Gabriele Muccino torna alla televisione che ha formato la sua carriera da regista, e lo fa con A casa tutti bene – La serie, progetto targato Sky che costituisce un vero e proprio reboot dell’omonimo film del 2018 diretto dallo stesso Muccino. Otto episodi (e una seconda stagione già assicurata) per estendere e approfondire un vasto insieme di personaggi, che già al cinema aveva conquistato il pubblico, superando i 9 milioni di incassi. Un progetto ambizioso come il suo autore, che rimpiazza stelle del nostro cinema del calibro di Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino e Stefania Sandrelli con interpreti emergenti ma altrettanto validi, come Silvia D’Amico, Simone Liberati e Francesco Scianna, affiancati dai veterani Francesco Acquaroli, Valerio Aprea e Laura Morante.
A casa tutti bene – La serie è un compendio della carriera di Gabriele Muccino
Facciamo quindi la conoscenza della famiglia Ristuccia (cognome onnipresente nella filmografia di Muccino), che gestisce un ristorante molto conosciuto e apprezzato di Roma, vero e proprio punto di riferimento per l’alta società della capitale. Il compleanno del leader indiscusso della famiglia Pietro è l’occasione perfetta per una riunione dei Ristuccia, durante la quale affiorano problemi e dissapori mai sopiti. Proprio al termine di questo incontro, la più terribile delle sorprese: Pietro viene colpito da un infarto e spira poco dopo in ospedale. È l’inizio di 8 episodi al cardiopalma, in pieno stile Muccino. Mentre i contrasti fra figli e discendenti si esacerbano, affiorano terribili segreti dal passato e torbide verità dal presente, che dipingono un quadro ben lontano da quello della famiglia perfetta.
Il successo per Muccino è arrivato anche durante la parentesi hollywoodiana e grazie a progetti più intimi come L’estate addosso e Gli anni più belli, ma il cuore del regista romano è sempre lì, in quella borghesia viscida e collerica, sempre sul punto di implodere su se stessa. In quel contrasto fra apparente solidità e reale squallore umano Muccino ci sguazza, e riesce a tratteggiare personaggi tanto repellenti quanto affascinanti, che nel tentativo di mantenere la propria immagine continuano a scavarsi la propria fossa.
A casa tutti bene – La serie è quindi un terreno fertile per Muccino, che trasforma un prodotto televisivo italiano in un vero e proprio compendio della sua opera, senza eguali nel panorama nostrano. Dalle inquadrature vorticose ai dialoghi urlati, passando per le sfumature thriller e per la sofferenza su cui riesce sorprendentemente a sorgere l’amore: in A casa tutti bene – La serie c’è tutto il Gabriele Muccino che in molti amano, ma anche quello che altrettanti detestano: prendere o lasciare.
La conferma della vitalità della serialità italiana
«Che è successo?», si chiedono continuamente i protagonisti di A casa tutti bene – La serie, come a sottolineare il ritmo forsennato impresso da Muccino alla narrazione, scandito da tradimenti, litigi e scariche di violenza. Ma è proprio in questo degrado umano che il regista riesce a trovare la verità, raccontando chi siamo e cosa ci è successo non attraverso i nostri splendori, ma nelle nostre cadute e fragilità. Nella rabbia costantemente trattenuta di Laura Morante, nel dolore scolpito sul volto di Silvia D’Amico, nello smarrimento mentale ed emotivo di Valerio Aprea e Francesco Scianna e nell’atavica mediocrità del personaggio di Alessio Moneta ci sono sprazzi di vita e di Italia, veri e comprensibili nonostante siano incastonati in uno scenario artificioso e imperniato sulla doppiezza d’animo.
A casa tutti bene – La serie non è la Twin Peaks di Muccino, che non a caso separa nettamente la componente più misteriosa del racconto da quella più concreta, rinchiudendola in flashback visibilmente posticci e dominati da un’apprezzabile tentativo di de-aging all’italiana, ma è piuttosto un nuovo tassello di una carriera in continuo mutamento, che dopo averci raccontato il fallimento dei trentenni (L’ultimo bacio), la crisi dei quarantenni (Ricordati di me) e il percorso esistenziale dei cinquantenni (Gli anni più belli) si spinge ancora oltre, mettendo in luce gli anfratti più reconditi degli over 60, fondamentali per la storia recente di questo Paese. Dopo Anna, Vita da Carlo e Strappare lungo i bordi, una nuova gradita conferma della vitalità della serialità italiana, sempre più propensa ad allontanarsi da storie rassicuranti e consolatorie e a scuotere lo spettatore con tematiche e atmosfere ben più scomode e disturbanti.
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