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7 giorni in Cina: il presente e il futuro tecnologico del Regno di Mezzo

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Videocamere. Ovunque.
Mentre cerco l’uscita dell’aeroporto di Pechino Capitale non posso fare a meno di notare quante ce ne siano. Dalle scale mobili che scendono verso il trenino che mi porterà al ritiro bagagli ne vedo almeno 20 sul gabbiotto di fronte a me, e un numero incalcolabile appeso al soffitto.

Non sono sorpresa. In fondo me l’avevano anticipato tutti. Ho letto libri sull’argomento. Ma vedere di persona quel livello di sorveglianza, appena sbarcato dall’aereo dopo 10 ore di volo senza sosta e l’orologio che segna le 6:00 del mattino, è un’altra cosa. Fa impressione.

Ad avermi sorpreso davvero però è un’altra cosa. Qualche minuto prima, alla dogana, si sono rivolti a me in italiano. L’agente che avevo di fronte ha scansionato il mio passaporto – in silenzio -, letto distrattamente la lettera di invito del China International Communication Group Center for the Americas – in silenzio – e ad un certo punto, mentre mi guardavo un po’ in giro, una voce nella mia lingua mi dice di appoggiare le dita sul display per il rilevamento delle impronte.
Non è l’agente, che mi guarda imperturbabile. È una macchina.
Certo non siamo di fronte all’invenzione del millennio ma in nessun altro aeroporto mi era mai capitato, nemmeno negli Stati Uniti che sfoggiano la loro tecnologia in giro per il mondo. Nemmeno a Dubai che prova a diventare una smart city di alto livello.

E sì, potrebbe sembrare una cavolata ma se sei in un Paese straniero – uno che per giunta ha la reputazione di non essere un posto facile da visitare e in cui vivere -, il fatto di avere istruzioni nella propria lingua madre fa una grande differenza tra il sentirsi accolto e il sentirsi minacciato e sotto esame.

L’aeroporto di Pechino Capitale

Non ho portato l’adattatore”, mi dice Moreno Pisto, l’altro italiano che è stato inviato a partecipare al China Future Close Up.
Beh, siamo in aeroporto, ci sarà un negozio che li vende no?
Moreno si avvicina al primo banco informazioni che trova e chiede dove indicazioni. Ci dicono di salire al piano di sopra. Ok, andiamo al piano di sopra. Ci avviciniamo al secondo banco informazioni ma la ragazza non sembra capire cosa stiamo cercando. Chiama la collega al piano di sotto e finalmente capisce. Noi ci guardiamo perplessi, incapaci di comprendere cosa non fosse chiaro prima, e poi seguiamo le indicazioni che ci hanno dato e finalmente troviamo il negozio giusto.
Mentre mi guardo in giro Moreno si fa aiutare dalla commessa, finché non lo sento dire “Secondo te questo va bene?”, mi chiede indicando un power bank. 10.000 mAh. Beh, sì, direi che va benissimo.
In un altro Paese avremmo estratto la carta di credito e pagato. Qui però ci hanno detto che le carte di credito non si usano. Si paga con le app. WeChat o Alipay. E così, ben prima del previsto, è giunto il momento di capire come funzionano. Penso al tutorial che ho letto su Internet prima di partire e dico al mio compagno di viaggio di mostrare il QR code alla commessa; lei lo scansiona ma lui si distrae e non conferma la transazione. Tentativo fallito.
La commessa ci dice – o forse sarebbe meglio dire “ci fa capire” – che va bene usare anche la carta di credito, loro l’accettano. Moreno paga e finalmente usciamo dall’aeroporto.

Ad attenderci non c’è nessuno.
Ma Kevin, lo studente cinese che farà da guida per il mio gruppo, mi aveva avvertito.

E no, chiaramente Kevin non è il suo nome reale. Nella vita vera si chiama Hanyang Wang ma da anni ormai i cittadini cinesi scelgono un nome occidentale per facilitare la comunicazione con l’estero. Un gesto che ho sempre trovato estremamente premuroso ma allo stesso in grado di sottolineare la nostra scarsa capacità di adattamento a culture diverse dalla nostra.

Saliamo su un taxi dopo aver percorso una specie di labirinto che dall’interno dell’aeroporto ci ha portato appena fuori. Mostro al taxista l’indirizzo cinese. Lui prende il mio smartphone e se lo copia sul suo. Rimango un attimo basita. Ok trascriverlo ma il telefono potevo tenerlo io…

Mentre io mi riprendo dal piccolo shock lui, ormai partito, mi ripassa l’iPhone e cerca di capire dove andare. Un indirizzo non è una certezza qui, mi pare di capire.

Nella periferia di Pechino

Passo i 50 minuti del tragitto guardando fuori dal finestrino. È un’autostrada, non c’è niente di estremamente tipico da osservare ma mi perdo tra palazzi, auto di marche che non ho mai sentito e indicazioni stradali che non sempre comprendo fino all’uscita. Poi la città diventa città. Anzi, periferia. Passiamo davanti ad una stazione di pulizia, affianchiamo gente in biciletta e finiamo in mezzo a case che hanno sicuramente visto tempi migliori. L’autista si ferma, lo guardiamo e capisce da solo che non è il posto giusto. Stiamo cercando un hotel, e quello davanti a noi non lo è di certo.

Fa marcia indietro, riguarda l’indirizzo e finalmente capisce.

Tre minuti dopo stiamo scendendo dal taxi. O meglio, sto cercando di pagare perché il taxista mi allunga un QR code dallo sfondo verde. Verde = WeChat, penso. Scansiono il codice, inserisco la cifra e pago.
309 RMB. Circa 39 euro.
Mi pare troppo rispetto a quello che mi aveva detto Kevin ma il taxista non parla inglese e io non parlo cinese quindi discutere mi pare inutile. E poi la stessa corsa a Milano mi sarebbe costata 120-140 euro. Va bene così.

Prendo le mie cose e scendo.

Il nostro hotel per il primo giorno

L’hotel, che a prima vista pareva più un motel, non è pronto al nostro arrivo. O meglio, sanno benissimo chi siamo ma stanno ancora pulendo le camere. Moreno chiede se possiamo fare colazione nel frattempo: non è previsto ma sono le 7.30 del mattino e non possiamo dormire quindi acconsentono e ci accompagnano nella sala dedicata. Mangiamo qualcosa (“cosa” non è dato saperlo perché è tutto cibo locale e andiamo a sentimento), torniamo in reception e troviamo ad attenderci Tolik, il responsabile del nostro viaggio. Ci salutiamo, ci presentiamo e poi finalmente arrivano le tessere: le camere sono pronte. Possiamo finalmente dormire.

