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Case italiane scomparse: Innocenti, l’inglese d’Italia tra MINI e Lambretta | Auto for Dummies

Innocenti, la Casa italo-inglese tra MINI e la Lambretta ora congelata

Dopo la carismatica De Tomaso e la nostalgica Autobianchi, torniamo nei dintorni di Milano dove, proprio in concomitanza con la Casa fondata da Edoardo Bianchi, nasceva un’altra realtà automobilistica pronta a fare la guerra alle grandi Alfa, Lancia e soprattutto FIAT. È la Innocenti, azienda nata a Milano nel 1933 ma che negli anni ’50 e ’60 cominciò a trovare il suo spazio grazie alla moto Lambretta e alle auto, inglesi prodotte su licenza. Dietro Innocenti si nasconde un piccolo mondo di occasioni colte al momento giusto, errori, rivolte sindacali degli anni ’70 e ottimi progetti lasciati troppo presto. Siete curiosi di conoscerla? Benvenuti ad Auto for Dummies, la rubrica che vi racconta il la storia mondo dell’auto in maniera semplice. Pronti ad andare sulla riva del Lambro?

I primi anni di Innocenti segnati dalla Lambretta

Come ormai da tradizione, partiamo dai primi vagiti della Casa di oggi, Innocenti. L’azienda nasce nel 1933 a Milano dal suo vivace fondatore, Ferdinando Innocenti, originario di Pescia, in provincia di Pistoia. L’imprenditore toscano era infatti stato protagonista di diverse imprese nella regione d’origine fin da giovanissimo, e decise di trasferirsi a Milano per sfruttare la sua esperienza nella produzione siderurgica.

Nel quartiere di Lambrate, Innocenti fonda un’azienda specializzata in snodi per tubi d’acciaio, i famosi tubi Innocenti utilizzati ancora oggi nei ponteggi edili. Dopo una decina d’anni di buoni risultati nell’industria siderurgica, però, negli anni ’40 arriva la svolta per Innocenti. La produzione, a causa dell’entrata dell’Italia nel Secondo conflitto mondiale costrinse Innocenti a convertire la produzione civile per l’industria bellica. In questo contesto, gli snodi per le impalcature sono pressoché inutili. Innocenti così decide di puntare sulla produzione meccanica, che diventerà poi il principale ramo dell’azienda.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Milano è stata la città italiana più colpita dai bombardamenti Alleati. Tra le macerie della città, non è stata risparmiata neanche la fabbrica Innocenti di Lambrate, pressoché rasa al suolo. Era il momento di rimboccarsi le maniche. Grazie alla enorme richiesta di ponteggi per le ricostruzioni, Innocenti grazie ai suoi morsetti ebbe linfa vitale, che consentì all’azienda di pensare di espandersi in un altro mercato. Quale però? Fu proprio in quel momento che Ferdinando Innocenti ebbe un’illuminazione.

Innocenti trasse ispirazione dalle motociclette americane arrivate in Italia durante la Guerra, e apprese le conoscenze necessarie per produrre questi mezzi dalla collaborazione avuta con gli Alleati nella Liberazione. Innocenti inoltre notò la loro diffusione anche a conflitto finito. Un mezzo semplice, robusto, facile ed economico, perfetto per l’Italia pronta per ripartire. Fu così che allora Innocenti affiancò ai tubi e ai ponteggi il suo primo mezzo di trasporto, la Lambretta.

L’anti-Vespa milanese, dall’insuccesso della prima versione a vera antagonista

Nata nel 1947, un anno dopo la mitica Vespa di Piaggio, rispetto al concentrato di stile e romanticismo della creatura di Pontedera contrapponeva un approccio più pragmatico, più… milanese. La prima versione, la Lambretta M, era stata sviluppata a Roma dagli ingegneri Innocenti, scampati all’occupazione nazista di Milano, ed era quanto di più semplice e robusto si potesse pensare. La Motociclo aveva infatti meccanica a vista, telaio tubolare con carrozzeria separata, ruote da 7 pollici ed era persino priva dell’ammortizzatore posteriore.

