Un clamoroso caso di cronaca, un viaggio negli abissi di una vicenda insidiosa e livida, scomparsa dalla memoria storica di una nazione che dopo vent’anni ha dovuto fare i conti con i propri fantasmi.
Tra il 1997 e il 1998 sedici bambini tra i comuni di Massa Finalese e Mirandola, in provincia di Modena, furono allontanati dalle loro famiglie, accusate di far parte di una setta di satanisti pedofili. Sedici bambini, sottratti per sempre alle loro famiglie e trasferiti in località protette, raccontano a psicologi e assistenti sociali dei veri e propri racconti dell’orrore. Ripercorrendo la cronaca di una vicenda traumatica e dolorosa, per anni dimenticata e rimossa, Pablo Trincia assieme ad Alessia Rafanelli ci consegna un racconto sconvolgente, coraggioso, figlio di un’indagine durata anni, composto da una scrittura incalzante e uno sguardo asciutto e lucido, costretto a muoversi su terreni spesso insidiosi.
Il formato è il podcast, Veleno, in sette puntate pubblicato sul sito de La Repubblica, a cui sono seguiti il libro edito da Einaudi e la docu-serie distribuita da Amazon Prime Video, e il risultato è un prodotto capace di creare un senso di vertigine, in cui diventa arduo individuare e identificare quale sia esattamente la verità. Dalla storia dei Diavoli della Bassa Modenese sono derivati cinque distinti processi penali, che hanno avuto esiti differenti, il cui risultato a monte è stata la dissoluzione di intere famiglie. Una storia torbida e prismatica di cui abbiamo parlato con il suo autore e voce narrante, Pablo Trincia.
L’intervista all’autore di Veleno, Pablo Trincia
Cosa ti ha convinto a volerti cimentare in una indagine così complessa?
“Io volevo già fare questo esperimento, cioè immergermi in una storia ed entrarci dentro, invece che passarci una settimana o dieci giorni e poi passare a qualcos’altro. Questa storia mi ha risucchiato completamente: sto ancora riguardando gli atti a distanza di sei anni. Dopo l’intervista di Davide mi sta chiamando il mondo: nuove testimonianze, nuove persone, nuovi dati. Ovviamente vado avanti, anche se ormai non so più come scriverla, è già uscita su tutti i formati. Magari la metterò su Facebook”.
“Volevo trovare una storia in cui immergermi e questa storia qui mi ha risucchiato; è un’esperienza molto bella e necessaria per chi fa il nostro lavoro, sporcarsi le mani ed entrare dentro una storia, starci, conoscerla, io così ho fatto ed è diventata un’ossessione”.
Hai avuto difficoltà per trovare qualcuno che la pubblicasse?
“All’inizio era impossibile, non la voleva nessuno. L’ho proposta a radio, giornali online. Poi ad un certo punto ho cambiato formato e l’ho proposta come libro, come serie tv, mi hanno detto tutti di no, quando andava bene, quando non andava bene neppure mi rispondevano. Nessuno ci credeva, dicevano che la pedofilia è un argomento che non funziona. Ho cercato di spiegare che non era la pedofilia il vero centro del racconto ma la memoria, le relazioni familiari, i rapporti, le distanze, la giustizia, ci sono talmente tanti temi che non si può ridurre tutto agli abusi sessuali”.
Pablo Trincia ci racconta Veleno: dal podcast alla serie tv
La forma e il montaggio
“Ho studiato tantissimo i podcast americani. Veleno è un prodotto televisivo come struttura; la struttura di Veleno è quella di Breaking Bad, abbiamo adottato quel modello ovvero pre sigla, sigla e poi la puntata con il cliffhanger, con un colpo di scena finale, questo almeno per le singole puntante. Come serie sapevamo che dovevamo creare uno switch all’interno dello svolgimento della serie, quindi inizialmente dare un’impressione poi creare un capovolgimento. Il nostro obiettivo è che tutti ascoltassero tutta la serie e tutte le puntate fino alla fine”.
“Questo lo ottieni quando crei uno switch narrativo che ribalta la storia, quando per intenderci perdi tutti i riferimenti e non senti più la terra sotto i piedi. Questo era l’effetto che volevamo ottenere, non avere più punti di riferimento perché è esattamente quello che questa storia è, una storia in cui ad un certo punto si perdono i punti di riferimento, dove vale tutto e non vale più niente. Volevamo ricreare questo senso di stordimento. Anche perché è diversa dalle altre storie, in cui esiste il rapporto causa-effetto, in cui è tutto molto logico, qui di logico non c’era niente”.
