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Arriva la mascherina che riconosce il Covid (e non solo)

MIT e Harvard, insieme a un'azienda milanese, trovano il modo di riconoscere il virus in 90 minuti

Dai ricercatori del MIT e di Harvard, con il contributo di un’azienda di Milano, arriva la prima mascherina che non solo protegge dai virus come il Covid ma aiuta anche a rilevarne la presenza. I biosensori nella mascherina sono infatti in grado di riconoscere e rivelare la presenza del virus SarsCoV2 ma anche Ebola e Zika. Infatti i ricercatori ci stavano lavorando per una varietà di virus, già dal 2014.

La nuova mascherina rileva il Covid, Ebola e Zika

Minuscoli sensori monouso, basati su ingranaggi cellulari liofilizzati. La tecnologia è inserita direttamente nei tessuti, praticamente invisibile da fuori. E i ricercatori dicono che può essere usata non solo per le mascherine ma anche per i camici di laboratorio e altri indumenti.

I sensori che rilevano la presenza di virus sono stati liofilizzati per essere inseriti in una piccola sezione di tessuto, circondati dal silicone per non evaporare prima dell’utilizzo. Una volta indossata la mascherina, il nostro respiro umido attiva i sensori liofilizzati, colorando la parte interna della mascherina. I dati sono poi trasferibili a uno smartphone o smart watch in modalità wireless. Questo permette di avvisare dell’avvenuto contagio solo chi indossa la maschera, evitando di violarne la privacy.

I ricercatori hanno testato centinaia di tessuti diversi, per scoprire che i risultati migliori si ottengono con una combinazione di poliestere e altre fibre sintetiche.

sensore mascherina covid mit e harvard-min

Dai virus alle sostanze tossiche

James Collins, a capo della ricerca con Peter Nguyen e Luis Soenksen, spiega che le possibilità non si fermano alla pandemia. “Possiamo liofilizzare una vasta gamma di sensori di biologia sintetica per rilevare gli acidi nucleici di virus e batteri. cosi come sostanze chimiche tossiche. Questa piattaforma potrebbe portare ad una nuova generazione di biosensori indossabili per chi lavora in prima linea, personale sanitario e militare“.

Luis Soenksen sintetizza: “Abbiamo sostanzialmente ridotto la funzionalità delle strutture di test molecolari all’avanguardia in un formato compatibile con dispositivi indossabili in una varietà di applicazioni”.

Un’invenzione che potrebbe rivoluzionare il mondo dei DPI (Dispositivi di Protezione Individuale), che in quest’anno e mezzo passato ci siamo accorti essere fondamentale. Collins spiega che ci sono già molte aziende intenzionate a sviluppare i proprio indumenti (mascherine, camici, ecc) con questa tecnologia. Che speriamo possa diventare un’arma in più per la nostra salute.

Qui potete leggere la ricerca nella sua interezza.

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Source
Corriere della Sera

Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, nerd da prima che andasse di moda.

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