Credits: ruotedasogno.com

Le finiture erano però molto curate, i cavi dell’impianto elettrico non erano a vista e la chiave di accensione e bauletto identiche. Il prezzo, però, era oltre il doppio della rivale Piaggio, anche a causa dell’impraticabilità dello stabilimento di Lambrate. La Lambretta, chiamata così in onore del fiume Lambro, sulle cui rive si trovava lo stabilimento Innocenti, dovette aspettare oltre un anno, per ricevere la versione pronta a rivaleggiare con Vespa, la Lambretta B. Le ruote passano a 8 pollici, più grandi e quindi migliori sia sulle buche che come tenuta di strada. Al posteriore arriva finalmente una sospensione, e il cambio passa dal pedale (scomodo su uno scooter) al classico cambio a manubrio. Ora, poi, lo stabilimento Innocenti di Lambrate era tornato agibile e pronto, consentendo a Innocenti di riassumere tutti i suoi operai e soprattutto di abbassare il prezzo della sua Lambretta.

Credits: ruotedasogno.com

Con il suo motore 125, la tipica sella sdoppiata e spaziosa e il motore a vista, la Lambretta diventò l’anti-Vespa per eccellenza. Le giovani famiglie italiane, desiderose di un mezzo di trasporto privato, invasero le strade con Vespa e Lambretta, con queste due che divisero e dividono ancora oggi le preferenze. La Lambretta fu anche prodotta su licenza in molti Paesi (Germania, Francia, Spagna, Taiwan, Brasile, Colombia, Argentina) ma soprattutto in India, dove la Lambretta ebbe un successo strepitoso terminando la produzione solo nel 1997. La produzione italiana invece arrivò fino al 1972, quando gli italiani, ormai votati all’automobile, abbandonarono gli scooter come mezzo di trasporto principale.

L’arrivo degli inglesi: l’accordo tra Innocenti e la British Motor Company

Nel frattempo, però, con il successo di Lambretta il figlio di Ferdinando Innocenti, Luigi, aveva un altro sogno nel cassetto. Visto il successo dell’azienda di famiglia in un campo fino al debutto di Lambretta mai sperimentato, Luigi Innocenti sognava l’approdo nel mondo dell’automobile. Ferdinando Innocenti però non vedeva di buon occhio l’auto, perché riteneva (a ragione) che fosse fin troppo costoso produrre da zero un’automobile valida, e che fosse impossibile fare la guerra ad un colosso come FIAT.

E, in realtà, aveva indubbiamente ragione. Una moto semplice come Lambretta era sostenibile dalla piccola azienda milanese, ma l’automobile era tutt’altro impegno. Inoltre, una volta scoperte le intenzioni di Innocenti fu la stessa FIAT a porre un veto sull’entrata in competizione diretta di Innocenti. L’azienda milanese infatti insieme a tubi e motociclette produceva anche presse industriali, ed era il primo fornitore di questi macchinari per FIAT. La Casa torinese allora vietò a Innocenti di sviluppare da zero un’automobile rivale.

Ma, come si dice, fatta la legge… fatto l’inganno. Luigi Innocenti, ormai sempre più partecipe delle fortune dell’azienda, cominciò a contattare diverse Case europee per la produzione su licenza di vetture estere. All’epoca, infatti, per preservare le aziende nazionali erano previsti dazi e balzelli piuttosto importanti per le vetture d’importazione. Per questo, un’azienda che si impegnasse per la produzione di automobili su licenza era un’occasione ghiotta per tante Case. A spuntarla però fu la BMC, la British Motor Company, che convinse Innocenti a produrre la sua Austin A40 Farina.

Si tratta di una berlina media, che come lascia intendere il nome è dotata di una carrozzeria disegnata da Pininfarina, e di motori Austin A-Series compresi tra i 950 e 1200 di cilindrata. La A40 è un’auto elegante e raffinata, pratica ma con un tocco di eleganza e lusso che la rendeva differente da qualsiasi altra auto FIAT. Questo fece cadere il veto da Torino, e così Innocenti firmò un accordo settennale con BMC. Come vedremo, 7 anni sono davvero pochi per una vera pianificazione, consentendo a Innocenti di navigare solo “a vista”.

Il successo della Innocenti A40, e l’arrivo della 950 Spider e della IM3

La nuova Innocenti A40 cominciò ad uscire dagli stabilimenti di Lambrate nel 1960, sancendo il debutto della Casa milanese tra i grandi dell’auto italiana. L’automobile, dal canto suo, ebbe il suo successo. Elegante, piacevole da usare e diversa dalle solite FIAT, Lancia o Alfa Romeo, la A40 prodotta in Italia aveva anche un enorme vantaggio rispetto alle parenti Austin realizzate in Inghilterra: la qualità e le finiture.