“La radio si sente, il podcast si ascolta. Tantissime persone ci hanno scritto dicendoci che l’hanno ascoltato tutto, che l’hanno capito. Il fatto che sia uscito su più formati ti permette di approfondire: la mole di informazioni è tanta”.
Nelle autorità che hanno gestito questo caso c’è stata più incompetenza o malafede?
“Tutti credevano in questa storia, e credevano che fosse andata così. Se c’è stata malafede è subentrata in un secondo momento; era difficile credere ad un certo punto che quelle cose fossero vere, non perché non potessero succedere, ma perché non c’era un riscontro, non c’era nessuna logica, erano racconti che si contraddicevano in continuazione, che non avevano nessun incastro, non c’era uniformità. Se l’idea era selezionare solo gli elementi che interessavano, facendo il cosiddetto cherry picking, per confermare una versione o un’idea, allora puoi comportanti in quel modo”.
“Ci sono delle cose che ormai non si possono sapere davvero, perché se le indagini vengono condotte in quel modo non ha più senso porsi domande sulla veridicità; bisogna basarsi esclusivamente sugli elementi probatori, e quegli elementi non stavano in piedi, non c’era alcuna certezza che quei bambini avessero subito abusi dal punto di vista medico, i periti hanno constatato che non si può sapere, ci sono dei dati indicativi che possono voler dire come possono non voler dire”.
“Io mi basavo su quello che veniva detto, su quello che veniva dimostrato, non sono mai uscito da questo paradigma, non ho mai cercato di capire se la storia potesse essere successa, non è qualcosa che puoi sapere. Quello che sappiamo è che le indagini sono state condotte in un modo tale per cui una signora, madre di famiglia, che mandava i figli al catechismo, che faceva la volontaria all’Unitalsi, devota cristiana, si è ritrovata accusata di satanismo con zero prove. I bambini venivano allontananti, venivano divisi, intere famiglie sono state fatte esplodere”.
Pablo Trincia: Veleno, memoria e verità
“Tutto questo avviene perché è serpeggiata per anni un’ideologia che ha attraversato i continenti, dagli Stati Uniti all’Europa, che è l’ideologia che c’è dietro questi psicologi, questi professionisti. C’era un ex giudice onorario del tribunale dei minori di Bologna che in un’intervista ha dichiarato che in ogni città esiste una setta satanica, in ogni città italiana: ma dov’è la prova?”
“Questa persona fa parte di quel gruppo, di quel network, questo ti fa capire che nel momento in cui una persona crede in queste cose è un po’ come se andasse a cercare unicamente quel che supporta la sua tesi. Poi è successo nella Bassa Modenese, ma è successo anche a Brescia, è successo a Bergamo, è successo probabilmente a Bibbiano, a Salerno. È qualcosa che emerge ovunque in tutte le epoche, è un fenomeno che però non risponde solo alle leggi storico-geografiche o a quelle coincidenze”.
Prima e dopo Veleno
“Il lavoro di inchiesta è un lavoro che riguarda il futuro, non riguarda solo il passato, cerca nel presente, cerca nel futuro, si muove attraverso tre dimensioni, tre spazi temporali. Ancora oggi devo sentire persone che mi stanno contattando a proposito di quel periodo e che mi vogliono dire delle cose nuove, e vado avanti, perché ormai questa è una storia di tutti, è un’inchiesta di tutti, che è quello che avrei voluto sempre. Il mio grande sogno era che questa storia diventasse la storia di tutti; non volevo che fossi l’unico a occuparmene, volevo che tutti se ne occupassero bene, con cura e con attenzione”.
“Veleno è come se avesse determinato un prima e un dopo. Per me è semplicemente come se la storia proseguisse come uno stream; Veleno significa telefonate con persone, con i ragazzi che mi hanno contattato, con cui siamo rimasti amici, ci sentiamo spessissimo. Veleno continuerà, non so in che formato. Ci saranno altre cose, non so in che forma, ma finché verrò contattato e scoprirò cose le pubblicherò e ne scriverò”.