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La tecnologia applicata alle scarpe sportive: ieri, oggi. E domani?

Panoramica su un argomento di grande attualità che riguarda il rapporto fra tecnologia e scarpe sportive. Dai primi modelli iper-ammortizzati alle recentissime Nike Vaporfly, calzature da running la cui tecnologia al carbonio ha creato infinite discussioni non solo tra gli sportivi. Sino alla loro messa al bando.

Le scarpe sportive… prima della tecnologia

Da appassionato runner, ho ancora bene in mente un servizio che la maggiore rivista italiana di settore dedicò nel 2004 a Orlando Pizzolato, in occasione del ventennale del primo dei suoi due trionfi consecutivi alla Maratona di New York. Pizzolato, per l’occasione, si fece fotografare con la mise indossata in quella memorabile gara: ebbene, il legame tra sport e tecnologia non aveva davvero inciso sulla performance del nostro campione.

Tralasciando le fibre di cui erano composti pantaloncini e canottiera, più simili a quelle delle mute da sub che ai modernissimi materiali tecnici superleggeri e meravigliosamente traspiranti, ricordo le scarpe: due oggetti che per povertà di costruzione somigliavano pericolosamente alle mitiche espadrillas, peraltro di gran moda proprio in quel periodo.

E poi, allora, cosa successe?

Tecnologia e scarpe sportive: lo scossone di Nike

Nel 1977 Franklin Rudy, un ex ingegnere aerospaziale, propose ai vertici di Nike una bizzarria: per rendere più comodo il gesto atletico degli sportivi che devono battere a terra i piedi per migliaia e migliaia di volte in un singolo evento, perché non creare una suola ammortizzata con cuscinetti d’aria?

L’idea – che sfocerà poi nella celeberrima tecnologia Air – sarebbe stata destinata non solo a rivoluzionare il rapporto tra tecnologia e scarpe sportive, ma addirittura a modificare l’assetto posturale degli sportivi (e dei non sportivi). Ma procediamo con ordine.

La tecnologia Air e la corsa all’ammortizzazione

Nike mise a disposizione dei podisti impegnati nella maratona di Honolulu del 1978 le Tailwind, modello pioniere della tecnologia basata su cuscinetti d’aria pressurizzata in una sacca di uretano, che davano uno straordinario ritorno di energia.

Di lì a breve, gli altissimi costi di produzione delle Tailwind fecero virare Nike verso i cuscinetti Zoom Air, basati su una struttura tensile tridimensionale. Fu il boom tanto nelle calzature sportive (grazie anche a testimonial d’eccezione come Michael Jordan) quanto nelle sneakers: sono infatti datate 1987 le Air Max 1, il primo modello per la vita quotidiana dotate di suola ammortizzata con il lungimirante metodo Air.

Inutile aggiungere che gli altri grandi marchi proposero immediatamente tecnologie alternative per le loro scarpe sportive: si pensi ai cuscinetti in gel viscoelastico di Asics, sul mercato dal 1986 col modello GT2.

Asics GT2

L’influenza dell’iperammortizzazione: costume e non solo

E così, ne ho una vivida memoria io stesso, a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso si faceva a gara – tra i giovani e i meno giovani – a indossare le scarpe running super ammortizzate più voluminose e morbidose possibile.

Questo binomio tra tecnologia e scarpe sportive, esploso relativamente tardi ma spinto da un’accelerazione forsennata, portò conseguenze enormi non solo da un punto di vista estetico. L’ammortizzazione delle calzature, sportive o meno, continuava ad aumentare, così come il drop (ossia la differenza di altezza della suola tra il tacco e la punta). Ciò ha portato una percentuale impressionante della popolazione mondiale a delegare l’energia cinetica alla calzatura, disapprendendo a correre ma anche a camminare in maniera corretta, dimenticandosi di sfruttare l’elasticità del piede.

Senza scendere in dettagli tecnici: poggiando in maniera energica il tallone durante l’attività sportiva, si perde la falcata naturale (i nostri antenati, da scalzi, erano in grado di inseguire la preda per decine di chilometri sino a farla sfinire e catturarla), e aumenta notevolmente il rischio di infortuni.

Pare insomma che, pure in questo caso, la tecnologia sia venuta in soccorso dello sport offrendo un eccesso di comodità.

Tecnologia e scarpe sportive: il presente e il futuro

Negli ultimi anni, nelle calzature sportive così come in quelle per la vita di tutti i giorni, si è assistito a una controtendenza: nelle suole c’è sempre meno gomma, il drop medio va riducendosi e marchi come Camper propongono modelli col cosiddetto drop zero e con un ampio spazio per le dita. Lo stesso sta facendo Altra per le calzature da running.

scarpe Camper Peu

Può darsi che sia uno dei tanti aspetti della moda del ritorno alle origini, però intanto le ripercussioni sulla postura di chi le indossa sono senza dubbio positive.

Ma la tecnologia al servizio delle scarpe sportive non si arresta affatto, anzi. Tacendo le scarpe autoallaccianti, molti di voi lettori avranno seguito la polemica scaturita dalle Nike Vaporfly 4%, che il 12 ottobre 2019 hanno permesso a Eliud Kipchoge di correre una maratona in meno di due ore. Ebbene, il record non è stato omologato per una serie di motivi, tra cui proprio le scarpe: l’inserto in carbonio le ha fatte considerare… dopanti, e nei mesi successivi le Vaporfly sono state proibite nelle competizioni ufficiali.

In conclusione, sembra che anche nel suo rapporto con lo sport la tecnologia stia patendo oggi i rischi a cui la sua rapida evoluzione la espone in modo inevitabile: rischi non più di ambito economico o estetico ma etico.

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