AIbee: un’azienda AI da 1 miliardo di dollari

Alle 12.30 suona la sveglia. Ho dormito 4 ore ma non posso concedermene altre. Mi faccio la doccia, mi cambio e scendo in reception dove ci aspettano per fare una SIM locale, gentilmente offerta da Tencent.
Fermi tutti… che c’entra Tencent?
China Future Close Up è un tour organizzato da Tencent, China International Communication Group Center for the Americas e THINC Fellowship e ha l’obiettivo di portare in Cina giovani influenti provenienti da tutto il mondo per far conoscere loro la cultura e la tecnologia del Regno di Mezzo.

L’attrezzatura per farci la SIM locale in albergo: computer, tablet, fogli e webcam

Ecco perché io e Moreno siamo qui. E non siamo gli unici. La delegazione è composta da più di 20 persone, divise in 4 gruppi. Il mio è il 3, il suo l’1.
La cosa curiosa è che siamo gli unici giornalisti, entrambi dall’Italia. O meglio, mi sembra di aver capito che anche una ragazza che viene da Bangkok faccia l’Editor ma non ho ancora capito per quale tipo di testata.

Torniamo però alla SIM.
Anche perché voi avete mai visto qualcuno farsi fare una SIM in albergo? Io, prima di quel momento, no.
All’ingresso, seduta ad un tavolo, c’è una ragazza con un computer, una webcam e un po’ di fogli. Quando arriva il mio turno me ne allunga uno e mi domanda quale piano voglio. “One week is enough”, le dico. Ho già una eSIM nell’iPhone con 30 GB, mi paiono sufficienti.

Compilo il foglio, mi faccio scattare una foto (strana procedura per una SIM), le lascio scansionare il passaporto e sono pronta.

Saluto Kevin, che nel frattempo è arrivato in hotel, e poi io e Moreno usciamo con Adrien.
E mò chi è sto Adrien?
Ovviamente Adrien non è il suo nome reale. Stiamo salendo in auto con Yijun Zou, Data Value Director di AIbee, a cui abbiamo strappato un incontro prima dell’inizio effettivo del nostro tour.
AIbee infatti ha due caratteristiche particolarmente interessanti:

  1. È un unicorno, ossia un’azienda che vale oltre un miliardo di dollari pur non essendo quotata in borsa;
  2. Si occupa di intelligenza artificiale.

Ho letto qualcosa su di loro prima di partire ma vorrei capire meglio cosa fanno.
Adrien decide di mostrarcelo: entriamo in un parcheggio sotterraneo, la sbarra si apre senza che lui faccia nulla e il suo smartphone lo guida fino al posto che ha prenotato. Le indicazioni funzionano anche se non c’è il GPS e sono precisissime.
Il parcheggio, ci spiega, l’hanno mappato loro. E non è tutto: se non dovesse ricordarsi dove ha lasciato la macchina potrà usare di nuovo lo smartphone per trovarla.

Le indicazioni per ritrovare la macchina nel parcheggio

Sono sinceramente impressionata ma questa è solo una piccola parte di quello che fa AIbee.

Prima di raccontarcelo Adrien ci offre un caffè da Starbucks.
Sì, Starbucks. Una delle poche società americane ad essere sopravvissuta alla Cina. Non è facile infatti riuscire ad adattarsi al suo mercato, alle sue abitudini, all’uso delle app e al delivery sempre e ovunque. Starbucks però ha tenuto duro, si è adattata, ha perso milioni nei primi anni qui ma alla fine ce l’ha fatta.

E quindi eccoci qua, con un americano in mano, seduti ad un tavolino basso e minuscolo su cui Adrien appoggia il suo laptop e inizia a mostrarci una presentazione.

AIbee, ci spiega, ha sviluppato un sistema che permette di tracciare il movimento delle persone nei gradi spazi chiusi come centro commerciali e aeroporti.

L’obiettivo non è seguire il singolo ma comprendere cosa fa la massa.
Immaginate di essere i proprietari di un centro commerciale: con AIbee potete scoprire se ci sono zone che le persone frequentano meno, negozi che vengono evitati, negozi molto popolari ma che fatturano poco…
E se state pensando “ma è un problema dei commercianti”, sbagliate perché in Cina, ci spiega il Data Value Director dell’azienda, l’affitto del negozio si paga in proporzione ai guadagni quindi se un’attività guadagna meno, anche il centro commerciale guadagna meno.

Un esempio di dashboard di AIbee

Dati alla mano, sia la proprietà che i commercianti possono prendere i giusti provvedimenti. Ad esempio, con la realtà aumentata è possibile posizionare coupon e sconti per chi si avventura nelle aree meno frequentate. Oppure i negozi possono cercare di capire se hanno prezzi troppo alti o vetrine poco invitanti.

Per fare questo servono videocamere (tante), algoritmi (proprietari) e un robot sviluppato da AIbee che mappa l’ambiente e permette la creazione di un suo gemello digitale. Per crearne uno basta un giorno per ambienti come i centri commerciali, di più per spazi ampissimi come quelli di un aeroporto.
Il risultato comunque è notevole e i dati racconti impressionanti.

Ma… la privacy?
Adrien ci spiega che i dati del singolo a loro non interessano. Diventano utili solo quando devono offrire un servizio, come quello della prenotazione del parcheggio e della conseguente possibilità di farsi guidare verso la propria auto qualora ci fossimo dimenticati dove sia parcheggiata, ma per il resto non sono rilevanti. A loro interessano i big data.

Guardo fuori e penso che in una città in cui tutti sono monitorati mi pare difficile che tutti siano interessati al quadro generale e nessuno al singolo ma è anche vero che io sono appena arrivata e forse questa è una mia preoccupazione, da straniero.

Finiamo il caffè e andiamo negli uffici di AIbee per un breve tour: open space, gente che lavora, premi ovunque, distributori automatici e display da studiare più che da usare e persino il famoso robot che mappa gli edifici.

Il robot di AIbee

A vederlo non pare certo futuristico: è spoglio, essenziale, puro curato nell’estetica. Eppure Adrien e un suo collega lo metto in funzione e in un attimo questo robot, che in un film di fantascienza potrebbe essere quasi un residuo di un antico passato, mappa la stanza in cui siamo con precisione. Guardo il tablet che lo controlla affascinata e mi chiedo quanti e quali sensori contenga per fare tutto questo, oltre alla mole di piccole videocamere che posso già vedere sulla sua… ehm, testa?

