Si sforza molto, Samaritan, a non essere il film mediocre e prevedibile che è. Bragi F. Schut scrive una storia che doveva essere solo in apparenza l’ennesima eterna lotta tra il bene e il male con il bene di qua e il male di là. Solo in apparenza perché è evidente che nelle sue intenzioni la storia di questo ex supereroe che deve fare i conti con il suo passato, con la sua nemesi, e lasciare alle future generazioni un insegnamento morale, doveva essere qualcosa di più sfaccettato, meno manicheo.
Lo si intuisce dal colpo di scena piazzato all’inizio del terzo atto, che avrebbe dovuto dare a tutta la vicenda un significato più ampio, meno recintato nel semplice schema che il film stesso sembra proporre nel momento in cui chiama l’eroe Samaritan e il villain Nemesis.
I problemi di Samaritan
Il problema forse più grande è che tale colpo di scena è prevedibilissimo fin dal prologo iniziale dove la voce del giovane Javon ‘Wanna’ Walton, un ragazzino ossessionato dalla figura di Samaritan, ci racconta tutto il passato del suo eroe. Se Schut avesse giocato meglio le sue carte e avesse fatto in modo di tenere la rivelazione più nascosta sicuramente il film ne avrebbe giovato, ma purtroppo è solo uno dei tanti problemi che ha Samaritan.
Innazitutto, va detto, le scene d’azione e di combattimento sono tra le più brutte viste di recente. Probabilmente altrove Julius Avery ha dimostrato di saperci fare (ci riferiamo a Overlord e a Son of a Gun) ma qui non c’è una scena che sia una che rimarrà impressa nella nostra memoria per l’impatto e la botta di adrenalina che dovrebbe trasmettere. E questo per un film che parla di gente che si mena per le strade, fa esplodere roba e usa automobili come scudo è un problema non da poco.
In secondo luogo è un film che abbiamo già visto tante altre volte, con l’eroe ormai vecchio, imbolsito, pieno di cicatrici fisiche e psicologiche che si ritrova costretto a tornare in azione, ma fosse per lui continuerebbe tranquillamente a fare il suo lavoro di netturbino. Che non ci sarebbe nulla di male ad usare uno schema come questo, sia chiaro. Ma la sensazione è che forse, in altre mani, sarebbe stato tutto molto più coinvolgente e interessante, anche perché è una colossale occasione persa tirare fuori qualcosa di mediocre quando il tuo netturbino ex eroe e anti-eroe ha il faccione e il corpaccione di Sylvester Stallone a 76 anni.
Samaritan: un’occasione persa
Lui che già nel 1985 aveva trasformato i suoi due personaggi più famosi in supereroi con Rocky IV e Rambo 2. Che lo sguardo malinconico di chi mena forte ma non vorrebbe, lo ha sempre avuto. E che infine ci sguazza con le storie di uomini qualunque che vengono da strade di periferia, in mezzo a spazzatura e delinquenza, e dimostrano di essere più di quel che sembrano.
Samaritan verrà ricordato come quell’unica volta – almeno per ora – in cui Stallone il supereroe lo ha fatto per davvero, con un costume, un’identità segreta e un nemico da sconfiggere che è il Male incarnato. Purtroppo però né la sua preziosa presenza, né i vari inside joke che sono ovviamente dei meta-commenti alla sua carriera, salvano un film assolutamente dimenticabile.
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