Sono volata in Giappone svariate volte nella mia vita, per un totale di 7 volte dal 2009 ad oggi. Ogni qualvolta che atterro all’aeroporto di Narita a Tokyo, non mi stanco mai di guardarmi intorno. Ci sono scritte ovunque, istruzioni per qualsiasi cosa, personale pronto ad indicarti dove devi andare e come ti devi comportare. È tutto così rassicurante. Questo non perché il Giappone sia un paese ricco di pericoli e men che meno perché sia popolato di persone diversamente intelligenti.
Parlando con un po’ di amici che vivono a Tokyo (giapponesi ma anche expat italiani) ho capito che qui tutti hanno una certa fissa per le regole e per la sicurezza. Un occidentale, in queste “condizioni di vita”, potrebbe sentirsi avvolto da catene credendo che venga meno la sua libertà di agire.
Anche in questo ultimo viaggio, ho cercato di seguire per filo e per segno le regole impostemi dalla società giapponese – anche se con gli occidentali sono un po’ meno ferrei – e devo dire che la cosa mi ha infuso un certo senso di tranquillità. Mi spiego meglio.
In Italia, alcune regole della società, sono “leggi” che solitamente vengono imposte dal buon senso: lasciar scendere prima di salire su un treno, rispettare la fila, pagare il biglietto, tenere la destra sulle scale mobili. Regole di cui conosciamo l’esistenza ma che spesso ignoriamo un po’ per distrazione o perché, diciamocela tutta, vogliamo fare i furbetti.
In Giappone non funziona così. Le regole sono regole e ti vengono ricordate a ogni passo compiuto: non sperateci, non avrete scampo. Tutto questo non perché si voglia trasformare la popolazione in automi ma perché semplicemente – presi dalla distrazione o da altro – ce ne possiamo dimenticare e ad esempio cadere sui i binari della metro mentre abbiamo gli occhi incollati allo smartphone.
Se tutte le parti di una “macchina” funzionano bene allora tutta la macchina funzionerà bene e in modo sicuro. Questa è la cosa più importante per i giapponesi.
Le regole sono fatte per essere rispettate
Ogni processo (di qualsivoglia genere) in Giappone ha una serie di procedure da seguire. Per questo motivo i McDonald giapponesi sono tra i migliori al mondo in quanto a efficienza (le loro checklist sono sempre linde) ed è sempre per questo motivo che i trasporti giapponesi funzionano alla perfezione, senza ritardi.
La tessera Suica ora si può usare anche in formato virtuale su iPhone
Vi faccio l’esempio di una stazione ferroviaria. Si prende la Suica (una tessera ricaricabile che serve per pagare il biglietto), la si poggia sul sensore contactless dei tornelli (tra l’altro da giugno 2017 lo si può fare utilizzare in modo virtuale con iPhone), si seguono le frecce e le iscritte che ti indicano da che parte salire le scale, si sta in coda al binario all’interno delle strisce predisposte sulla banchina (anche se la banchina è deserta), si lascia scendere prima di salire e non si parla mai al telefono sul vagone (è vietatissimo) e nemmeno si alza la voce per non disturbare gli altri passeggeri.
A sinistra si sale, a destra si scende. Vedo però che un tizio ha sgarrato. Come si dice: le eccezioni confermano le regole?
Tutte queste regole sono scritte ovunque nella stazione, sia in giapponese che in inglese. L’ultimo divieto che ho letto è stato “è vietato fotografare sotto le minigone delle ragazze”.
Non ci si può sbagliare, più esplicito di così… Ma a quale proposito?
Non ho mai visto una folla come quella che popola la stazione di Shinjuku alle 18.00, muoversi all’unisono – in modo ordinato e silenzioso – senza intoppi e problemi di qualsiasi sorta. Ovviamente quando dico “affollata” non intendo la Stazione Centrale a Milano (quello da gestire, per gli standard giapponesi, è un gioco da ragazzi). Giusto per farvi capire di cosa stiamo parlando: nella Stazione Centrale a Milano transitano circa 300 mila persone ogni giorno, nella stazione di Shinjuku (che ha quasi 50 binari) ne transitano 3,64 milioni.
