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Strappare lungo i bordi: com’è la serie animata Netflix di Zerocalcare

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Strappare lungo i bordi 4

Strappare lungo i bordi è un’operazione apparentemente semplice. Basta seguire scrupolosamente e lentamente la linea tratteggiata per portare a termine quello che ci serve. A volte però è sufficiente una piccola distrazione, o una pressione più forte del dovuto, a farci deviare da quella sottile linea tratteggiata. Se non ci accorgiamo in tempo dell’errore, quello che ci aspetta è un vistoso e irrimediabile strappo, simbolo delle tante cose che possono andare storte anche nell’esistenza più tranquilla e pacifica. Un concetto limpido e cristallino, su cui Zerocalcare costruisce Strappare lungo i bordi, serie animata da lui scritta e diretta disponibile dal 17 novembre nel catalogo di Netflix. Un prodotto in cui il fumettista riversa letteralmente tutto se stesso e la sua intera produzione (sua la voce di tutti i personaggi, ad eccezione dell’Armadillo doppiato da Valerio Mastandrea), alzando l’asticella qualitativa delle produzioni originali italiane della piattaforma.

Strappare lungo i bordi: il disilluso e ironico grido di dolore di un’intera generazione

Zerocalcare mette in scena un vero e proprio ritratto generazionale, fatto di momenti surreali e conseguenti risate a crepapelle ma anche di sfumature malinconiche e tragiche, che fotografano con lucidità i timori e i vizi dei giovani adulti di oggi. Lo fa utilizzando il suo disegno pulito e preciso, che trova una valida sponda in un’animazione fluida e di ottimo livello complessivo, il suo caratteristico flusso di coscienza, capace di travolgere lo spettatore con un diluvio di riflessioni personali, disagio esistenziale e spassose paranoie, e l’umorismo che permea tutti i suoi volumi, che miscela in un piacevole frullato la cultura pop e la tipica veracità romana. Uno stile affinato dall’autore attraverso i suoi cortometraggi trasmessi nel corso di Propaganda Live, che in Strappare lungo i bordi deflagra con dirompente forza, in 6 episodi di breve durata (15-20 minuti ciascuno) ma sorprendentemente compatti per scrittura, toni e tematiche affrontate.

A fare da filo conduttore a una lunga serie di riuscite gag, notevoli intuizioni e amari spaccati di vita è un viaggio da Roma a Biella, che il protagonista Zerocalcare deve compiere insieme agli amici di sempre Secco e Sarah per un motivo che emerge solo negli ultimi episodi. Viaggio che come sempre è sia fisico che interiore, e che Zerocalcare sfrutta per rappresentare, con flashback e continue digressioni, l’alienazione e lo scoramento della generazione Y, cresciuta con certezze come il posto fisso, la sicurezza economica e una posizione lavorativa adeguata ai propri studi e alle proprie competenze, progressivamente disintegrate dai mutamenti dell’economia e della società negli ultimi decenni. Fra ironia e commozione, emerge il disilluso e ironico grido di dolore della generazione più triste e bistrattata del Dopoguerra, costretta a sopravvivere arrangiandosi e con lavori quasi sempre estremamente lontani dalle proprie ambizioni e dalle proprie inclinazioni personali.

Una piccola grande serie

I fedeli lettori di Zerocalcare ritroveranno il suo stile unico e inconfondibile, che non risente minimamente del passaggio dalla carta allo schermo e che trova anzi nello stesso autore la migliore voce narrante possibile e negli scambi con Valerio Mastandrea, cinica coscienza del protagonista, un perfetto contraltare alla rassegnazione alla base di Strappare lungo i bordi. L’aderenza della trama della serie alla produzione di Zerocalcare, e in particolare a La profezia dell’armadillo, è anche l’unico piccolo limite di una produzione che ha però il grande merito di imporre definitivamente all’attenzione generale (anche all’estero) una delle voci più pure e originali del panorama artistico italiano. Una piccola grande opera, in cui chiunque, a prescindere dall’età, dal sesso e dalla provenienza, può ritrovare una parte di sé e sentirsi così un po’ meno solo.

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