Mentre usciamo da AIbee penso tre cose:

  1. In qualsiasi altra azienda in cui io sia stata c’era l’obbligo di non riprendere nessuno in volto per privacy, qui abbiamo avuto il permesso di riprendere tutti e tutto;
  2. Per essere un’azienda da un miliardo di dollari l’ufficio non è affatto grande. Non è l’unico – ce n’è uno anche Shenzhen – ma mi aspettavo qualcosa di diverso;
  3. Vorrei anche da noi un ascensore come questo: con un’assistente vocale che compare su un grande display con l’aspetto della protagonista di un manga e che ti porta al piano selezionato solo dicendoglielo. Una soluzione ideata durante la pandemia per non premere i tasti e che ora continuano ad usare.
L’assistente vocale dell’ascensore

Adrien ci riaccompagna in hotel.
Qualche minuto di riposo e poi è ora di andare a cena con alcuni dei miei futuri compagni di viaggio e Kevin.
Il posto, a pochi minuti a piedi dall’hotel, l’ha scelto Ricardo. Nato e cresciuto in Portogallo e ora residente a Shanghai da qualche anno per lavoro.

A cena ordiamo di tutto. O meglio, ordinano quelli di noi che parlano cinese. Io non faccio domande. Mi lascio guidare e poi mangio quello che mi ispira. Che a dire il vero è un po’ tutto.
L’atmosfera è amichevole, conviviale. Si ride, si scherza, si prova a capire chi sono e cosa fanno gli altri nella vita.

Alla fine arriva il conto: 82 yuan a testa. Meno di 11 euro per tutto questo cibo. Mi avevano detto che mangiare in Cina costa poco ma non pensavo COSI’ poco.

Mentre rientriamo in albergo, sempre a piedi perché abbiamo energia in abbondanza, Simon si avvicina a me e attacca bottone. Lui è tedesco, lavora in Capgemini e recentemente si occupa di AI applicata alle risorse umane. Gli dico che sono un po’ scettica sull’argomento perché ho visto esempi di AI che aiuta i recruiter distratti a sapere cos’hanno detto i candidati mentre loro facevano altro. Non mi pare giusto, anzi. Mi dice che è d’accordo con me e che in realtà l’intelligenza artificiale può essere applicata in modi decisamente migliori. Un esempio mi colpisce su tutti: l’ideazione di un chatbot che conversi con il personale che sta per andare in pensione, con l’intento di raccogliere conoscenze che rischierebbero altrimenti di andare perdute.
Sono troppo stanca per riuscire a mantenere alto il tono di questa conversazione ma gli promette che al nostro ritorno lo contatterò per un’intervista (ndr. la potete trovare qui).

Dentro Tencent, uno dei grandi colossi tecnologici della Cina | La tecnologia in Cina

La sveglia suona prestissimo.

Doccia, cambio ambito, preparazione bagaglio, colazione cinese discutibile – di nuovo – e pullman.
Direzione: Tencent.

È una delle visite che aspetto di più perché mentre AIbee è un unicorso da 1 miliardo di dollari, Tencent è arrivata a valere 1 TRILIARDO di dollari.
Un altro campionato.

Questa azienda, fondata nel 1998 a Shenzhen, è un colosso tecnologico cinese noto soprattutto per l’app di messaggistica WeChat e per il suo ruolo dominante nell’industria dei videogiochi. Ha investito in diverse aziende tecnologiche globali, tra cui Riot Games, Epic Games e Ubisoft. Tencent offre anche servizi di cloud computing, streaming video, musica e pagamento digitale. È una delle aziende più grandi al mondo per capitalizzazione di mercato e continua a espandersi in nuovi settori.

L’ingresso di Tencent a Pechino

La sua sede a Pechino è imponente. E dentro c’è di tutto.

Una marea di uffici, un campo da basket, aule per lo studio, un’esposizione permanente che racconta la storia e i servizi dell’azienda, negozi di souvenir, una mensa gigante e… pinguini. Finti ovviamente. Erano il simbolo di QQ, l’app di messaggistica che ha preceduto WeChat e continuano ad essere la mascotte dell’azienda. Sono così affezionati a questo animale che, ad esempio, la casa di produzione che hanno creato si chiama Tencent Penguin Pictures così come un’ormai chiusa piattaforma di streaming portava il nome di Penguin Esports.

I pinguini di QQ e Tencent

Lo capisco, i pinguini sono adorabili.

Così adorabile che quando il mio gruppo si trova a dover decidere il nome scegliamo “amici dei pinguini”, con uno strano mix di inglese e cinese che dovrebbe suonare tipo “penguins péngyǒu” (non garantisco sul cinese).

La mattinata vola via a suon di attività di gruppo, così ho modo di iniziare a conoscere meglio gli altri membri: Ricardo dal Portogallo, che però vive a Shanghai; Nick dalla Russia, che però vive a Shanghai; Stacey dalla Giamaica, che però vive a Singapore; Ken dal Giappone, che però vive… no, niente, lui vive in Giappone; Richard dalla California e BB che è un influencer cinese. E poi, ovviamente, c’è la nostra guida Kevin.

La pausa pranzo arriva in attimo.
Breve ma sufficiente a scoprire che nei posti di livello un po’ più alto si danno due coppie di bacchette: una per mangiare e una per prendere il cibo posizionato al centro. Voi lo sapevate?

Il pomeriggio si fa più interessante perché siamo chiamati a scoprire cosa fa Tencent. E non parlo delle attività note a chiunque sul pianeta Terra, ma di quelle meno conosciute. Ad esempio, Tencent Games ha creato una versione digitale, precisa al millimetro, della Grande Muraglia per regalare un’esperienza immersiva a coloro che non possono andare a vederla vivo.
Non solo: ci sono anche i veicoli controllabili da remoto per le miniere, con una latenza ridotta davvero al minimo per avere un controllo preciso seduti comodamente in ufficio, o persino un sistema operativo, Suiteng OS, progettato per gestire in maniera intelligente il sistema ferroviario.
Non è ancora adottato su vasta scala ma inizia ad essere adottato con l’intenzione di migliorare l’efficienza e facilitare gli interventi tecnici quando necessari.

Uno dei diversi interventi del pomeriggio da Tencent, dedicato Weixin Pay

E poi ci sono la beneficenza, l’ambito medicale, il cloud… viene da chiedersi se ci sia qualcosa che Tencent non faccia. E probabilmente la risposta è no.
Ed è abbastanza comprensibile considerando che gli altri due enormi colossi tecnologici cinesi – Baidu e Alibaba – fanno esattamente la stessa cosa. E nessuno di loro vuole perdere terreno, soprattutto adesso che si sta affacciando un altro grande colosso: ByteDance, i creatori di TikTok.

Verso metà pomeriggio abbandoniamo la sede di Tencent con un po’ di amaro in bocca. Speravo di vedere qualcosa di più ma poco male, quantomeno ho imparato a conoscere meglio la società.

