero. Proprio The Wrestler è l’opera di Aronofsky con maggiori collegamenti a The Whale, dal momento che anche in questo caso abbiamo un protagonista precipitato in un vortice di autodistruzione, con grosse difficoltà relazionali con la figlia e con alcuni tratti in comune con l’attore che lo interpreta. Una parabola esistenziale che stavolta il regista mette però in scena con estrema dolcezza, trasformando il volto timido e sperduto di Brendan Fraser nella personificazione della bontà d’animo e dell’amore per il prossimo.

The Whale: Darren Aronofsky di nuovo ad altissimi livelli

Le suggestioni polanskiane di Madre! sono lontane, ma anche in The Whale non mancano i riferimenti alla religiosità (il personaggio di Ty Simpkins) e al processo creativo, rappresentato soprattutto dalla professione di Charlie, che dal suo divano e con la telecamera spenta per non mostrare il suo corpo sprona i suoi studenti a essere più personali e meno analitici nei loro scritti. Un tema sottolineato dall’impertinente saggio su Moby Dick che Charlie ama sentire leggere ogni volta che ha un malore, come per abbandonarsi a queste sentite parole in caso di una sua tragica fine. Riflessione che in filigrana ci dice molto anche dello stesso Aronofsky, non sempre coccolato dal pubblico e dalla critica ma costantemente fedele alla sua personale e unica visione dell’arte e della narrazione.

Una sovrapposizione fra autore e protagonista che non stupisce, dal momento che il cinema di Aronofsky è sempre e comunque intrecciato alla sua stessa vita: ne sono un fulgido esempio i ruoli di muse assegnati alle sue ex compagne Rachel Weisz e Jennifer Lawrence in The Fountain – L’albero della vita e nello stesso Madre!, l’ossessivo e autolesionistico inseguimento della propria passione alla base di The Wrestler e Il cigno nero o la parabola biblica su cui è incentrato Noah.

Il regista in questo caso accantona però il suo stile virtuoso e costantemente in bilico fra sogno e realtà, mettendosi al servizio di un racconto che non rinnega mai il suo impianto teatrale. L’immagine in 4:3 è mezzo tecnico ed espressivo per ingabbiare ancora di più il protagonista fra le mura di casa e per costringerci a osservare il suo imponente corpo, in perfetto contrasto con il suo animo dolce e sensibile.

The Whale: Brendan Fraser da Oscar in una dolorosa parabola autodistruttiva

Darren Aronofsky sul set di The Whale

Non è certo una visione facile e confortante quella di The Whale. Charlie si trascina letteralmente davanti ai nostri occhi, in una lenta agonia che non lo distrae dai ripetuti tentativi di riconciliazione con la figlia e dal ricordo di un amore tragicamente concluso, causa scatenante del suo catastrofico stato di salute. Come in un ideale funerale con il defunto ancora in vita, nell’angusto appartamento del protagonista si alternano le persone più importanti della sua vita, che ci aiutano a ricostruire e approfondire un quadro umano desolante, fatto di improvvisi distacchi, sogni spezzati e di una costante mestizia. Un’atmosfera sottolineata dai continui richiami a Moby Dick (la necessità di allontanare il più possibile la tristezza) e comicamente alternata dai ripetuti tentativi di conversione da parte del giovane sedicente predicatore Thomas.

Aronofsky non fa nulla per indorare la pillola, e con l’ausilio dell’encomiabile prova di Fraser e di un trucco non sempre perfetto ci mostra tutto il disagio di Charlie, per il quale anche il semplice gesto di alzarsi in piedi diventa impresa titanica. Il lavoro sulle immagini si accompagna a un vero e proprio diluvio di parole, insolito per il regista ma efficace e funzionale al racconto, dal momento che per il protagonista la parola è l’unico appiglio col mondo, l’unica speranza di salvezza. Un’esplosione di sentimenti positivi, capace di lasciare profondamente scossi anche gli spettatori più freddi e di trasformarsi in inno alla libertà di scelta su come vivere e su come morire.

L’intreccio fra vita e morte

Merita sicuramente una menzione la performance di Sadie Sink, vero e proprio contraltare emotivo di Charlie. La Max di Stranger Things si dimostra un’attrice di sicuro talento e dal luminoso futuro, conferendo vigore e realismo al suo personaggio e a suoi rabbiosi scambi col padre. Ma a stupire è soprattutto la prova di totale abnegazione di Fraser, di diritto fra i favoriti per la Coppa Volpi di Venezia 79 e per l’Oscar come migliore attore protagonista. Il meritato riscatto per un attore prematuramente allontanato dal grande giro proprio per la sua non perfetta forma fisica, che con The Whale trasforma la sofferenza in grande cinema e la vita reale in toccante metafora sul potere salvifico dell’arte.

L’ultima Ram Jam di Mickey Rourke in The Wrestler ci aveva ricordato che c’è qualcosa di peggio della morte, cioè lasciarsi lentamente uccidere da un fisico logorato, dai rimpianti per un irripetibile passato e dalla paura di rimediare ai propri sbagli. Nella lacerante immagine di Charlie che all’apice della sua tristezza e della sua rassegnazione si abbuffa con ogni cosa che gli capita a tiro, in un tentativo di peggiorare drasticamente e velocemente la sua già precaria condizione fisica, ritroviamo lo stesso doloroso intreccio fra vita e morte, marchio di fabbrica di un autore che non smette mai di stupirci e stregarci.

The Whale arriverà prossimamente nelle sale italiane, distribuito da I Wonder Pictures.

Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API

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