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Come si spiega Kurt Cobain a chi non l’ha vissuto? La voce graffiata di una generazione intera

Una voce graffiata, una chitarra mancina e un intero universo dentro di sé. La leggenda di Kurt Cobain è terribilmente difficile da spiegare, ma così semplice da capire.

30 anni senza Kurt Cobain vuol dire che c’è una generazione intera – forse una e mezza – che non ha conosciuto il genio, il talento e il carisma del leader dei Nirvana. E come lo si spiega, a chi non lo ha vissuto, cos’è stato Cobain e cos’ha rappresentato la sua morte (oltre che la sua vita)?

Difficile. Del resto, chi vi scrive, aveva solo meno di 2 anni quando un mondo intero, quello della musica e non, apprese la devastante notizia.

Accadde così che, in circostanze ancora oggetto di dibattito, il 5 aprile 1994 il volto della band che più di tutte ridisegnò il suono degli anni ‘90 si ritrovò un colpo di fucile in testa. Suicidio, probabilmente. Ma della morte delle leggende non si parlerà mai con certezza. Chiedetelo ai tanti che ancora oggi riferiscono di aver visto Elvis Presley nei dintorni di Graceland, o a quelli che sono assolutamente convinti che Michael Jackson sia vivo.

Le leggende non muoiono, né tantomeno la loro musica. Maledetto Club dei 27, che oltre a Cobain annovera un bel po’ di nomi che, fosse anche solo per un paio di anni, hanno forgiato generazioni intere a suon di voci graffianti e chitarre distorte.

Difficile spiegare, dicevamo poco sopra, ma non impossibile. Kurt Cobain era in grado di farsi perdonare tutto, al punto che oggi gli abbiamo perdonato pure la scelta di lasciare questa vita. Gli abbiamo perdonato l’overdose di Roma, un mese prima della dipartita, quando in occasione di un concerto dei Nirvana decise di esagerare. Tour annullato e la speranza, poi disattesa, di nuove date quando il biondo di Abardeen si sarebbe ripreso. Il mondo non poteva sapere che 32 giorni dopo i giornali di tutto il mondo avrebbero piazzato il volto di Cobain in prima pagina, annunciandone la dipartita.

Su cosa sia successo in quegli ultimi giorni di vita sono stati scritti libri, film e teorie dell’assurdo. Tutto pur di mitizzare finanche la morte e la depressione. Questa storia è stata raccontata talmente tante volte, e in salse diverse, che non avrebbe neanche troppo senso calcare la mano. Resta quindi la vita. Resta la musica. E scusate se è poco.

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Verso la fine degli anni ‘80 il mondo della musica underground esplode. Se nel ‘77 il punk dilagava nella strade londinesi, nell’84 le sonorità più grezze del rock erano arrivate fino a Washington, dove nascono gli Screaming Trees di Mark Lanegan (che ci ha lasciato poco meno di due anni fa). È l’inizio di quello che diventerà il grunge: poca tecnica ma tante cose da dire. Talmente tante da sovvertire persino l’intoccabile mondo della musica pop. 

A Kurt Cobain l’ondata arriva con i Melvins, concittadini di Aberdeen, che forgiano il suo immaginario musicale. E allora ascoltare musica non basta più, bisogna farla. E chi lo avrebbe mai detto che la rivoluzione musicale sarebbe arrivata non dal centro del mondo, ma dalla periferia dell’universo? Già perchè Aberdeen, così come Seattle (fatta eccezione per aver dato i natali a Jimi Hendrix) non era certamente conosciuta per il fermento artistico. Acciaierie, boschi, povertà e dissolutezza. Gli ingredienti perfetti per chi vuole accendere la distorsione e cambiare il mondo. Alla faccia dei viziati e finti alternativi di Londra. Il punk inglese dei Sex Pistols nacque a tavolino, il grunge no.

Cobain e Lanegan diventeranno grandi amici. Saranno i due che più di tutti forgeranno la nuova scena grunge che esploderà agli albori degli anni ‘90. I due si scambiano dischi come due bambini degli anni 2000 si scambiano le figurine Panini. Lanegan fa conoscere a Cobain un oscuro album di Lead Belly che comprendere una registrazione risalente al 1944 di una murder ballad tradizionale dell’800. È un brano di cui si sa talmente poco che persino il titolo è incerto. Secondo Lanegan si chiama In The Pines, e la incide chiedendo allo stesso Cobain di partecipare alla registrazione.

Kurt invece preferisce chiamarla Where Did You Sleep Last Night, riprendendo il titolo presente sul disco di Lead Belly. Entrambi, sebbene con titoli diversi, la mettono nella scaletta dei rispettivi progetti. Kurt Cobain la ritira fuori a quello che diventerà l’iconico MTV Unplugged dei Nirvana, proponendo una delle interpretazioni più incredibili della storia della musica. 

All’inizio di questo articolo vi avevamo detto che sarebbe stato difficile spiegare. E allora lasciamo che sia la musica a farlo. All’inizio del video Cobain scherza (lo fa durante l’intero Unplugged) e racconta di quando voleva comprare una chitarra appartenuta a Lead Belly. Il costo era troppo alto. Ironia della sorte la stessa chitarra mancina utilizzata da Cobain all’MTV Unplugged diventerà lo strumento musicale più costoso mai venduto all’asta. Poi però basta scherzi: c’è da cantare una canzone seria. Una canzone che parla di un omicidio (vi rimandiamo qui per la storia completa del brano di Lead Belly).