Saliamo di nuovo sul pullman, ci danno un panino McDonald’s per il viaggio e si spariamo un’oretta di traffico per raggiungere la stazione del treno. Cambiamo città: si va Shenyang, nel nord-est del Paese.

La stazione è nuova e sorprendentemente vuota.
Non c’è il caos a cui sono abituata a Milano.
E non ci sono nemmeno i gate blandi di Milano. Qui ci sono i controlli di sicurezza come in aeroporto, per noi e per i bagagli. Fortunatamente ne dedicano uno solo a noi. Ora che il gruppo è completo siamo quasi 30 persone, molti dei quali non parlano cinese, quindi meglio velocizzare così le operazioni. Prendono anche i nostri passaporti per farli controllare tutti insieme e poi ridarceli una volta terminate le varie operazioni.

Nell’attesa ne approfitto per andare in bagno e poi per provare a creare il mio canale su WeChat, che sarebbe l’equivalente di un profilo TikTok. Peccato che non vada. Il sistema mi dice che non posso perché in Italia la funzione non è disponibile.
Non che avessi bisogno di un altro social ma nei prossimi giorni dovremo competere con gli altri gruppi creando contenuti sia su WeChat sia su tutte le altre piattaforme. Io ne ho una in meno, Moreno anche.

Mentre raggiungiamo il treno, Kevin mi chiede se sono emozionata visto che stiamo per prendere il treno ad alta velocità. Gli dico che non è la mia prima volta, mi pare uguale a quelli che abbiamo in Italia. Lui si stupisce e mi chiede quanto vanno veloce. Faccio un rapida ricerca:

Direi che la differenza è davvero poca.

Trovo il mio posto e provo a lavorare un po’, interrotta solo dalla versione cinese di “Tanti auguri a te”. Elena, un’altra partecipante a Future Close Up, compie gli anni. Non so quanti ma sospetto meno dei miei. Qui più o meno tutti mi paiono avere meno anni di me.

Le fabbriche automatizzate di Shenyang

Non avevo mai sentito parlare di Shenyang prima di questo momento.

Per qualche motivo mi aspettavo una città un po’ meno vistosa di Pechino e invece no.
Shenyang, capoluogo della provincia di Liaoning, ospita oltre 8 milioni di abitanti (dato del 2017) ed è una delle città più grandi e popolose della Cina, con un importante centro industriale attivo sin dall’inizio del XX secolo grazie alla sua posizione strategica e alle sue risorse naturali.
Negli ultimi anni sono stati costruiti grattacieli, centri commerciali, edifici residenziali e infrastrutture, che convivono con templi e palazzi più antichi.

Shenyang vista dalla mia camera d’hotel

Leggo tutto questo mentre faccio colazione in hotel – il Conrad Shenyang – all’88esimo piano.
È probabilmente l’albergo più lussuoso in cui sia stata. Sicuramente quello posizionato più in alto.

Un bel cambiamento da quello del giorno precedente ma non devo abituarmi. Staremo qui due notti, e la prima è già passata.

Saliamo di nuovo sul pullman per un’altra ora di viaggio finché non arriviamo alla Shenyang Yili Dairy Co. Ltd. Un’azienda che produce… latticini.
Dove sta esattamente la tecnologia qui?
Ovunque.

L’area imballaggio della Shenyang Yili Dairy Co Ltd

L’azienda è stata fortemente automatizzata con macchinari, bracci robotici, intelligenza artificiale e algoritmi che hanno ridotto al minimo la forza lavoro, che si occupa più di supervisionare che di altro.
Il sistema è così avanzato che praticamente tutto, dalla produzione all’imballaggio, è gestito dalla macchine.

Una sala di controllo della Shenyang Yili Dairy Co Ltd

Vorrei saperne di più, vorrei vedere e sapere altro, ma rimaniamo sempre dietro muri e vetri, senza possibilità di avvicinarci, finché la visita non termina e ci rimandano sul pullman.

Seguono una visita al China Xibe Museum, uno dei 56 gruppi etnici riconosciuti dalla Repubblica Popolare Cinese, un incontro istituzionale con i rappresentanti di Shenyang e della provincia di Liaoning e il pranzo.

Fatico un po’ a tenere il passo.
I ritmi sono molto serrati, il programma è sempre diverso dall’agenda che avevo ricevuto prima della partenza e senza stare attaccati a Sarah, una dei capigruppo che fa anche da interprete, è difficile captare tutte le informazioni, spesso condivise prima in cinese, ma così facendo perdo preziose opportunità di parlare con le persone e di esplorare un po’ i vari luoghi in cui ci portano.

Ma va bene così: in fondo non è un viaggio pensato per i giornalisti, è un viaggio pensato per giovani di talento che devono scoprire qualcosa di più di un Paese di cui si legge molto ma che si sperimenta poco.

Con questa riflessione salgo di nuovo sul pullman perché la giornata non è di certo finita. Ci aspettano al China-Germany Enterprise International Innovation Incubation Center.
Cos’è potete forse immaginarlo. Si tratta di un polo dedicato alla collaborazione tra Cina e Germania, posizionato in un’area ancora più grande chiama China-Germany Equipment Manufacturing Industrial Park. Il suo compito è fornire servizi e aiuto alle piccole e medie imprese e alle aziende tecnologiche che vogliono affacciarsi al mercato cinese, facendo affidando su una già vasta esperienza. A Shenyang infatti si trova l’impianto produttivo BMW Brilliance Automotive, ossia la fabbrica che produce le auto a marchio BMW per il mercato cinese. E non una qualunque visto che è una delle più grandi al mondo e una delle più innovative, mossa dall’obiettivo di rendere la produzione più green e più digitale.

In basso il modellino che ricostruisce il China-Germany Equipment Manufacturing Industrial Park, al centro la mappa, a sinistra i partecipanti a Future Close Up in visita

Da questa stretta collaborazione tra il Regno di Mezzo e la Germania è nata anche “Germantown”.
Avete presente quando andate nei grandi parchi divertimento, tipo Disneyland, e ci sono intere zone costruite con un particolare stile architettonico o ispirate ad un film o una certa cultura?
Ecco, Germantown è un po’ questo.
Non è una città vera e propria ma una strada di 300 metri che è ispirata a Rhotenburg, in Bavaria.
Qui è possibile trovare negozi, bar e ristoranti tipici della Germania. E un paio di ristoranti italiani che non ho ancora capito perché siano stati posizionati lì.
Il senso però è di avvicinare ai cinesi alla cultura tedesca, anche se in modo poco convenzionale.

Pullman. Traffico. Chiacchiere con i compagni di viaggio.
Ed eccoci arrivati al China Industrial Museum.
L’ingresso è maestoso, con un enorme scultura in rilievo che rappresenta la potenza industriale della Cina, affiancata dalla bandiera e preceduta da un gigantesco tappeto rosso.

