Il revenge porn (ma, vedremo tra poco, dovremmo abituarci a chiamarlo diversamente) è un fenomeno ahinoi sempre attuale.
Che si manifesta in diversi modi. Come hanno acutamente spiegato i colleghi di Wired, ad esempio, è revenge porn anche la fin troppo chiacchierata e condivisa performance di quel commercialista torinese che ha pubblicamente umiliato la sua ipotetica futura sposa, rea a suo (di lui) dire di averlo ripetutamente tradito.
Sul revenge porn, il Garante per la protezione dei dati personali ha pubblicato nelle scorse ore una pagina informativa. Che spiega cosa sia il fenomeno, come difendersi e come segnalare eventuali episodi di diffusione non consensuale di materiale intimo.
Ma anzitutto, cosa è il revenge porn? E perché abbiamo parlato di locuzione imprecisa?
Il revenge porn
Cosa si intenda per revenge porn lo spiega bene la pagina che il Garante ha pubblicato nella giornata di giovedì 31 agosto per informare sul fenomeno. E non solo, come vedremo.
Il revenge porn “consiste nell’invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione, da parte di chi li ha realizzati o sottratti e senza il consenso della persona cui si riferiscono, di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati.
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Tale diffusione avviene di solito a scopo vendicativo (ad esempio per ‘punire’ l’ex partner che ha deciso di porre fine ad un rapporto amoroso), per denigrare pubblicamente, ricattare, bullizzare o molestare. Si tratta quindi di una pratica che può avere effetti drammatici a livello psicologico, sociale e anche materiale sulla vita delle persone che ne sono vittime.”
In realtà, è revenge porn anche la diffusione non consensuale di video o immagini intimi o privati, non necessariamente di carattere pornografico.
Una locuzione imprecisa
Dicevamo (e ne abbiamo parlato in un precedente articolo) che revenge porn è locuzione imprecisa.
Al di là del fatto che non è necessario usare l’inglese a ogni piè sospinto, la locuzione significherebbe “pornografia vendicativa” (meglio questa traduzione di “vendetta porno”). Ma la diffusione non consensuale di materiale intimo non ha sempre e solo finalità di vendetta.
Se proprio si desidera adottare una definizione sintetica, l’associazione non profit Permesso Negato suggerisce “pornografia non consensuale”.
E proprio un’indagine di Permesso Negato condotta tra il maggio e il giugno del 2022 ha evidenziato che il 4,1% degli italiani (circa 2 milioni di persone) è stato vittima di pornografia non consensuale.
La pagina informativa del Garante
Dicevamo dunque che il nostro Garante per la protezione dei dati personali ha pubblicato una pagina sul revenge porn che ha diversi obiettivi.
Anzitutto, informare. La prima mossa, ricorda il Garante, è la prevenzione. E in questo caso prevenzione è sinonimo di protezione. Protezione, cioè, dei propri dati: spesso per leggerezza sono proprio le future vittime a diffondere sui social network immagini o video intimi, “rendendone impossibile la cancellazione una volta diffusi.”
L’invito, inoltre, è quello di proteggere i dati personali presenti nei vari dispositivi con adeguate misure di sicurezza. Atteggiamento, questo, che dovrebbe valere per qualunque nostra informazione personale o che reputiamo per qualche motivo importante.
I dati degli altri
Un paragrafo è giustamente dedicato alle immagini e ai video espliciti che riguardano altri.
Chiunque ricevesse – o si imbattesse in – materiale sessualmente esplicito che riguarda altre persone, non deve essere complice del reato. Non bisognerebbe limitarsi a non diffondere il materiale o cancellarlo, ma segnalarlo alla Polizia postale.
Inevitabile, poi, un appello ai genitori, che devono vigilare sulla quantità e qualità di utilizzo dei device da parte dei figli minorenni, non di rado vittime del fenomeno.
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Segnalare il revenge porn: il modulo del Garante
Se si ritiene di essere stati vittima di diffusione non consensuale di materiale intimo, il Garante offre un’alternativa alla denuncia alla Polizia postale.
Un’alternativa forse più pratica, raggiungibile proprio tramite un link collocato all’interno della pagina informativa. Può accedervi chiunque, “ivi incluso un minore ultraquattordicenne, abbia il fondato timore di ritenere che registrazioni audio, immagini o video o altri documenti informatici a contenuto sessualmente esplicito che lo riguardano, destinati a rimanere privati, possano essere oggetto di invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione attraverso piattaforme digitali senza il suo consenso”.
Per compilare il modulo di segnalazione sono quattro le possibilità di accesso: con Spid, con CIE, con eIDAS ma anche senza alcun tipo di autenticazione, firmando il modulo una volta compilato.
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