Forse questo articolo potrebbe essere considerato una sorta di “Bufala tech-special edition”.
Nel senso che nella nostra rubrica settimanale La bufala tech, che esce ogni mercoledì, vi raccontiamo la fake news più eclatante dei sette giorni precedenti. Ma stavolta facciamo gli straordinari.
Il fatto è che oggi viene segnalata da più parti una notizia che non ci sentiamo di darvi troppo in là nel tempo. Per non informarvi di un argomento che – il prossimo mercoledì – risulterebbe già datato. Ma soprattutto perché questa specifica bufala ha caratteristiche distintive rispetto alla maggior parte di quelle su cui negli ultimi tempi abbiamo scritto.
Non si tratta infatti della solita notizia infondata, propagata ad arte dai no vax per fare disinformazione e creare confusione nei cittadini meno avvezzi a filtrare ciò che leggono.
Qui siamo davanti alla riproposizione di un fenomeno che poggia un po’ sulla credulità e un po’ sul timore reverenziale (ovvero sulla passività) che molti di noi hanno nei confronti della tecnologia, e più nello specifico verso le piattaforme social.
Si tratta della cosiddetta bufala “Non autorizzo”, che – già in auge tempo fa – tutelerebbe le proprietà intellettuali degli utenti di Facebook. E che ora è riesplosa col passaggio da Facebook a Meta.
Il ritorno della bufala “Non autorizzo”
Sul passaggio da Facebook a Meta, con la quantità degli articoli che abbiamo dedicato all’argomento (e con quanto se ne è parlato ovunque) sapete già tutto.
In estrema sintesi, con il rebranding annunciato (e avvenuto) al Facebook Connect dello scorso 29 ottobre, si è voluto ufficializzare un mutato interesse del gruppo di Menlo Park. Che nel futuro prossimo concentrerà il grosso delle energie (e delle spese) sul metaverso.
E si è voluto depotenziare il ruolo del social di punta dell’azienda, fiaccato soprattutto dal recente scandalo dei Facebook Papers.
Tuto ciò che era Facebook, insomma, ora ha traslocato in Meta, e il vecchio nome della società è rimasto a identificare la sola piattaforma social.
E quando diciamo che tutto è traslocato, intendiamo anche una bufala che già aveva dilagato tempo fa, confidando in una specie di enorme suggestione di massa. Oltre che sulla scarsa capacità e volontà di reperire informazioni prima di credere a ciò che si legge.
Ma qual è la bufala “Non autorizzo” che è tornata di gran moda? Per una volta, procediamo nella direzione opposta rispetto al solito. Prima leggiamo il testo in questione, poi lo commenteremo e circostanzieremo.
Il testo della bufala “Non autorizzo”
La prima parte del messaggio recita così: “Domani inizia la nuova regola Facebook/Meta dove le tue foto possono essere usate. Non dimenticate che la scadenza è oggi! Può essere usato nei contenziosi contro di te. Tutto ciò che pubblicherai sarà reso pubblico da oggi, compresi i messaggi. Non ti costa niente di più di un semplice copia e incolla. Meglio prevenire in anticipo che intrecci legali e scuse dopo”.
Ed ecco poi la seconda parte, che andrebbe copiata e incollata sul proprio profilo: “Non autorizzo Facebook/Meta o nessuna delle organizzazioni legate a Facebook/Meta a usare le mie immagini, informazioni, messaggi o post, né in passato né in futuro. Con questo comunicato comunico su Facebook/Meta che è severamente vietato copiare, notificare o intraprendere qualsiasi altra mia azione in base a questo profilo e/o ai suoi contenuti. I contenuti di questo profilo sono informazioni private e riservate. La violazione della privacy può essere punita dalla legge: Facebook/Meta è ora un’istituzione pubblica”.
“Non autorizzo” cosa? La bufala
Non serve un filologo o un esperto di diritto per capire come questo testo, che si è diffuso a livello planetario con grande rapidità, faccia acqua da tutte le parti.
A partire da quel “Domani inizia la nuova regola”, dove “Domani” non si capisce a quale giorno di quale anno si riferisca. Vengono in mente quei cartelli, che (giustamente) minano il sistema nervoso dei clienti, appesi alla porta dei negozi, con su scritto “Torno subito”. Ma subito in che senso, e a partire da quando?
Dal punto di vista giuridico, poi, fare copia-incolla di un messaggio non tutela nessuno da nulla. Ricordiamo infatti che una volta iscritti ai social, si cede un’ingente quantità di dati personali. Che magari non sempre vengono usati in modo legalmente ineccepibile. Ma che non possiamo certo recuperare con un semplice messaggio in bacheca. Messaggio che, peraltro, riporta l’assurda (e del tutto contraria alla verità) frase: “I contenuti di questo profilo sono informazioni private e riservate”.
Il ritorno della bufala
Anche la bufala “Non autorizzo”, come tutte le migliori bugie circolanti in rete, non sfugge alla regola aurea. Quella, cioè, di ripresentarsi ciclicamente.
Diverse volte, negli anni, un testo simile (certo, senza la citazione dell’allora sconosciuto Meta) è apparso. E puntualmente è stato condiviso da una grande quantità di utenti. E quando magari i più accorti commentavano in calce, ricordando che quella era un’azione inutile, chi aveva pubblicato il testo rispondeva con frasi tipo: “Provare non mi costa niente”.
L’ultima release della bufala “Non autorizzo” ha spopolato negli Stati Uniti lo scorso novembre, e adesso tocca a noi italiani. Perché magari dubitiamo dell’efficacia del messaggio, ma… provare non ci costa niente.
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API