L’entrata del China Industrial Museum

Non so bene cosa aspettarmi ma mi faccio guidare da Sarah nella visita, almeno all’inizio. Poi mi perdo a guardare il museo: bicilette, cannoni, macchine da scrivere, ritratti di famosi scienziati occidentali e di grandi imprenditori americani come Bill Gates e Steve Jobs. E ancora: missili, automobili, ricostruzioni dei razzi inviati nello spazio, un’intera sezione di una fonderia e un carro armato creato con i bossoli dei proiettili.

Il carro armato fatto di bossoli di proiettile al China Industrial Museum

È incredibile. Forse uno dei musei più belli che io abbia mai visto nella mia vita. E, di nuovo, non ci ho passato abbastanza tempo. C’era ancora tanto, tantissimo da vedere. Ma dobbiamo andare via.
Una parte di noi ha una cena formale mentre gli altri, io compresa, si godono un bel barbecue.

Io e Moreno ci chiediamo quali siano stati i criteri di selezione e se la nostra appartenenza alla categoria “media” abbia pregiudicato la nostra ammissione in quel piccolo gruppo di eletti. Non che sia un problema – anzi – ma ci incuriosisce saperlo.

Vado però a dormire con questo quesito, per risvegliarmi la mattina dopo con una splendida vista su Shenyang. È domenica e ci attendono la visita al Palazzo Imperiale e quella alla residenza di Zhang Zuolin and Zhang Xueliang, entrambi generali cinesi con una incredibile carriera alle spalle.
Finalmente un po’ di cultura cinese tradizionale.
Fa caldo, ci stiamo sciogliendo e, come sempre, dobbiamo fare tutto di corsa ma la bellezza di questi luoghi è impagabile. Meriterebbero una visita più approfondita, più tranquilla, e magari non di domenica con una quantità incredibile di turisti – locali più che stranieri – ma è comunque un’esperienza difficile da dimenticare.

Nel pomeriggio facciamo una rapidissima e un po’ confusionaria visita al Liaoning Provincial Museum, con un tour veloce di una sala ala, quella preistorica, e poi via, pullman e prossima tappa, il SISP (Shenyang International Software Park). Si tratta di un complesso in cui si concentrano una marea di software house differenti e che è diventato un punto di riferimento per lo sviluppo software e l’informatica in Cina. Pensate che qui, nel 2023, c’erano 1.535 aziende, 48 delle quali comparivano nella top 500 di Fortune.

L’ingresso è futuristico, un’astronave, pensato per raccontare ai visitatori il SISP e le idee che qui nascono e vengono sviluppate. Ci dicono anche che ci sono tante servizi per i dipendenti. Appena entrati, ad esempio, c’è la libreria ma pare ci siano anche cafè, palestre e molto altro ancora.
“Pare” perché non ci fanno andare oltre l’entrata. Quello che realmente fanno qui aziende come Ascend, Philips e Schneider Electric rimarrà un mistero. Ma soprattutto domande che vanno ad aggiungersi alle molte altre che sto collezionando in questo viaggio.

Dentro un reality show

Pullman, treno, pullman, albergo. La routine si ripete e i giorni passano.

È il 17 giugno e siamo tornati a Pechino ma domani si riparte.

Mi alzo dal letto. Sono le 7.00. Alle 8.25 devo essere nella hall.
Mi lavo, mi vesto, preparo lo zaino, controllo che l’attrezzatura sia carica, raduno le mie cose perché non vorrei far impazzire il personale che dovrà sistemare la stanza in mia assenza.

Scendo a fare una colazione che è ormai lontana dai fasti e dalla varietà dell’hotel extra-lusso di Shenyang ma non ci faccio troppo caso. Prendo quello che mi convince di più e tanto caffè.

Due chiacchiere con i compagni di viaggio e poi è ora di radunarsi.
Alle 8.20 sono nella hall. La maggior parte dei membri del gruppo 3 è già lì.
Ricardo e Kevin sono già all’opera.

Stamattina dobbiamo chiamarci un taxi da soli per andare a Taoranting Park, dove oggi ci sfideremo per portare a casa altri preziosi punti per la nostra sfida, anche perché in palio ogni giorno ci sono dei preziosi RMB, o yuan se preferite. Insomma, si vincono soldi da usare per le attività di gruppo. Noi stiamo andando bene ma si può sempre fare meglio.

L’app del taxista che ci porta a Taoranting Park

Faccio così la conoscenza ravvicinata di Didi. Che non è una persona ma è un’app per la mobilità. Una super app perché ci sono i taxi, gli autisti tipo quelli di Uber, le biciclette in sharing e altro ancora. Persino dei servizi per gli automobilisti.

Usiamo i soldi guadagnati fino ad ora per prendere un’auto. Siamo in 7 ma in qualche modo ci infiliamo lo stesso in auto. A Milano mai nella vita il taxista avrebbe accettato questo selvaggio posizionamento dei passeggeri ma a Pechino non è un problema.

Il viaggio dura poco e in un batter d’occhio arriviamo al parco, dove ci aspetto BB con quella che non ho ancora capito se sia la sua assistente o se il rapporto tra loro sia personale. Non mi è parso comunque abbastanza rilevante da chiedere. Anzi, diciamo pure che non sono affari miei.

Una volta arrivati tutti a Taoranting Park, ci addentriamo nel parco. L’atmosfera è da gita scolastica. Alle mie spalle sento Moreno che intona le più svariate canzoni con altri partecipanti. La gente ci guarda male. Non sono abituati a questa caciara. Noi ridiamo.
Poi le cose si fanno serie.
Ci fermiamo in uno spiazzo, in fila ognuno dietro il leader del suo gruppo – Ricardo è il nostro – mentre ci spieghiamo le regole del gioco. Anzi, di questo “reality show” perché ad ogni gruppo viene assegnato un videomaker che riprenderà tutte le fasi di non-si-sa-bene-cosa andremo a fare.

Tutto chiaro.

Proseguiamo finché non arriviamo ad un gazebo dove ci aspetta un maestro di Tai Chi/influencer.
Occhiali da sole azzurri, tunica bianca, atteggiamento di chi la sa lunga di fronte a circa 30 persone che forse non sanno neanche come si scrive “Tai Chi”.

Non posso dire che siamo stati bravi ma sicuramente poteva andare peggio.

La nostra prova di Tai Chi valsa 4 punti

Un’affermazione che non vale per una delle attività successive: la pittura a immersione di un foulard, seguendo la tecnica cinese, è stata un disastro. Per altro sbagliando a creare la pittura abbiamo probabilmente dato vita ad una forma di vita aliena, melmosa e bluastra, che speriamo non conquisti il mondo negli anni avvenire.