Nonostante a livello estetico e meccanico fosse identica alla controparte britannica, la A40 italiana sfoggiava assemblaggi migliori, finiture più curate e dotazioni da auto di categoria superiore. Questo portò la Innocenti A40 ad ottenere un ottimo successo di vendite, quasi insperato per la prima auto di una Casa emergente. I problemi dell’accordo in posizione di netto svantaggio con il colosso inglese però si fecero sentire presto. Nonostante la qualità delle A40 italiane, Innocenti aveva scritto nero su bianco sul contratto con BMC l’obbligo di vendere i suoi prodotti solo sul territorio nazionale. Nessun export quindi, per un’auto che con la sua qualità costruttiva avrebbe potuto convincere clienti in tutta Europa.

Nonostante questo, però, la collaborazione con BMC permise a Innocenti la chance di avere accesso ad una serie di basi meccaniche molto interessanti e valide. Oltre alla Austin A40, infatti, a Lambrate sfruttarono la meccanica di un’altra ottima auto inglese, la mitica Austin-Healey Sprite, per produrre la prima Innocenti “originale” almeno nell’estetica, la 950 Spider. Dotata dello stesso motore 950 da 43 CV della Frogeye Sprite, e successivamente del più potente 1100 da 58 CV, la 950 Spider sfoggia una linea tipicamente italiana realizzata da Tom Tjaarda, designer di punta di Ghia.

Nacque anche la versione coupè, la Innocenti C, e in totale circa 7.000 sportive uscirono dalle fabbriche di Lambrate tra il 1960 e il 1968. Dopo questo exploit, nel 1964 arrivò anche la terza auto di Innocenti, la IM3. La Innocenti-Morris Terzo Modello altro non era che una versione riveduta e corretta della Morris 1100, una berlina di fascia media ma dalle dimensioni più grandi della A40. Dotata di un frontale rivisto da Pininfarina, la IM3 e le “sorelle” I4 (dotata dello stesso frontale delle Morris inglesi, motore da 48 CV anziché 55 e interni semplificati) e I5 (identica alla IM3 ma con frontale inglese) si fecero spazio grazie ad un ottimo rapporto qualità-prezzo.

In cantiere, in questi anni, c’era anche una coupé dotata del V6 Ferrari Dino. Innocenti e Ferrari lavorarono a stretto contatto e realizzarono anche dei prototipi, ma nel 1964 il progetto naufragò a sorpresa. La collaborazione con BMC invece stava andando più che bene, ma nel 1965 tutto cambiò per il meglio.

Il Boom Innocenti arriva con la MINI: le Innocenti MINI tra Minor e Cooper

In quell’anno, infatti, BMC decise di dare a Innocenti il suo cavallo di battaglia, la MINI. In realtà, la MINI era già venduta in Italia da BMC con i marchi Morris e Austin, ma il successo era limitato. A causa dei dazi doganali e delle tasse sulle vetture d’importazione, la bella e pratica MINI da auto popolare come in UK era l’utilitaria d’élite, e quindi ben poco diffusa.

In Inghilterra, visto l’ottimo lavoro svolto da Innocenti, decisero di permettere alla Casa italiana la possibilità di produrre la mitica MINI. E il veto da parte di FIAT di creare utilitarie? Questo era ancora presente, ma dopo qualche anno la Casa torinese capì che Innocenti era si una rivale, ma anche un’alleata contro l’avanzata delle aziende straniere. Nonostante le auto Innocenti fossero inglesi, infatti, i lavoratori che le producevano erano italiani, e gli introiti delle vendite finivano sempre in Italia. Così, FIAT diede il suo benestare al debutto della creatura di Alec Issigonis, e nel 1965 l’Italia conobbe la Innocenti MINI.

Come con le precedenti vetture, però, a Lambrate non si limitarono a creare una semplice copia carbone. Le MINI italiane avevano dei dettagli estetici decisamente più curati, come la griglia anteriore, i fari e le cromature. All’interno, poi, tra moquette morbida, sedili e pellami di qualità e un abitacolo meglio rifinito, la MINI by Innocenti era decisamente più curata e rifinita delle controparti inglesi. Innocenti poi creò una bella gamma, che partiva dalle semplici ed economiche Minor per arrivare alle sportive Cooper. Dotate di motori 4 cilindri Austin A-Series 850, 1000 o 1300, le MINI Innocenti sono ancora oggi le più ricercate in tutta Europa grazie ad una messa a punto ottimale e a interni ancora più curati. Con la MINI, Innocenti fece il botto. Memorabili poi sono la lussuosa 1001, la familiare Traveller e le mitiche Cooper.

