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Le indagini, le testimonianze, le bugie: Pablo Trincia ci racconta Dove nessuno guarda, il podcast su Elisa Claps

Dove nessuno guarda non è un podcast qualunque. Quel che Riccardo Spagnoli, Alessia Rafanelli e Pablo Trincia hanno realizzato è qualcosa di potente, una scrittura del reale, una qualità narrativa superlativa. Dove nessuno guarda racconta la storia di Elisa Claps, una vicenda dolorosa, pregna di depistaggi, ossessioni, errori investigativi, silenzi assordanti, ed è diventato un caso di cronaca davvero complesso. Pablo Trincia riesce a svellere i nodi di questa vicenda, restituendo all’ascoltatore il profilo della storia, che vive di abissi oscuri, di menzogne artefatte e fuorvianti, sopratutto restituisce un’immagine molto chiara di chi era Danilo Restivo.

Abbiamo avuto l’occasione di parlarne con l’autore e voce narrante del podcast, Pablo Trincia, per farci raccontare qual è stato l’impatto e le sfide per poterlo realizzare. 

Pablo Trincia ci racconta Dove nessuno guarda, il podcast su Elisa Claps

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Cosa ti ha convinto a volerti cimentare con il caso Elisa Claps?

È stata una cosa abbastanza casuale. In riunione di redazione una collega ha fatto il nome di Elisa Claps. Mi è scattato qualcosa, il caso lo conoscevo pochissimo. Dopo la scintilla iniziale, che è sempre necessaria, ci deve essere quel momento di istinto, in cui senti quella cosa primordiale. Poi ho fatto uno studio di fattibilità: ho sentito la famiglia ed è successa una cosa curiosa perché Gildo Claps inizialmente non voleva partecipare. Molto gentilmente mi aveva ringraziato e mi aveva detto che non se la sentivano. Però accanto a lui in quel momento c’era un suo amico e quando ha capito che era al telefono con me gli ha detto: “Ma stai scherzando, ho seguito i suoi podcast, non puoi dirgli di no”. Allora Gildo sulla fiducia mi ha detto di si! Se non ci fosse stato in quel momento il suo amico, non avremmo mai fatto la serie, non esisterebbe Dove nessuno guarda.

Ti aspettavi una reazione cosi sentita da parte delle persone? 

Mi aspettavo che sarebbe girato molto, è un tema dal forte richiamo. Non mi aspettavo assolutamente questa risposta emotiva da parte della città, con la gente in piazza ad ascoltare, questo era imprevedibile. Mi hanno ringraziato, molti mi hanno detto che hanno finalmente capito. Ci hanno detto: “Grazie di averci resi consapevoli”. Queste storie arrivano in maniera un po’ frammentata, il racconto completo ovviamente è diverso, ti dà il senso di tutto quello che è successo, tutto quello che c’è stato.

Mi è successa solo un’altra volta con Veleno: c’era stato movimento a Finale Emilia, con grandi manifestazioni di persone che si ritrovavano, che volevano sapere, volevano capire questa storia che avevano dimenticato. Una cosa in un certo senso molto simile, che dà la misura della bellezza di questo lavoro e quanto possa avere anche degli effetti positivi sulle persone. La famiglia Claps si è ritrovata con tante persone che l’hanno salutata per strada, abbracci, persone sconosciute che si avvicinavano. Da quel che mi hanno riferito loro, hanno avuto quel che in trent’anni non gli è stato dato. Questa enorme manifestazione di solidarietà gli ha fatto molto piacere. 

La famiglia Claps è rimasta soddisfatta della realizzazione finale del podcast?

Gildo subito dopo aver detto di sì è diventato un nostro caro amico, ci ha aiutato tanto. Erano molto contenti, erano molto felici di quello che stavano vivendo.

Come hai già fatto per Veleno, se ci saranno sviluppi della vicenda realizzerai nuovi episodi?

Sì, il caso resta aperto per noi. Se qualcuno si farà avanti noi ci siamo.

Anche perché ci sono dei punti molto oscuri che non sono stati minimamente svelati, dal punto di vista ecclesiastico soprattutto. 

Sì, sono ambienti ermetici dove non esce niente, molto chiusi, molto autoreferenziali, per cui non credo ci sarà mai qualcuno che verrà allo scoperto. Però noi teniamo sempre la porta aperta. Questo è il bello anche dei podcast: puoi aggiornarli, puoi aggiungere un episodio, un mini episodio, è tutto un continuo. 