Insomma se segui delle regole – che di certo non ledono ne limitano la tua libertà – tutto andrà per il meglio anche nel caso di problemi molto gravi, come ad esempio i frequenti terremoti che affliggono questa terra.
Qualora accadano delle disgrazie invece, ci saranno delle altre regole pronte a correre in vostro soccorso. Basterà seguirle e tutto andrà bene. Meglio così che essere totalmente impreparati, non credete?
La sicurezza – corredata di gentilezza – prima di tutto
La sicurezza sul lavoro, soprattutto nei cantieri, è una delle priorità per i giapponesi. Sicurezza non solo dei lavoratori ma anche sicurezza per i passanti. Vi faccio un esempio pratico. Passeggiavo per le vie di Asakusa mentre mi dirigevo verso lo Sky Tree (la struttura più alta al mondo dopo il Burj Khalifa di Dubai). Mentre sono ferma sulle strisce ad aspettare il verde mi accorgo che ci sono quattro persone che stanno svolgendo un lavoro che – in Italia – normalmente viene svolto da una persona sola, al massimo due.
Un tecnico stava sistemando uno scatolotto su un palo della luce. L’area dei lavori in corso era delimitata da coni bianchi e arancioni. Il compito degli altri tre addetti era semplicemente quello di ripetere all’infinito ai passanti – utilizzando parole e gesti – che quella era un’area di pericolo e che ci si doveva allontanare.
Il tutto ovviamente accompagnato da formule ossequiose e gentilezza in grado di toccare i livelli di un hotel a 5 stelle.
Non ci credete? Guardate la foto che ho scattato nel 2016:
Foto: Fjona Cakalli
So già a che cosa state pensando. “Eh ma che lavoro ripetitivo e alienante” oppure “in Italia non abbiamo i soldi per farne lavorare uno, figuriamoci per pagare quattro stipendi”. Potrebbe essere vero come no. Non sono qui per discutere di questo. Sono solo qui per raccontarvi quali realtà esistono al di fuori della nostra, senza sentenziare in merito al loro metodo di lavoro che potrebbe essere giusto oppure sbagliato.
Volete un altro esempio? Uscita delle auto di Yodobashi Camera Akiba di Akihabara. Le auto per uscire del parcheggio devono percorrere una rampa che sbuca sul marciapiede. Anche in Italia accade. I passanti hanno l’obbligo di fare attenzione così come gli automobilisti. In Giappone no. Anche in questo caso ci sono tre addetti: uno ferma l’auto e gli altri due fanno attraversare le persone, oppure uno fa passare l’auto mentre gli altri due bloccano il passaggio ai pedoni. Insomma, l’obiettivo è sempre il medesimo: evitare che qualcuno si faccia male.
Oppure ancora. Alla fermata di Asakusabashi c’era un simpatico signore anziano che – in uniforme – diceva a ogni singolo passeggero che stava per uscire dalla stazione di fare attenzione al gradino perché nessuno ci faceva mai caso.
Con questo metodo “da pecoroni” quindi si prevengono pericolosi incidenti, non si pesa sulle spalle della sanità pubblica e si creano posti di lavoro seppur poco appaganti e probabilmente poco remunerativi.
Quelli che vi ho narrato sono solo alcuni tra le decine di esempi che potrei farvi.
Le ambulanze e i camion parlano
Vogliamo invece parlare delle ambulanze e dei camion? La prima volta ho sorriso, la seconda mi sono detta “questa non è per niente male come idea, che diamine”. Passa un’ambulanza parlante a sirene spiegate. I miei studi di giapponese mi hanno fatto comprendere cosa stesse dicendo: specificava agli automobilisti da che parte stesse andando e, già che c’era, ringraziava per la pazienza e per il disturbo arrecato agli automobilisti.
