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Bella Ciao. Per la libertà: com’è il documentario di Giulia Giapponesi

Bella Ciao. Per la libertà è disponibile su Rai Play.

«In tutti i paesi del mondo chi si sente oppresso canta la stessa canzone». Sono i titoli di coda del documentario firmato da Giulia Giapponesi Bella Ciao. Per la libertà a esplicitare il senso dell’intero progetto, disponibile gratuitamente su Rai Play. Un’opera che, attraverso un importante lavoro di archivio e gli altrettanto utili contributi di Vinicio Capossela, dell’ex cantante dei Modena City Ramblers Cisco e di tanti altri, traccia il percorso della canzone simbolo della Resistenza italiana e della festa della Liberazione dal nazifascismo. Una canzone leggendaria che, come tutte le leggende, rende difficile ricostruire la sua genesi, e allo stesso tempo è capace di espandersi in tutto il mondo, superando confini fisici, politici e linguistici per soccorrere e incoraggiare tutte le persone oppresse.

Proprio su questi due binari, la nascita di Bella ciao e la sua eredità in tutto il mondo, Giulia Giapponesi costruisce un racconto complesso e articolato che, anche a costo di indebolire la fluidità della narrazione, si prefigge l’obiettivo di dare voce al più ampio numero possibile di persone. Il risultato è un percorso storico, musicale e politico che, per la stessa storia di Bella ciao, non può che essere frammentato e irrisolto, ma riesce allo stesso tempo a trasmettere tutto il fascino e l’importanza di questo immortale brano, mai come oggi attuale e necessario.

Il documentario Bella Ciao. Per la libertà è un viaggio nella canzone simbolo di ogni resistenza

Bella Ciao Per la liberta documentario

Molti hanno ritenuto sacrilego l’inserimento di Bella ciao nella colonna sonora de La casa di carta, serie Netflix decisamente più leggera nei toni e nei contenuti rispetto alla storia che accompagna questo brano. Bella Ciao. Per la libertà parte invece proprio da questa citazione per descrivere l’impatto nell’immaginario del brano e la sua atavica capacità di risollevare il morale e la grinta di chiunque subisca un sopruso in tutto il mondo. In un libero flusso di pensieri e opinioni, scopriamo così dalle parole di testimoni personalmente coinvolti in difficili situazioni che versioni remix, rielaborate o liberamente adattate di Bella ciao sono ancora oggi la colonna sonora dell’orgoglio curdo, delle proteste irachene e dell’opposizione turca.

L’immancabile risentimento dei vari regimi attaccati anche con questa canzone non fa che confermare una verità storica e sociale ormai acclarata: Bella ciao è sì divisiva, ma solo fra chi è fascista e chi è antifascista. Le parole della leader del partito di opposizione turco CHP Banu Özdemir, messa in stato di accusa per aver rilanciato sui suoi canali social la diffusione di Bella ciao dai minareti di Smirne, si sovrappongono così a quelle di Vinicio Capossela, che dall’evocativo Museo Cervi in provincia di Reggio Emilia, dedicato ai sette fratelli fucilati dai fascisti nel 1943, ribadisce che questa canzone è prima di tutto un simbolo dell’antifascismo, non per forza collegato a un preciso evento o a una determinata collocazione geografica, ma all’idea di ribellione contro tutte le dittature e le prevaricazioni.

Il documentario affronta il mistero della genesi di Bella ciao

Bella Ciao. Per la libertà non è solo una toccante celebrazione della forza di questa canzone, ma anche un’approfondita ricostruzione del percorso attraverso il quale la canzone è arrivata a noi nella forma che conosciamo. Ed è qui che la realtà si fa più frammentata e contraddittoria, ma questo non spaventa Giulia Giapponesi che, in linea con lo spirito della canzone, lascia spazio alle più disparate scuole di pensiero. Hanno così voce le posizioni di Luigi Morrone e Giampaolo Pansa, che documentano l’assenza di fonti scritte sulla diffusione di Bella ciao durante la Resistenza, associandola invece alla consacrazione popolare scaturita dall’esecuzione di Yves Montand nel 1963 e soprattutto dalla controversa esecuzione durante il festival di Spoleto dell’anno successivo.

Allo stesso tempo, hanno peso e valore le testimonianze orali, come quella di Floriana Diena Putaturo, che si commuove cantando il brano di cui lei ha memoria fin dal giorno della Liberazione, pur con un testo diverso da quello che conosciamo. Ma il rebus della genesi di Bella ciao è di difficile soluzione, e affonda le sue radici addirittura in un canto normanno del ‘500 e in Koilen, brano inciso nel 1919 dal musicista Mishka Ziganoff, originario di Odessa e in quanto tale protagonista di un collegamento con il conflitto in corso fra Russia e Ucraina davanti al quale ci si ritrova sinceramente colpiti e allo stesso tempo profondamente turbati.

Dopo il notevole documentario Carracci – La rivoluzione silenziosa, Giulia Giapponesi centra un altro pregevole approfondimento artistico con Bella Ciao. Per la libertà, intrecciando le pagine della storia con la celebrazione di un brano che, come una valanga, raccoglie lungo il suo lungo percorso materiale di ogni genere, acquisendo sempre più forza e intensità, con buona pace di revisionisti storici e negazionismi di ogni risma.

Bella ciao incarna il concetto stesso di resistenza

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Fra le diverse esecuzioni del brano, come quella struggente di Milva o l’altrettanto celebre interpretazione dei Modena City Ramblers, coinvolta addirittura in un caso di tentata censura, tornano così alla mente le parole del compianto Massimo Troisi nel suo ultimo lavoro Il postino: «La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve». L’irrisolvibile mistero della genesi di Bella ciao non cancella infatti l’evidenza che nessun altro brano riesce ad attraversare con la stessa forza diverse culture e svariati momenti storici, diventando ogni volta l’inno in cui si identifica chi resiste. E oggi come nel 1945, è sempre tempo di Resistenza.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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