Hai la sensazione che in questa storia ci sia ancora molto altro da scoprire? 

Si, certo. Tutte le storie sono così: non sai mai la vera verità assoluta, ci sono tante cose che restano sospese. Però l’importante era riuscire a raccontarla bene, offrire degli elementi di lettura della storia in più, come ad esempio la storia di don Mimì Sabìa, il suo coinvolgimento con la famiglia Restivo. È stato importante raccontare questo passato torbido, perché si pensa spesso di sapere tutto di determinate storie molto seguite, ma in realtà non ne sappiamo molto. La frammentazione nel corso degli anni nei vari media non aiuta a far comprendere pienamente. Invece adesso chi ascolta questo podcast, proprio per com’è fatto, proprio per la tipologia di prodotto che è, conosce bene tutti i dettagli più importanti di questa storia, e quindi la vive. Noi creiamo esperienze, cerchiamo di andare oltre l’ascolto, creiamo delle esperienze immersive. 

Pensi che, nel bene e nel male, la città di Potenza, con le dinamiche omertose che la dominano e la sua fascinazione per il potere, abbia contribuito al corso della vicenda?

Beh sicuramente si, è una città particolare. Alcuni membri delle forze dell’ordine ci hanno raccontato che è una città in cui è difficile fare il mestiere dell’investigatore, soprattutto per certe storie che toccano le alte sfere. C’è un atteggiamento molto conservatore da parte degli organi inquirenti, una gran reticenza a toccare il potere. Sono cose comuni a molte piccole città, dove ci si conosce, si è andati a scuola insieme, dove ci sono interessi in gioco.

Però siamo stati anche contattati da persone come Sonia, la ragazza che ha raccontato di quando c’è stato l’episodio dell’accoltellamento del bambino: quello è un racconto di una donna che non ha mai parlato, ed è uscita fuori allo scoperto, con coraggio, e anche lei ha fornito degli elementi di racconto in più, perché questo non era solo un gioco finito male, come era stato definito all’epoca, ma sembrava proprio un set-up. Era tutto calcolato in maniera agghiacciante, quindi se si fosse indagato meglio, se si fossero interrogate quelle persone, quei testimoni, sarebbe immediatamente venuto fuori il quadro di un potenziale killer.

Quindi all’epoca, quando è scomparsa Elisa Claps, forse avrebbero dato un poco più attenzione a questa cosa, e invece non è stato cosi. C’è stato anche chi ha parlato e ha raccontato, come succede sempre, qualcuno anche inaspettatamente. 

Come racconti nel podcast, il 12 è un numero che torna spesso. Pensi che sia solo casualità o che questo numero sia effettivamente fonte di suggestione per Restivo?

Possiamo semplicemente limitarci a indicare la strana coincidenza, oltre a quello non ci è consentito, non abbiamo elementi per dire se è una supercoincidenza o se questa cosa è stata fatta scientemente. Sicuramente è un elemento curioso, succede quattro volte, quindi chissà. Bisognerebbe entrare nella mente di un uomo la cui mente è di fatto un territorio inesplorato, un uomo che non ha mai ammesso le proprie colpe, che non ha fatto entrare nessuno nella sua anima. 

Per la narrazione di Veleno hai dichiarato di avere preso come riferimento Breaking Bad. In questo caso quali sono state le tue fonti di ispirazione?

A me piace molto quella formula del pre-sigla e poi la sigla, e poi il resto. Io cerco di essere molto originale nella scrittura, però sulla struttura per ora ho sempre usato la stessa perché mi ci sono trovato bene e perché l’ho trovata agile.

Se potessi avere una risposta vera e precisa per una sola delle tante domande che lascia questa vicenda, quale sceglieresti?

Che ruolo ha avuto la Chiesa, chi ha coperto Danilo Restivo. Chi ha fatto il buco nel tetto, chi ha spostato lì il corpo. Sicuramente c’è stato qualcun altro che l’ha aiutato, non può aver fatto tutto da solo, non può aver fatto quel buco da solo, non aveva il tempo. Se potessi avere la risposta a una di queste mille domande vorrei sapere questo: chi lo ha aiutato.

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Veleno. Una storia vera
  • Editore: Einaudi
  • Autore: Pablo Trincia
  • Collana: Einaudi. Stile libero extra

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Lucia Tedesco

Giornalista, femminista, critica cinematografica e soprattutto direttrice di TechPrincess, con passione ed entusiasmo. È la storia, non chi la racconta.

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