Il camion invece? Ogni volta che il conducente metteva la freccia direzionale, si attivava una voce che – sempre con grande gentilezza – diceva “il camion sta per svoltare a destra”.
Anche in questo caso – a costo di sembrare stupidi e imbranati – si possono evitare tantissimi incidenti, soprattutto in città.
I poliziotti non sono così sfigati come sembrano
Tutti, o quasi, deridono i poliziotti giapponesi perché vanno in giro in bici e non hanno la pistola ma solo il manganello. “Ah, ah, ah: la polizia italiana ha la Lamborghini e può fare gli inseguimenti”. Taccio e non commento.
Mettetela così, il poliziotto giapponese in bicicletta gira tutto il giorno per il suo quartiere; il fatto di muoversi in bici gli permette di sapere tutto di tutti, in stile comare. Lui va in giro, chiacchiera con le signore anziane, lui sa tutto, conquista la fiducia di tutti. State certi che se accade qualcosa nel quartiere, lui lo saprà prima di chiunque altro.
In effetti il concetto di polizia in Giappone è un po’ diversa dalla nostra. I gabbiotti della polizia – delle specie di mini-centrali – sono dislocate in modo capillare sul territorio. A ogni gabbiotto troverete un agente sempre fuori dalla porta e la porta sarà sempre aperta. Lui è costantemente lì con la pioggia o con il sole pronto ad aspettare che qualcuno gli rivolga la parola. Io, per esempio, una volta mi ero persa e ho chiesto le indicazioni stradali proprio al poliziotto che con il suo inglese stentato mi ha aiutata a raggiungere la mia meta.
Stazione di Polizia di Asakusa. Foto: Fjona Cakalli
Insomma, non potranno fare gli inseguimenti con la Lamborghini e vanno in giro in bici, ma sicuramente sono molto accoglienti. Non credo che il loro stipendio sia altissimo, di certo hanno un senso del dovere molto esteso.
La mania per le informazioni precise e meticolose
E niente, quando chiedete le indicazioni ad un giapponese, state sicuri che saranno così meticolose che non potrete sbagliare. Come una famosa collana di libri “for Dummies” ma in versione umana.
Un giorno, nel tentativo di arrivare in aeroporto con un pesante valigione da 25 chili, mi sono persa dentro ad una stazione. Si, cercavo l’ascensore perché non avevo la minima intenzione di portarmi giù per un milione di scale il valigione immenso. Chiedo all’uomo dei biglietti. Mi mostra e mi lascia (con una gentilezza mai vista prima) una piccola mappa fotocopiata con il percorso segnato in rosso. “Signora segua le istruzioni e arriverà all’ascensore”.
In poche parole dovevo risalire, attraversare la strada entrare in una viuzza e li avrei trovato l’ascensore giusto. Mentre premevo il tasto del B1 per scendere mi sono figurata questa stessa scena in Italia: “esca fuori la prima a destra, la seconda a sinistra, poi trova un coso e lì scende”. Ecco, è come un po’ dire “esci fuori, cercalo e buona fortuna”.
Insomma un modo di agire e di pensare completamente alieno se paragonato al nostro. Da un parte alienante e schematico, senza via di fuga, dall’altra una serie di metodi e regole che nel complesso funzionano perché realmente seguite da tutti, nessuno escluso, nemmeno i ragazzetti ribelli di 15/16 anni.
Tutti pagano il biglietto, non ci sono furbetti che zompano i tornelli manco fossero alle Olimpiadi. Chi fa il proprio lavoro lo fa sempre con dignità, saluta, ringrazia si inchina qualsiasi sia il suo stipendio o il suo ruolo.
Con questo non dico che il Giappone sia un luogo perfetto, perché di posti perfetti in cui vivere su questo Pianeta non ne esistono. Però se potessimo prendere e fare nostro anche solo qualcosa di quello che vi ho raccontato, forse, il mondo sarebbe un luogo migliore ma soprattutto un po’ più sicuro.
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