La nostra prova di pittura: a sinistra Stacey che immerge il foulard, a destra il maestro che prova ad aiutarci

C’è stata anche la sfida a mangiare un cibo locale notoriamente disgustoso, una pausa pranzo a base di panini McDonald’s consumati nel parco (una scelta basata sulla convinzione, mi dice Kevin, che a tutti gli occidentali piaccia McDonald’s), la scoperta che nei bagni pubblici cinesi la carta igienica è fuori e non dentro (da sapere per il prossimo viaggio), un ordine da Starbucks per trovare un minimo di refrigerio con quei 32-33 gradi che ci stava regalando Pechino

L’uomo delle consegne diventato virale con la sua musica

e un uomo delle consegne che si è rivelato essere anche un influencer, diventato virale durante il covid perché suonava quella che credo fosse un’ocarina durante le consegne che faceva in ospedale. Una storia meravigliosa di un uomo che nonostante il successo continua a fare l’uomo delle consegne perché gli piace, rimanendo umile e cercando di portare gioia alle persone con la sua musica, musica che “mi permette di sentirmi più vicino a casa mia quando sono lontano”.

Poi è arrivata la sfida delle sfide: prelevare un oggetto tecnologico dagli organizzatori, chiamare un taxi, portarlo ad un centro riparazione indicato sulla scheda della prova e poi tornare indietro con un altro taxi.
Inizia così la nostra folle corsa.
Saliamo su due taxi: io, Kevin e Richard accogliamo l’operatore con noi mentre Ricardo, Ken, Stacey, Nick e BB prendono  un’altra auto.
Noi arriviamo per primi e cerchiamo il posto perché, ovviamente, l’indirizzo in questo Paese è spesso un’indicazione di massima, non un’informazione precisa.
Troviamo un centro commerciale. Il posto deve essere dentro. Il tempo scorre e quindi corriamo con operatore al seguito finché non troviamo il negozio.

Praticamente Pechino Express nella vita reale 😀 Da sinistra: Kevin, BB, Ricardo e la ragazza che lavora nel negozio. Sullo sfondo l’altro ragazzo del negozio.

Molliamo un telefono, prendiamo un cartoncino e chiamiamo altri taxi. Arriviamo a destinazione, schiviamo le bici parcheggiate ed entriamo nel parco.
Siamo i primi ad essere arrivati tutti insieme.

Abbiamo vinto.

E così finisce il nostro reality show.
Per fortuna.
Il caldo ormai stava avendo la meglio.

Ci riposiamo con un’affascinante visita in un museo dedicato ai non vedenti.
Decine di libri in braille, utensili antichi, tastiere e dispositivi moderni, stampanti per avere la scrittura in rilievo, zone per la lettura, modellini di qualsiasi cosa, bassi rilievi per “sentire” la storia e una sala cinema per ascoltare i film bendati e provare a capire cosa si prova.
Dietro un’anonima porta c’è anche un percorso totalmente al buio per i più coraggiosi.
Entro.
Mi appoggio al muro, che cambia mentre ci si sposta. A volte ci sono oggetti appesi e capire di che si tratta non è sempre facile. Poi il pavimento cambia, diventa morbido, e poi in discesa, e risale per poi appianarsi di nuovo. Un filo di luce entra nella stanza e intravedo un tavolo in mezzo allo spazio in cui mi trovo. Non penso me ne sarei accorta senza un piccolo aiuto della vista. Proseguo di nuovo nel buio finché non sento la porta. Si esce. E il bagno di luce che segue l’esperienza lì dentro fa un effetto tutto nuovo.

Kevin sperimenta cosa vuol dire “sentire” una statua invece di vederla

Quando sono entrata non avevo grandi aspettative e invece è stata una visita meravigliosa.

Ma è ora di andare a cena.

Prendo un taxi con Kevin e raggiungiamo un ristorante situato in un centro commerciale. L’ingresso è minuscolo ma appena entro mi trovo in una sala d’attesa con diverse scalinate, posti a sedere, tavolini e un LED Wall gigante. Ci portano l’acqua e attendiamo qui il nostro turno.

Il cameriere robot

Passano pochi minuti e tocca a noi. Prima della sala ristorante c’è una vetrina con bracci robotici che preparano il cibo mentre altri robot si muovono per consegnare le pietanze. Ci sono anche tanti camerieri umani ma ovviamente sono le macchine la vera attrattiva.
Peccato non arrivino mai al nostro tavolo: è già pieno e non c’è bisogno di ordinare altro.

Manca solo la salsa personalizzata quindi seguo la cameriera che mi indica dove farla.
Lester, uno dei miei compagni di viaggio che viene da HongKong, mi chiede se conosco l’hot pot o me lo deve spiegare. Gli dico che l’ho già sperimentato ma se ha suggerimenti sugli ingredienti della salsa lo ascolto volentieri. Me ne indica qualcuno e finisco la mia composizione.

Da qui in poi la serata si evolve rapidamente: mangiamo di tutto, arriva un tizio mascherato ad intrattenerci, parte la versione di “Tanti auguri a te” cinese per altri ospiti del ristorante e chiacchieriamo un po’ di tutto finché non è ora di prendere un altro taxi e goderci una riposante e suggestiva gita in barca al tramonto sul fiume Liangma, con tanto di luci ed effetti sonori lungo il percorso.
Siamo distrutti dalla giornata ma ad un certo punto partono i Back Street Boys e si balla. Poi ci sediamo di nuovo perché c’è una chiusa da superare. Ma non ci si annoia. Il soffitto e le pareti sono infatti unico incredibile LED Wall che proietta animazioni legate alla cultura cinese. E così, in mezzo a Pechino, su una piccola barca ci troviamo sovrastati da un enorme drago che sembra avercela con noi.
La chiusa poi si apre e raggiungiamo la banchina per scendere.

L’enorme LED Wall della chiusa del fiume Liangma

È stato bello ma ora sono stanca e voglio solo tornare in albergo, mettermi in pari con il lavoro e dormire.

La libertà di espressione in Cina

La mattina mi sveglio piena di energia.
È giunto il momento che tanto aspettavo: oggi si va a Xiong’an New Area.
Di lei ho cercato e letto molto nei giorni precedenti a questo viaggio: è una città costruita dal nulla negli ultimi 7-8 anni con l’intento di creare una vera e propria smart city grazie ad investimenti miliardari e alle indiscusse capacità progettuali della Cina.

Come sarà però vista dal vivo?

