Avete presente quando ritrovate un oggetto buttato in qualche angolo di casa da tempo e decidete di dargli una seconda vita? A volte accade anche per la musica. Negli uffici della Warner Recods circola da qualche mese una canzone scritta sei anni prima, che però non convince nessuno. Con la capacità di sintesi che solo certi produttori hanno, Mark Taylor ci regala il quadro della situazione in poche parole: “il ritornello piaceva a tutti, tutto il resto no”. Oggi vi raccontiamo la storia di Believe, il singolo che rilanciò la carriera di Cher e cambierà per sempre il mondo della musica.
Ammettiamolo senza paura di essere smentiti: Believe, tutto sommato, non era questo gran capolavoro. È il classico esempio di canzone con numerose falle, frutto di un taglia e cuci continuativo nel tempo. Il risultato di sei anni nei quali sei diversi autori e tre diversi produttori hanno provato a darle un senso. Un senso che non aveva, tanto da restare incompiuta nell’archivio rinominato “vabè poi vediamo” della Warner Records.
Cher alla ricerca di una canzone, una canzone alla ricerca di un interprete
Nel 1998 la carriera di Cher era in fase assolutamente discendente. L’artista, a 52 anni, faticava a trovare la propria nicchia di mercato in un mondo dominato dalle nuove pop star e dai suoni sintetici. Insomma non era più tempo per una veterana delle ballate rock. La Warner decide quindi di giocarsi l’ultima carta: la svolta electropop. Accade così che quella canzone incompiuta, che da ben sei anni passa di autore in autore, si rivela utile.
Cher accetta di cantarla, ma continua a mancare qualcosa. Il produttore Mark Taylor ci lavora giorno e notte, come un alchimista alla ricerca del giusto equilibrio degli elementi. Musicalmente realizza uno dei più spudorati manifesto Eurodisco degli anni ‘90, ma nelle parti vocali tutto è troppo statico.
Believe di Cher: la rivoluzionaria idea dell’Autotune
L’idea rivoluzionaria arriva nel mezzo delle sessioni di registrazione. Ce lo racconta proprio Cher, ai microfoni di Q Magazine nel 2013: “Mentre stavamo registrando Believe, ho visto Roachford in un programma televisivo mattutino. Stava cantando utilizzando un vocoder e una chitarra, e suonava bene”.
Il vocoder è essenzialmente un effetto vocale utilizzato per lo più dal vivo, in grado di codificare la voce e renderla robotica. Caso vuole che proprio l’anno prima, nel 1997, la Antares Audio Technologies avesse lanciato una propria versione dell’effetto, rendendolo un software proprietario chiamato Auto-Tune. Ne sentiremo molto parlare negli anni a venire.
Mark Taylor pensano quindi di aggiungere massicce “dosi” di Auto-Tune alla voce di Believe, soprattutto sul ritornello, rendendo le parti vocali sintetiche e a tratti “plasticose”. Caratteristiche perfettamente in linea con le sonorità electropop della composizione.
È bene sottolineare che, come suggerisce lo stesso nome Auto-Tune, il software era inizialmente nato con l’idea di fornire uno strumento per ritoccare le piccole imperfezioni vocali in fase di registrazione. Ciò che però Cher e Taylor intuirono, è il fatto che il software, se utilizzato in modo estremo, poteva creare un effetto vocale insolito e interessante.
“The Cher Effect”
Nel momento in cui Believe uscì come primo singolo dell’omonimo album in studio di Cher, nel 1998, molti addetti ai lavori non capirono in che modo venne trattata la voce di Cher. Per molti anni si è creduto erroneamente che fosse stato utilizzato un classico vocoder, ma il suono era troppo sintetico per essere tale. In realtà a mettere in giro la falsa notizia che si trattasse di un vocoder fu lo stesso Mark Taylor, per non rivelare al mondo il segreto della sua produzione. Ad ogni modo i critici musicali e la stampa di settore cominciò a riferirsi all’effetto col nome di Cher Effect.
L’impatto culturale dell’uso dell’Auto-Tune (che oggi chiamiamo autotune per riferirci anche ad altri effetti analoghi, non necessariamente di proprietà di Antares) fu devastante. Basti pensare che l’anno seguente, nel 1999, gli Eiffel 65 pubblicarono quella che è la più popolare delle canzoni Eurodance di sempre: Blue (Da Ba Dee) utilizzando proprio lo Cher Effect. Riuscireste a immaginare quel brano senza autotune?
L’utilizzo di Auto-Tune ebbe però anche un altro importantissimo risvolto culturale. Questo svelò al grande pubblico, quello che non aveva familiarità con gli studi di registrazione, che i cantanti in studio potevano essere “aiutati” dalla tecnologia, rompendo quindi quella percezione, assolutamente errata, che i grandi dischi pop che avevano amato erano frutto solo ed esclusivamente del talento vocale dei performer. Taylor riferì che i dirigenti della Warner Records fecero molte pressioni per rimuovere l’effetto dal brano, in quanto era una palese ammissione che nelle produzioni le voci dei cantanti potevano essere manipolate.
Dal punto di vista musicale
Oltre al trattamento vocale, Believe di Cher è caratterizzata da alcuni elementi decisamente interessanti nella composizione musicale. Il brano è stato letteralmente assemblato utilizzando Cubase VST su uno dei primissimi modelli di Power Macintosh G3. Tra i sintetizzatori utilizzati per la registrazione anche un Clavia Nord Rack e un Oberheim Matrix 1000.
La voce di Cher è stata registrata clean (senza effetti) utilizzando un microfono Neumann U67 su tre registratori audio digitali TASCAM DA-88. La voce è stata solo successivamente processata (post-produzione) utilizzando in modo smisurato Auto-Tune di Antares. Mark Taylor ha dichiarato che l’applicazione della correzione vocale è stata “la parte più snervante del progetto”, poiché non era sicuro di come Cher avrebbe reagito all’ascolto. Alla cantante piacque, ai dirigenti Warner molto meno.
Quella che sembra una semplice composizione dance in Fa# a 133 bpm, contiene in realtà alcuni campionamenti non accreditati e non riconosciuti ufficialmente. In particolare è possibile udire sample di Prologue e Epilogue della Electric Light Orchestra.
Il successo commerciale di Believe di Cher
Ritorniamo per un attimo alle origini però: la Warner cercava un modo per rilanciare la carriera di Cher, ci era riuscita? A questa domanda rispondono i numeri. Il singolo Believe esce il 19 ottobre 1998, tre giorni prima della release dell’omonimo album. Il brano arriva al numero 1 nel Regno Unito (ricordiamoci che Cher è americana) dove vende circa 1,7 milioni di copie. In patria le cose vanno più a rilento, ma nel 1999 risulta comunque essere il singolo più venduto dell’anno.
Non solo, la canzone vale a Cher un altro importantissimo primato: l’artista, che nel 1998 aveva 52 anni, diventa la cantante donna più anziana ad avere un brano al numero 1 nel Regno Unito. Primato che mantiene fino al 2022, quando Kate Bush, sull’onda di Stranger Things 4, torna al numero 1 con Running Up That Hill (A Deal With God) all’età di 63 anni e 11 mesi.
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