Al successo sul mercato, però, si contrappone l’inizio della fine a livello societario. Nel 1966, infatti, Ferdinando Innocenti muore stroncato da un infarto dopo anni di difficoltà fisiche. Al suo posto si insedia Luigi, che però non ha la stessa fame e fiuto del padre. Dopo aver prolungato il contratto con BMC, Luigi nel 1969 decise che la vita da Presidente era troppo per lui. In quell’anno, infatti, i moti sindacali e le instabilità del Paese minarono le sue certezze, tanto che alla fine dell’anno decise per la cessione a pezzi dell’azienda del padre. La sezione moto andò agli indiani, mentre l’IRI diventò proprietaria della sezione metalmeccanica. E l’auto? Dopo diverse trattative con Alfa Romeo, FIAT e con Honda, Renault, Volkswagen e Mitsubishi, nel 1971 Innocenti cominciò il percorso di acquisizione da parte di BMC. Anzi, dalla British Leyland, nome adottato nel 1970 dal Gruppo inglese produttore di automobili.

Dalla Austin Allegro alla prima auto by Innocenti, la Nuova MINI di Bertone

Nel 1972 nasce così la Leyland Innocenti. Il nuovo Amministratore Delegato, Geoffrey Robinson, riprende in mano l’azienda. La ripartenza doveva per forza basarsi sul modello di maggior successo della Casa, la MINI. Nel 1971, Innocenti si affaccia al mercato europeo con le MINI Export. Le piccole MINI italiane furono prese d’assalto dai clienti di diversi Paesi europei, constatando la bontà delle modifiche Innocenti.

Per l’Italia, invece, Robinson decise di fermare la produzione di tutti i vetusti modelli Austin e Morris. In UK, infatti, era appena arrivata la sostituta delle medie delle due Case, la Austin Allegro. Automobile onesta e robusta, ma dalla scarsa qualitàcostruttiva a causa dei tumulti sindacali in UK e dalle linee poco aggraziate, nel 1974 arriva la Leyland Innocenti Regent. Si tratta a tutti gli effetti di una Allegro con il marchio Innocenti. Disponibile come 1300 e 1500 e da finiture ottime, la Regent non fu apprezzata dal pubblico italiano, e nel 1976 venne accantonata.

Nel frattempo, in Innocenti si convinsero che ormai il progetto MINI fosse si valido, ma decisamente vetusto. FIAT con la sua 127 e Alfa con la sua Alfasud avevano rivoluzionato il mercato delle piccole tra i 900 e i 1200 cm3, e anche Autobianchi con la sua A112 faceva una guerra spietata alla MINI sul suo stesso campo di vettura chic e raffinata. Robinson allora decise di dare fiducia ad un progetto rimasto sugli scaffali Innocenti per diversi anni. A metà anni ’60, infatti, Luigi Innocenti commissionò a Bertone il progetto di un’automobile delle dimensioni della MINI ma con linee e contenuti molto più moderni.

L’estetica era merito del mitico Marcello Gandini, e sfoggiava linee moderne che richiamavano anche alcune Supercar uscite dalla matita del designer torinese. La linea a cuneo e i fari squadrati erano un vero tratto distintivo. Il progetto tornò d’attualità, ma con una meccanica necessariamente differente. Il progetto della MINI by Innocenti prevedeva sospensioni differenti e motori totalmente nuovi. British Leyland invece, comprensibilmente, decise di utilizzare la base meccanica (motori e telaio) di MINI. Nacquero così nel 1974 le Innocenti Nuova MINI 90 e 120, che si ponevano come dirette rivali della A112. L’automobile era ben riuscita, moderna (nonostante il design di quasi 10 anni!) e raffinata, ma il successo tardava ad arrivare.

La vendita disperata di Innocenti e il fallimento di British Leyland

Il prezzo era infatti piuttosto impegnativo, e la meccanica MINI era ormai piuttosto superata. Il problema più grande arrivò però alla fine del 1974, quando British Leyland cominciò ad affondare, sepolta da debiti e problemi economici e sociali. Nell’Inghilterra di Margaret Thatcher di quegli anni, le rivolte sindacali e i continui scioperi misero a durissima prova l’automobile inglese. I modelli Leyland degli anni ’70 erano progettati male e assemblati ancora peggio, con una produzione a dir poco a singhiozzo.

