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Il nuovo Green Deal divide l’Europa

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Mercoledì 14 luglio la Commissione europea ha presentato una serie di proposte per arginare il cambiamento climatico. Ma molti Paesi non hanno risparmiato dubbi e critiche.

Il pacchetto di riforme prende il nome di Fit for 55, ossia “pronti per il 55”. Perché? Perché l’ambizioso obiettivo è quello di trasformare le politiche dell’UE in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità, in modo da ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di (almeno il 55%) entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990.

Come si legge sul sito ufficiale della Commissione europea, “è fondamentale ridurre le emissioni nel prossimo decennio per fare dell’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 e tradurre il Green Deal europeo in una realtà concreta.”

I tre grandi obiettivi del Green Deal

Sempre sul sito ufficiale della Commissione Ue sono espressi i tre macrobiettivi del Green Deal.

Si garantisce che: nel 2050 non siano più generate emissioni nette di gas a effetto serra, la crescita economica sia dissociata dall’uso delle risorse, nessuna persona e nessun luogo siano trascurati.

Leggiamo inoltre: “Il Green Deal europeo è anche la nostra ancora di salvezza per lasciarci alle spalle la pandemia di COVID-19. Un terzo dei 1800 miliardi di euro di investimenti del piano per la ripresa di NextGenerationEU e il bilancio settennale dell’UE finanzieranno il Green Deal europeo.”

Come realizzare il Green Deal: stop allo scambio di quote di emissione

In una pagina dedicata alle strategie messe in atto per concretizzare il Green Deal, si esplicita il pacchetto di azioni necessarie a “fare dell’Europa il primo continente al mondo a impatto climatico zero.”

L’importanza del Green Deal è tale da aver fatto dichiarare alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che si tratta di un evento paragonabile allo sbarco dell’uomo sulla Luna.

Il più massiccio ambito di intervento riguarderà il sistema per lo scambio delle quote di emissione (Ets).

L’iniziativa riguarda 11mila impianti industriali e centrali energetiche dislocate in tutta Europa. Il sistema Ets esiste già, e consiste in un tetto massimo di quantità di gas serra che può essere emesso dagli 11mila impianti. Ma le aziende possono scambiarsi le quote, e – in sintesi – una più inquinante può acquistare le quote di una che inquina meno. Spesso il limite è superato attraverso varie astuzie, ma ora l’Ue intende aumentare i controlli e soprattutto eliminare lo scambio di quote.

Le altre proposte del Green Deal

Tutti i governi saranno spinti a ridurre le emissioni di gas serra e l’uso di combustibili fossili, e ad aumentare l’utilizzo di energie rinnovabili. L’obiettivo è quello di ottenere il 40% di tutta l’energia dell’Unione da fonti rinnovabili entro il 2030.

I governi dovranno installare strutture di ricarica e rifornimento per le auto prive di motori a combustibili fossili. Si punta ad avere una colonnina elettrica ogni 60 chilometri e pompe a idrogeno ogni 150 sulle principali strade d’Europa.

Entro il 2030 il 55% dei nuovi veicoli non potrà andare a diesel o benzina. Stop alla produzione di veicoli con motori a combustibili fossili entro il 2035.

Sott’occhio l’uso dei combustibili fossili anche nei settori aereo e navale.

Verrà creato un fondo per aumentare l’efficienza energetica degli edifici, mentre le aziende straniere che importano prodotti a elevato impatto climatico dovranno pagare severe tasse.

Verso un difficile accordo

Il pacchetto delle proposte dovrà ora essere accolto dai vari leader dei Paesi dell’Ue, e dallo stesso Parlamento europeo.

La strada però sembra in salita: alcuni Stati sono scettici a dare l’ok alla riduzione di emissioni, altri sono piuttosto preoccupati delle ricadute che il Green Deal potrebbe avere sui consumatori. Si sono creati due schieramenti, che sostanzialmente chiedono non l’annullamento ma una modifica del piano d’azione.

Vediamo dunque le varie reazioni al composito e ambizioso insieme di proposte, e capiamo perché il Green Deal non sarà di così facile attuazione.

Il fronte franco-italiano

Chiamiamo così, per semplificare, il primo raggruppamento di Paesi scettici, composto da Francia, Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo.

A essere criticati sono soprattutto i contributi che ogni singolo Stato dovrà versare per realizzare il Green Deal, e l’inevitabile aumento delle tasse sulla benzina. Che, ricordiamolo, in Francia è stato uno dei capisaldi delle proteste dei gilet gialli.

Il fronte dell’Est

C’è poi il gruppo composto dalla quasi totalità dei Paesi dell’Est europeo, che temono ci si avvii verso una troppo rapida decarbonizzazione.

Paesi come la Polonia, infatti, hanno ancora una massiccia presenza di centrali a combustione fossile.

Il futuro del Green Deal

Il Green Deal mette in luce le spaccature tra i vari strati Ue, e le preoccupazioni delle fasce più deboli della popolazione. A ciò si aggiungano i problemi internazionali. Ripensare all’Europa in chiave verde significa guardare oltre ai confini dell’Ue, ragionando in termini di geopolitica.

Indispensabile sarà un accordo con gli Stati Uniti per una definizione di standard globali sul clima. Così come uno con la Russia, dal cui gas dipendono nazioni come Germania e Italia.

Va infine considerata la Cina, maggior produttore di emissioni inquinanti al mondo.

Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API

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