Sembra una giornata di ordinaria amministrazione al Comando strategico aereo nordamericano. Nel 1964, quindi in piena Guerra Fredda, i sistemi di monitoraggio fanno il loro lavoro, cioè controllare i movimenti avversari e mettere in atto, al primo segnale sospetto, le procedure di preparazione per un attacco aereo. Una routine come un’altra per le autorità militari, ormai abituate a un cessato allarme dopo pochi minuti. Purtroppo, non è questo il caso. Il sistema apparentemente a prova di errore entra in crisi nel momento in cui l’allarme per l’avvistamento di un oggetto volante non identificato coincide con un guasto alle apparecchiature elettroniche a disposizione degli USA. I bombardieri americani fanno così rotta su Mosca, con la missione di sganciare una bomba atomica sulla capitale sovietica. Le speranze per la pace sono affidate al telefono rosso che collega USA e URSS e alle capacità diplomatiche del presidente americano.
Si apre così A prova di errore di Sidney Lumet, basato sull’omonimo romanzo di Eugene Burdick e Harvey Wheeler e chiaramente figlio della crisi dei missili di Cuba, ovvero i 13 giorni in cui il mondo è stato più vicino alla terza guerra mondiale, prima dell’attuale conflitto fra Russia e Ucraina. Un’opera con diversi punti di contatto col capolavoro di Stanley Kubrick Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, che a differenza di Lumet vira lo spunto di un conflitto atomico fra USA e URSS in chiave grottesca, con il fine di mettere alla berlina la mentalità militare e l’atavica tendenza all’autodistruzione del genere umano.
L’intento di A prova di errore, anch’esso purtroppo più necessario che mai, è invece quello di ammonire il mondo sui rischi connessi alla perenne deterrenza innescata dalle armi nucleari, che può fallire in qualsiasi momento, non necessariamente per volontà umana.
A prova di errore: la lezione di cinema di Sidney Lumet
Effetti speciali praticamente assenti (le poche apparizioni dei mezzi militari sono immagini di repertorio), una messa in scena minimale (il racconto si svolge prevalentemente in tre scarne stanze) e l’azione affidata esclusivamente alla forza delle parole, ai ravvicinati primi piani di Lumet e alla capacità attoriale di interpreti formidabili come Henry Fonda (che interpreta il Presidente degli Stati Uniti), Larry Hagman (il timido e ansioso traduttore) e Walter Matthau (il cinico scienziato politico Groeteschele). È questa la ricetta vincente di A prova di errore, che riesce nell’impresa di infondere allo spettatore una sensazione di crescente inquietudine, senza mostrare praticamente nulla dell’escalation militare in atto. Una dinamica già sperimentata da Lumet nel suo memorabile La parola ai giurati, anch’esso con Fonda protagonista e incentrato su una forte tematica sociale, cioè il pregiudizio.
In questo caso, le persone che il personaggio di Fonda non sono con lui, che è rintanato in bunker ad altissima sicurezza, ma sono invece disseminate in varie stanze e in diversi posti del mondo. L’interlocutore principale del presidente degli Stati Uniti è infatti il suo omologo sovietico, chiamato a un doppio atto di fede. Il presidente dell’URSS deve infatti credere sia all’errore tecnologico che ha innescato la procedura di attacco, sia alla volontà da parte degli Stati Uniti di aiutare i sovietici a scongiurare il bombardamento. Fra questi due estremi, si insinua un’umanità estremamente variegata, che va dall’interprete Buck, chiamato a restituire non solo le parole del presidente sovietico, ma anche l’inflessione della sua voce, ai vertici militari delle due nazioni, che si dividono fra pacifisti e guerrafondai.
Coloro che riescono a sopravvivere sono i soli che meritano di sopravvivere?
In una categoria a parte c’è il personaggio più suggestivo e allo stesso tempo inquietante di A prova di errore, il prof. Groeteschele di Matthau: per lui il fine giustifica qualsiasi mezzo e i milioni di morti in ballo sono solo un dato su cui tessere la strategia bellica. Una mentalità riassunta dalla sua raggelante frase «Coloro che riescono a sopravvivere sono i soli che meritano di sopravvivere».
Fra queste fazioni si deve districare il presidente USA, mentre la tensione cresce e il tempo a disposizione per fermare l’attacco cala inesorabilmente. Il personaggio di Fonda si deve continuamente scontrare con la rigidità del sistema militare e tecnologico, che da potenziale risorsa si trasforma invece in invalicabile barriera. Proprio come avviene per l’ordigno fine del mondo del Dottor Stranamore, non c’è infatti possibilità per l’uomo di fermare le procedure di attacco, concepite e attuate in modo tale da portare i piloti dei bombardieri a non credere nemmeno a una telefonata del Presidente o dei loro stessi familiari, le cui voci potrebbero essere replicate o forzate da una minaccia ai loro danni.
Altamente simbolico è poi il fallimento del piano B, cioè la cooperazione fra USA e URSS al fine di abbattere i bombardieri americani prima del punto di non ritorno, cioè la bomba atomica su Mosca. Il livello di tensione e diffidenza reciproca è infatti tale da sabotare anche una possibile azione congiunta, con esiti catastrofici.
Il finale e il messaggio di A prova di errore (attenzione agli spoiler!)
Un sibilo proveniente da un telefono che si liquefa è il segnale inequivocabile che è avvenuto l’irreparabile: Mosca è distrutta. Come riparare a questo disastro? Come evitare l’escalation in un conflitto nucleare che inevitabilmente porterebbe alla morte di gran parte del genere umano? Il presidente USA ha una sola possibile risposta, lo sgancio (questa volta volontario) di una bomba su New York, che testimoni la buona fede del suo popolo e che metta sullo stesso livello di perdite i due nemici. Ma si può davvero rimediare a un’atrocità con un’altra di segno opposto? laceranti fermo immagine di New York pochi secondi prima dell’impatto non ci danno risposta, mentre è lo stesso Presidente USA a suggerire l’unico possibile percorso, ovvero il disarmo atomico e la ripresa del dialogo.
Poco apprezzato all’epoca dell’uscita, anche per il confronto col film di Kubrick, che chiese e ottenne di arrivare in sala per primo, A prova di errore è una pietra miliare che ci parla ancora oggi e ci avvisa dell’equilibrio sempre più delicato su cui si regge il mondo. In giorni in cui anche alte cariche governative parlano senza remore di terza guerra mondiale e bombe atomiche, il racconto di Lumet ci ricorda che anche la minima leggerezza e il più apparentemente innocuo errore possono portare il genere umano a una reazione a catena verso una distruzione pressoché totale. E così, mentre il mondo si dirige velocemente verso l’oscurità, le parole del Dottor Groeteschele si trasformano in un cupo presagio: «Noi non avremmo mai incominciato volutamente, l’ha fatto per noi il sesto gruppo e per errore. E noi dobbiamo approfittarne, la storia lo esige».
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