Con questi problemi, la dirigenza Leyland si vide costretta a puntare sulle auto prodotte in UK, lasciando indietro le altre. Così, Innocenti si trovò di fronte ad uno scenario senza ritorno, senza che fosse colpa sua. La BL, infatti, dopo poco venne nazionalizzata dal Governo britannico per evitarne il fallimento. E Innocenti? Venne messa in fretta e furia in liquidazione, gli operai in cassa integrazione e il futuro a dir poco incerto. Oggi, una situazione del genere porterebbe ad un fallimento certo, ma quelli erano gli anni ’70.

Il Governo italiano, che all’epoca appoggiava incondizionatamente i sindacati e la difesa strenua del lavoro, cominciò a cercare una soluzione. Nel frattempo, gli operai Innocenti di Lambrate, spaventati e preoccupati, iniziarono un lunghissimo sciopero di 132 giorni. Dopo diverse trattative con Case italiane, estere, europee e giapponesi, lo Stato decise di affidare Innocenti a GEPI e ad Alejandro De Tomaso. Il nostro istrionico manager argentino diventò Amministratore Delegato di Innocenti, e con un ingente finanziamento pubblico rimise in piedi la Casa, inizialmente facendo ripartire la produzione della nuova MINI.

L’arrivo di De Tomaso e della meccanica Daihatsu: il successo insperato delle Nuove MINI

Come abbiamo visto l’altra volta, però, il nostro argentino preferito non era solito lasciare una Casa così com’era. La Nuova MINI, nel frattempo rimasta unica auto prodotta da Innocenti, cambiò infatti diverse volte forma e formula. Dopo oltre 6 mesi di stop, nel 1976 ricominciò la produzione della MINI Bertone, dotata ora di una versione De Tomaso più sportiva. Dotata del classico motore 1275 portato a 70 CV, la MINI De Tomaso era la perfetta top di gamma di un modello ricercato e apprezzato.

Nel 1981, però, finì il contratto di fornitura di motori Austin Serie A per la piccola Bertone. De Tomaso, per ovviare al problema, intuì un concetto che oggi è alla base dell’auto moderna. Sulle auto piccole, infatti, per De Tomaso non serviva un motore a 4 cilindri. Il futuro erano motori a 2 o 3 cilindri. Grazie alla cilindrata unitaria più alta, i motori erano più pronti ai bassi, più affidabili e più efficienti. Un concetto oggi esasperato dal downsizing, ma già teorizzato e messo in pratica da De Tomaso. Come? Scegliendo la fornitura del maggior esperto dell’epoca di motori a 3 cilindri: Daihatsu.

Nacque così la Innocenti Minitre, la prima auto italiana a 3 cilindri. Dotata di un motore derivato da quello della coeva Daihatsu Charade, i motori giapponesi portarono affidabilità e bassi consumi. Inoltre, le vecchie sospensioni a coni di gomma delle MINI vennero accantonate per un sistema più tradizionale, ispirato alla 127. Il 1.0 Daihatsu venne poi declinato in diverse versioni, da 500 a 900 cm3, persino in una particolare versione da 0.6 litri e 2 cilindri. Al top della gamma c’era poi la MINI De Tomaso Turbo, dotata del 1000 sovralimentato con turbocompressore capace di oltre 72 CV. Arrivano poi anche le versioni a passo lungo, ma soprattutto cambia la destinazione di queste MINI Bertone.

Non si tratta più infatti di modelli ricercati e lussuosi. Le Nuove MINI con motore Daihatsu sono vetture comode, pratiche e con una linea riuscita, ma ora molto più pratiche e spartane, sia a livello di dotazione che di prezzo. Con questa nuova “storia”, le MINI by De Tomaso sono tornate ad un ottimo successo di vendite, seppur con ricavi minori.

Innocenti passa in FIAT: arrivano la Yugo e la Uno rimarchiate

A causa dei problemi di salute di De Tomaso, però, nel 1990 arriva l’ennesimo terremoto per Innocenti. La Casa, da pochissimo accorpata a Maserati (sempre di proprietà di GEPI e De Tomaso), venne acquistata da FIAT. La Casa torinese aveva in mente di migliorare ulteriormente il progetto MINI (ora rinominato, ironicamente, Small), ma non solo. Lo stabilimento di Lambrate doveva, nelle idee di FIAT, produrre anche FIAT Panda, oltre che altri modelli del Gruppo.