Al minuto 3:55 è possibile riassumere tutta l’essenza di Kurt Cobain. La disperazione, la voce graffiata, la necessità di buttare fuori le proprie emozioni nell’unico modo possibile: con la musica. Ciò che fa Kurt Cobain non ve lo insegnano nelle scuole di canto, perchè è una cosa che non si spiega perchè non si può spiegare. Chiamatelo talento se proprio volete dare un nome alle cose, per noi è solo pura disperazione creativa proveniente da un genio che aveva talmente tanti universi dentro di sé che, alla fine, è imploso.

Al minuto 4:50 esce fuori dall’indescrivibile trance nella quale era entrato meno di un minuto prima. Fa un sospiro e spalanca gli occhi azzurri regalandoci, anche solo per un attimo, la possibilità di leggere la sua anima. Dura solo pochi istanti, ma in quegli istanti è possibile capire tutto. È difficile spiegare, ancora una volta, ma è così semplice capire.

30 anni senza Kurt Cobain sono tanti. Troppi. La musica ha perso una delle sue espressioni più pure, avulse da preconcetti accademici e operazioni di marketing congegnate. Fuori dai preconcetti (fu Cobain a far scoprire al mondo Philosophy of the World delle The Shaggs, un album che oggi sarebbe impresentabile) e fu sempre Cobain, partendo da una frase scritta dalla sua ex ragazza su un profumo a basso costo, a regalarci l’inno generazionale per eccellenza: Smeels Like Teen Spirits.

30 anni fa Cobain ci lasciava citando Hey Hey (My My) di Neil Young: “meglio andarsene via con una fiammata che spegnersi lentamente”.

Al punk 77, al grunge, a chi non ha mai trovato un proprio posto comodo nel mondo. Se stasera fate un brindisi, fatelo al genio biondo che ha sublimato la disperazione, esasperato l’esistenza e sconvolto un’intera generazione. Forse una e mezzo.

Vi parlo dal punto di vista di un sempliciotto un po’ vissuto che preferirebbe essere uno snervante bimbo lamentoso. Questa lettera dovrebbe essere abbastanza semplice da capire. Tutti gli avvertimenti che ho ricevuto dalla scuola base del punk-rock nel corso degli anni, fin dai miei primi contatti, per così dire, con l’etica dell’indipendenza e dell’abbracciare la propria comunità si sono rivelati esatti. Io non provo più emozioni nell’ascoltare musica e nemmeno nel crearla e nel leggere e nello scrivere da troppi anni ormai. Questo mi fa sentire terribilmente colpevole. Per esempio, quando siamo nel backstage e le luci si spengono e sento il maniacale urlo della folla cominciare, non ha nessun effetto su di me, non è come era per Freddie Mercury, che adorava la folla e ne traeva energia e io l’ho sempre invidiato per questo.

Il fatto è che io non posso imbrogliarvi, nessuno di voi. Semplicemente non sarebbe giusto nei vostri confronti né nei miei. Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%. A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco. Ho provato tutto quello che è in mio potere per apprezzare questo (e l’apprezzo, Dio mi sia testimone che l’apprezzo, ma non è abbastanza).

Ho apprezzato il fatto che io e gli altri abbiamo colpito e intrattenuto tutta questa gente. Ma devo essere uno di quei narcisisti che apprezzano le cose solo quando non ci sono più. Io sono troppo sensibile. Ho bisogno di essere un po’ stordito per ritrovare l’entusiasmo che avevo da bambino. Durante gli ultimi tre nostri tour sono riuscito ad apprezzare molto di più le persone che conoscevo personalmente e i fan della nostra musica, ma ancora non riesco a superare la frustrazione, il senso di colpa e l’empatia che ho per tutti. C’è del buono in ognuno di noi e penso che io amo troppo la gente, così tanto che mi sento troppo fottutamente triste. Il piccolo triste, sensibile, ingrato, Pesci, Gesù santo! Perché non ti diverti e basta? Non lo so. Ho una moglie divina che trasuda ambizione ed empatia e una figlia che mi ricorda troppo di quando ero come lei, pieno di amore e gioia.

Bacia tutte le persone che incontra perché tutti sono buoni e nessuno può farle del male. E questo mi terrorizza a tal punto che perdo le mie funzioni vitali. Non posso sopportare l’idea che Frances diventi una miserabile, autodistruttiva rocker come me. Mi è andata bene, molto bene durante questi anni, e ne sono grato, ma è dall’età di sette anni che sono avverso al genere umano. Solo perché a tutti sembra così facile tirare avanti ed essere empatici. Penso sia solo perché io amo troppo e mi rammarico troppo per la gente. Grazie a tutti voi dal fondo del mio bruciante, nauseato stomaco per le vostre lettere e il supporto che mi avete dato negli anni passati. Io sono troppo un bambino incostante, lunatico!

Non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente.

Pace, amore, empatia. Kurt Cobain.

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Marco Brunasso

Scrivere è la mia passione, la musica è la mia vita e Liam Gallagher il mio Dio. Per il resto ho 30 anni e sono un musicista, cantante e autore. Qui scrivo principalmente di musica e videogame, ma mi affascina tutto ciò che ha a che fare con la creazione di mondi paralleli. 🌋From Pompei with love.🧡

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