Mi affretto a prepararmi per uscire e affrontare il solito viaggio in pullman che prima però fa tappa alla Tsinghua University, una delle più grandi e prestigiose università del Paese. “Il MIT della Cina”, mi spiega Hannan, uno studente pakistano che incontro nei locali del programma di Global Business Journalist co-diretto da Richard Dunham, un giornalista americano con 35 anni di esperienza alle spalle.
Hannan mi dice che è difficile entrare in questa università, soprattutto per i cinesi, ma una volta dentro è un enorme opportunità.
Gli chiedo se sia felice della sua scelta. Mi dice di sì, qui si trova bene, nonostante ovviamente gli manchi la famiglia.

Seguiamo un paio di presentazioni che provano a spiegarci rapidamente i modelli cinesi di intelligenza artificiale generativa e i social network locali. Mentre le slide ci passano davanti penso che tutto questo sarebbe stato utile il primo giorno.
Ecco, se c’è una cosa che avrei voluto andasse diversamente è questa. Per tutto il viaggio sono state date per scontate un sacco di cose che per me non lo erano. E sono mancate informazioni: sul programma, sulla cultura cinese, su app che qui sono estremamente popolari e da noi neanche esistono. E sì, uno potrebbe fare delle domande ma non c’è stato tempo nemmeno per loro.

Il professor Richard Dunham durante la nostra chiacchierata a pranzo

Torno con la mente al presente. È ora di pranzo. Mangio in fretta il mio box salutista e provo ad avvicinare il professore Dunham per approfondire un paio di punti della sua presentazione che mi hanno incuriosita. Ad un certo punto infatti il reporter americano ha raccontato che il suo corso deve fronteggiare le differenze culturali tra lo stile occidentale (che poi sarebbe giusto dire “angloamericano”) e quello cinese perché no, non scriviamo tutti nello stesso modo.

Lo stile di scrittura cinese, quando si scrive in cinese, è molto più fiorito, molto più elaborato. Ed è passivo mentre in Europa e in America prediligiamo le frasi attive. I cinesi aggiungono molti aggettivi, molti avverbi, fanno frasi molto lunghe… E’ il loro modo di scrivere. Che non è giusto o sbagliato, è solo il modo in cui scrivi se il tuo pubblico è cinese.
Se però sei uno studente cinese che vuole scrivere in inglese e adotti questo stile, faticherai a connetterti con il pubblico occidentale che invece tende ad andare dritto al punto.
[…] Molti articoli cinesi poi non prevedono citazioni quindi insegno loro ad inserirle perché è importante averle a sostegno della storia che si sta raccontando.
[…] Non puoi scrivere un articolo in modo che sia adatto ad una specifica cultura e aspettarti che persone con una cultura diversa lo leggano in maniera naturale.”

Non ci avevo mai pensato.
Ora capisco meglio l’esigenza di frequentare un corso come quello del professor Duhnam anche se non posso fare a meno di chiedermi quanto invece abbia senso un programma di giornalismo internazionale in un Paese che non è famoso per la libertà di espressione e che ha, per stessa ammissione del professore, un problema di credibilità.
“Se Donald Trump diventasse di nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America perché uno dovrebbe studiare negli Stati Uniti? Perché le università rimangono delle buone università.
Studi in un luogo che ha grande credibilità e che ti insegna la realtà delle cose. E’ quello che succede anche qui”.

Prima di fuggire verso la nostra prossima tappa, Moreno prova a chiedergli se poi, una volta conclusi gli studi, questi ragazzi abbiano davvero la possibilità di esprimersi liberamente e fare il loro lavoro di giornalisti. Il professore ci dice di sì ma non ci pare un sì convinto, paiono parole scelte con cura le sue, parole selezionate per darci una risposta positiva ma non fino in fondo.

Un’aula della Tsinghua University

Avrei conversato con Richard Dunham per ore ma devo accontentarmi di quei pochi minuti.
Riusciamo però a strappare un rapido giro al piano superiore, dove ci sono le aule deserte perché i corsi sono terminati. C’è giusto qualche sporadico studente e un cane che sonnecchia sulla sedia di un grande tavolo posizionato nel corridoio.
L’edificio non è sicuramente di recente costruzione ma gli spazi al suo interno sono moderni e ben tenuti. Mi chiedo se anche qui ci siano gli stessi distributori che abbiamo visto in un altro edificio, quelli pensati per pagare con il proprio volto grazie ad Alipay, però non ne vedo nessuno.

La tecnologia in Cina è anche questo: pagare con il volto ai distributori di merendine
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Xiong’an New Area: la smart city del futuro | La tecnologia in Cina

Due ore dopo entriamo a Xiong’an New Area.
La città è deserta.
Poche auto, poche persone in bici, nessuno a piedi.
Eppure vedo negozi, ristoranti, parchi, edifici residenziali, uffici e alberghi.
Incluso il nostro.
Il livello è altissimo: ingresso enorme, marmo ovunque, piscina, bar e ristoranti, camere curatissime e una vista spettacolare.
C’è un po’ più di vita rispetto a quella che abbiamo trovato per strada ma meno di quanto mi sarei aspettata.

Il primo impatto con Xiong’an New Area

Prendiamo possesso della camera abbandonando il nostro passaporto per velocizzare le operazioni check-in.
Non è la prima volta che succede. E non è una sensazione che mi piace particolarmente, quella di separazione dal mio passaporto.
L’ultima volta ci sono voluti due giorni per riaverlo indietro, cosa che nessuno di noi ha particolarmente gradito.
Non abbiamo comunque altra scelta quindi seguiamo le indicazioni e ci ritroviamo tutti sul pullman nel giro di 10 minuti.

Ci portano in una struttura che pare a metà tra un museo e un edificio governativo: all’interno c’è un grande schermo, informazioni sulla città e modellini, ricostruzioni dei progetti per Xiong’an New Area.
Vorrei dirvi come si chiama ma il traduttore fallisce di fronte alla scritta e Mappe mi dice che qui dovrebbe esserci una scuola, che non ho visto sebbene la forma dell’edificio sia simile. La mia miglior teoria è che sia stata abbattuta e ricostruita altrove per far posto a questo posto.
Fuori però c’è una scritta che il telefono mi traduce con “Piano del Millennio”.

Il Piano del Millennio

Ci dicono che qui non è possibile riprendere nulla quindi, diligentemente, spengo la camera. Ma non basta. Mi chiedono di consegnarla alla reception con la promessa di ridarmela all’uscita. Mi sembra un po’ esagerato e mi pare che la motivazione abbia ancora meno senso: non rovinare la sorpresa ai cinesi che non hanno ancora visto Xiong’an e non sanno come sarà una volta finita.
Non ne colgo il senso visto che è una nuova città che mira ad attirare 5 milioni di persone nei prossimi anni. Come le attiri le persone se non sanno cosa li attende qui?
Ma ok, tengo le mie domande per me e lascio la camera all’ingresso.

