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La recensione di Vasco Rossi: Il Supervissuto, molto più di una storia generazionale

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Credits: Giovanni Menici | Netflix

Intorno al personaggio di Vasco Rossi c’è quest’aurea mistica. Chi è cresciuto con lui non ha dubbi: è la rockstar italiana per eccellenza. Tutti gli altri, invece, sopratutto quelli delle nuove generazioni, lo vedono come questa leggenda incomprensibile. Troppo leggero per essere definito rock. Troppo stimato per catalogarlo solo come “quello che ascolta sempre papà”. Del resto nella musica italiana di Vasco ce n’è uno, con tutto il rispetto per Le Luci della Centrale Elettrice. Com’è c’è un solo Elvis. E se c’è una sola opera che può colmare questo gap generazionale, allora questa è Vasco Rossi: Il Supervissuto, la docuserie Netflix oggetto di questa nostra recensione. 

Attraverso 5 episodi di circa un’ora ciascuno, Netflix ci convalida il biglietto per un viaggio emozionante e coinvolgente, che parte dall’infanzia a Zocca, passa per gli anni di piombo (e di anfetamine), e arriva fino ai giorni nostri.

Il tutto attraverso immagini di repertorio, filmati inediti e le parole dello stesso Vasco Rossi.

E Vasco con le parole ci sa fare.

La recensione di Vasco Rossi: Il Supervissuto

Si commetterebbe un grave errore nel pensare che Il Supervissuto sia un’operazione a là Jennifer Lopez: Halftime, il fin troppo autoindulgente e autocelebrativo documentario Netflix su J-Lo. No, la docuserie su Vasco Rossi è vera, schietta, tagliente, come il testo e la chitarra de Gli Spari Sopra.

Il cantautorocker ripercorre i propri successi, certo, ma anche e soprattutto le sue rovinose cadute (anche quelle letterali, come quando scivolò sul palco a Caserta “facendo la figura dello scemo”). E poi, con tutto il rispetto per Jenny From The Block, qui ci sono le canzoni.

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La narrazione de Il Supervissuto prosegue in modo cronologico, con un registratore a nastro su un tavolo come elemento ricorrente. Si parte da quando in quel di Zocca il giovane Vasco vinse l’Usignolo D’oro, concorso per bambini che, senza troppo nascondersi, faceva il verso al ben più noto Zecchino D’Oro.

C’è l’infanzia nel primo episodio, quello dei primi amori infantili e delle prime canzoni scritte per la bambina del pianerottolo. C’è la maturità di una leggenda consacrata nell’ultimo episodio, quella di un artista che ancora oggi, ogni anno, chiama a rapporto 700mila Vasconvolti pronti a perdere la voce.

Di mezzo c’è tutto il resto. In ordine sparso: la tossicodipendenza, la morte di Massimo Riva, la creazione e il disfacimento della Steve Rogers Band, la scelta di mettere su famiglia (che Vasco descrive con “la scelta più trasgressiva per una rock star”), le tre malattie mortali, il coma, Modena Park, la pandemia. In tre parole: una vita spericolata.

E poi, ancora una volta, la musica.

Perchè sono le canzoni il motore della vita di Vasco. Tra le provocazioni di Bollicine e la disarmante Canzone, opportunamente scelta come sottofondo alla sequenza in cui si parla della morte di Massimo Riva.

Non basterebbe una vita per raccontare Vasco, ma basta una docuserie Netflix ben fatta. Cinque episodi in cui la rocambolesca vita pubblica di una rockstar si intreccia con le vicende private. Il costante contrasto tra l’animale da palcoscenico e l’uomo (anzi l’anima) fragile.

Il Supervissuto non è solo una serie per i fan di Vasco Rossi, anzi. È un prodotto anche e soprattutto per chi non lo conosce, per chi non lo ha mai compreso. Una docuserie anche per chi, ritornando all’inizio di questa recensione, si chiede come mai il papà ascolta quelle canzoni con le lacrime agli occhi.

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Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API

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