Nel 1993, però, a sorpresa chiuse lo stabilimento di Lambrate, lasciato vuoto e restituito alla Città di Milano da FIAT. Con lui, si chiuse anche la storia della Innocenti Nuova MINI, si dice cancellata anche per evitare la concorrenza con la nuova Cinquecento, che sorprendentemente vendeva meno della vetusta Small Bertone. Il marchio Innocenti però non sparì, ma divenne una sorta di brand low cost di FIAT. Con il marchio Innocenti arrivò in Italia, ad esempio, la Koral, che altro non è che la versione rimarchiata della mitica Zastava Yugo. Progetto venduto alla Casa serba da FIAT e basato sulla 127, la Yugo è un’auto molto spartana ed essenziale, venduta anche negli USA.

Disponibile anche come cabrio, la Koral ebbe un ridottissimo successo. Più fortunate furono le Mille, Mille Clip ed Elba. Cosa sono? Semplicemente, le FIAT Uno prodotte fuori dall’Italia e vendute con il marchio Innocenti. La Mille altro non è che la FIAT Uno brasiliana (nota infatti come Mille in Brasile). La Mille Clip è invece la Uno prodotta in Polonia, mentre la Elba è una particolare versione station wagon della Duna, la Uno a tre volumi e prodotta in Brasile. Grazie ad un prezzo stracciato e all’amore del mercato per la Uno, appena uscita di produzione, le Mille e Elba vendettero in numeri consistenti. Il successo, però, fu quanto mai effimero. Nel 1997, con l’uscita delle Mille, il marchio Innocenti venne dismesso, e ancora oggi attende polveroso la sua occasione sugli scaffali FIAT.

La chiusura e le tante voci di un ritorno: ancora adesso Innocenti dorme tra i marchi Stellantis

Nel corso degli anni, Innocenti è stata spesso citata per un possibile ritorno sulle scene. La stessa Palio, sostituta spirituale delle Innocenti Mille, doveva essere commercializzata con il marchio Innocenti. FIAT, però, decise per il brand torinese, più conosciuto all’estero. Negli anni 2000, poi, diverse volte sembrava la volta buona. Nel 2008, l’AD di FIAT Sergio Marchionne lanciò l’idea di un marchio Innocenti come un brand low cost simile a ciò che è Dacia per Renault. Dopo le prime bozze, però, il progetto cadde nel dimenticatoio.

L’idea ritornò sui giornali nel 2009 e poi un’ultima volta nel 2013, senza però mai diventare realtà. Oggi, il marchio Innocenti è ancora di proprietà FIAT, facente quindi parte della famiglia Stellantis. Le possibilità di vederlo rinascere, però, sono davvero minime. In realtà, però, una piccola parte di Innocenti è ancora viva. Nel 2017, infatti, è nata a Lugano la Innocenti S.A., che produce una riedizione della mitica Lambretta. Certo, non è la stessa cosa, ma per ora ci dobbiamo accontentare.

E con questa nota agrodolce si chiude anche questa puntata di Auto for Dummies. Anche oggi abbiamo visto una storia davvero appassionante ed emozionante di una Casa che ha fatto la storia dell’automobilismo italiano ma che oggi è rimasta purtroppo dimenticata. I modelli Innocenti, però, hanno portato un po’ di fascino british sulle strade italiane, ma con la qualità e lo stile che ci rende celebri in tutto il mondo. Per oggi, ci fermiamo qui. Voi avete mai guidato o posseduto una Innocenti? E quale marchio vi piacerebbe approfondissimo la prossima volta? Fatecelo sapere qui sotto nei commenti! Per oggi ci salutiamo, ma l’appuntamento rimane sempre qui, su techprincess, ogni venerdì. Ciaoo!

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Autore

  • Giulio Verdiraimo

    Ho 22 anni, studio Ingegneria e sono malato di auto. Di ogni tipo, forma, dimensione. Basta che abbia quattro ruote e riesce ad emozionarmi, meglio se analogiche! Al contempo, amo molto la tecnologia, la musica rock e i viaggi, soprattutto culinari!

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