La guida, con l’aiuto della nostra instancabile interprete Sarah, inizia a raccontarci qualcosa sulla città.
Negli ultimi 6 anni sono stati costruiti oltre 3000 edifici e buona parte dell’infrastrutture, inclusi 132 km di tunnel sotterranei che dovrebbero ospitare cavi, tubo, idealmente persino un sistema automatizzato di consegna dei pacchi.
Sono già comparsi molti parchi con l’obiettivo di rendere la città vivibile per chiunque e c’è molta attenzione all’ambiente e alla zona in cui è stata costruita questa città.

Dall’albergo la vista è su un’enorme area verde

Scrivo forsennatamente i dati più rilevanti sull’iPhone per non dimenticarli.
Mi vedono, si avvicinano e mi chiedono di consegnare anche il telefono.
Ora mi pare un po’ esagerato…
Non sto fotografando e filmando niente, sto solo facendo il mio lavoro.
Moreno mi guarda e mi mostra la sua cara vecchia agendina con la penna.
Il suo essere un po’ boomer e analogico è utilissimo in questo momento.
Io però non demordo e accendo il microfono.
Niente foto e video ma l’audio è concesso.

Cerco di rimettermi in pare con la spiegazione: la guida racconta che questo specifico luogo, posizionato ad un centinaio di chilometri da Pechino, è stato scelto per la sua vicinanza ad un lago che fornisce quindi l’acqua per la città.
Quello che non dice è che qui prima c’era già un insediamento, c’erano campi, c’erano persone, c’erano attività commerciali.
La gente è stata costretta a spostarsi con la promessa di una casa al loro ritorno. Mantenuta, chiaro, ma immagino non sia stata una cosa semplice.
Il governo cinese in compenso si è impegnato a bonificare l’area del lago e ad ideare soluzioni per alimentare Xiong’an anche con fonti di energia rinnovabile.

Il lago su cui si affaccia Xiong’an New Area

Al momento in questa città vivono 300.000 persone, traduce Sarah.
Mi chiedo dove siano visto il deserto fuori ma andrò a cercarle dopo.
Per adesso continuo a concentrarmi per non perdere informazioni utili mentre ci spostiamo da un modellino all’altro.
Ne incrociamo uno con una sezione verticale che mostra anche la parte sotterranea che ospiterà la metro ma c’è anche il treno per raggiungere Pechino rapidamente.
Il progetto per la stazione sembra davvero imponente ma la cosa che più mi colpisce è l’idea di regolare tutto sfruttando anche l’intelligenza artificiale. Vale per la metro ma anche per la gestione del traffico e per la distribuzione dell’energia.

Il livello di pianificazione di Xiong’an è assurdo: le zone della città sono pensate in maniera scrupolosa. Ci sono aree per le aziende internazionali, aree per le università, aree per gli edifici che dovranno ospitare le funzioni amministrative e governative non essenziali. Che poi è il motivo per cui questa metropoli sta nascendo: sgravare Pechino e renderla più vivibile spostando qui ciò che non è necessario stia nella capitale.
C’è anche un’area per gli anziani e le case di cura. Ecco, questo mi pare un po’ meno entusiasmante ma ovviamente nella pratica potrei sbagliarmi.

Xiong’an New Area di notte

C’è di tutto. E tutto è progettato con la regola dei 15 minuti: tutte le attività essenziali per la vita di una persona – negozi, parchi, scuole – devono essere nel raggio di 15 minuti. Per tutti.

Il nostro giro termina e finalmente riprendo possesso dei miei averi che nel frattempo erano stati spostati in un altro posto.
La spiacevole sensazione però, che ho provato quando mi hanno tolto camera e telefono, me la ricordo. Magari è suggestione, magari sono le cose che si dicono della Cina, magari ci credono davvero a questa cosa della sorpresa, magari altrove non l’avrei vissuta così. Però non mi è piaciuto.

Saliamo sul pullman e torniamo in hotel per una cena istituzionale in una delle enormi sale che la struttura ha a disposizione. Con noi c’è il responsabile della costruzione di Xiong’an New Area che, prima di andare via, ci dona un quarto d’ora di tempo per fare qualche domanda. Ottimo, perché ce n’è una che mi sto ponendo da ore: come verrà popolata la città?
La risposta, molto equilibrata e molto politica, è sia rendendo questo centro urbano attraente per i cinesi così come per gli stranieri sia con incentivi e politiche statali.
In programma c’è anche un piano per mantenere bassi i prezzi degli affitti, così da offrire soluzioni sicuramente più economiche rispetto a quelle della capitale che a quanto pare non prezzi troppo diversi da quelli folli di Milano.

Finita la cena saluto i miei compagni e vado a fare un giro da sola per la città.
E’ la prima volta che ho il tempo, le energie e la libertà di andare a fare due passi. Xiong’an al tramonto è bellissima.
Tutti i palazzi sono moderni, ci sono un sacco di aree verdi, di fontane e c’è molta più gente di quanto pensassi per le strade: persone che passeggiano, bambini che giocano, poliziotti agli angoli, giovani che parlano.
Non rimanere affascianti di questo sfoggio di modernità che tende quasi al futuro è impossibile.

Torno alla realtà quando arrivo in una zona ancora in costruzione che mi ricorda che qui c’è ancora tanto da fare. L’idea è terminare la città per il 2035, e mi pare che la Cina abbia tutti i mezzi per farcela. Pochi Paesi al mondo vantano queste capacità ingegneristiche, e ancora meno lo spazio e la potenza economica per erigere dal nulla una smart city.

La mattina ci portano prima sul lago, a dimostrazione del grande lavoro di bonifica fatto, e poi in un altro centro che ospita un discreto numero di modellini – e no, anche qui non si può filmare niente all’interno. Saliamo però all’ultimo piano per goderci la vita sui cantieri.
Una distesa sterminata di cantieri, con la metropolitana che prende vita proprio sotto di noi. L’effetto wow è garantito.

In mezzo a questa modernità però c’è spazio anche per la tradizione. Nel pomeriggio, nonostante gli oltre 30 gradi, ci portano in un paio di parchi che ospitano edifici tipicamente cinesi nello stile.
Non sono però antichi. Sono stati costruiti per sembrarlo.
Ad esempio, quello che da fuori pare un tempio, dentro ospita un ascensore, cavi e quadri elettrici complessi.
Però serve lo scopo: ricordare ai cinesi da dove vengono. Dove stanno andando lo vedono ogni volta che si affacciano alla finestra.

Ultimo aggiornamento 2024-08-14 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API

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