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In Cina per scoprire i segreti di OPPO: dallo sviluppo alla produzione degli smartphone

Siamo stati a Shenzhen per visitare i laboratori altamente robotizati di OPPO. Non solo smartphone ma anche tanta innovazione. Vi raccontiamo come è andata.

SHENZHEN – Sono volata in quella che tutti considerano la Silicon Valley cinese – Shenzhen – per vedere cosa ci sia dietro a un colosso della telefonia come OPPO. Il brand ormai presidia il mercato Italiano da svariati anni e ora riapre nuovamente le porte del suo mondo ai media internazionali per mostrare come si lavora da quelle parti. Mettetevi comodi perché sarà un lungo viaggio tra campus sperduti nell’entroterra cinese, grattacieli sfavillanti nel cuore di Shenzhen e laboratori di ogni tipo, tutti però con un comun denominatore: l’altisima concentrazione di robot automatizzati.

La (breve) storia di OPPO

Questa storia merita di essere raccontata da principio.
OPPO entra da outsider nel mercato europeo nel 2018 e lo fa con prepotenza, facendosi ancor più spazio – l’anno seguente – in seguito al ban trumpiano di Huawei. Sì, è vero, in Italia era un brand quasi sconosciuto nonostante nel continente asiatico avesse già scalato le classifiche di vendita. OPPO – non è un mistero – fa parte del gruppo BBK Electronics, un conglomerato dell’elettronica con sede nella città di Dongguan che in grembo porta anche altri band di smartphone come VIVO e OnePlus. Attenzione però, ognuno dei brand ha una sua identità; quello che rende OPPO un’azienda competitiva è la possibilità di fare economia di scala insieme agli altri brand del gruppo.

In Italia inizia a farsi conoscere nemmeno troppo in sordina, tappezzando le città e le metropolitane di affissioni e acquistando spazi pubblicitari in TV in modo da diffondere il brand. Anche perché – diciamocela tutta – in Italia sono sbarcati con un prodotto nemmeno troppo “facile”: si chiamava OPPO Find X ed era un cameraphone top di gamma lanciato sul mercato a un prezzo poco al di sotto dei 1000 euro. La sua caratteristica principale? Aveva una fotocamera motorizzata a scomparsa proprio wow. Il coraggio non manca di certo al management di OPPO.

L’azienda ha una storia che fonda le sue radici non troppo lontano nel tempo: nasce nel 2004 e l’anno successivo lancia il suo primo prodotto, Oppo X3, un lettore MP3 tanto in voga alla fine del decennio scorso. Da allora l’ascesa è stata costante, fino a lanciare nel 2008 il primo e pucciosissimo smartphone con il sorriso: OPPO A103.

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Il primo prodotto di OPPO e il primo smartphone

In questo contesto molto frizzante e in pieno di slancio, OPPO decide di aprirci le porte delle sue diverse sedi di Shenzhen e dintorni per mostrarci davvero – senza filtri – come si è arrivati ai prodotti che oggi quasi tutti conosciamo.

Vi starete chiedendo perché ho parlato di sedi al plurale. Perché attualmente OPPO è sparsa in diversi edifici in contesti anche in contrasto tra loro, nell’attesa di trasferire gran parte del suo staff nella nuova mega sede sulla baia di Shenzhen la cui costruzione – che dovrebbe terminare nel 2025 – è stata affidata allo studio di architettura Zaha Hadid.

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La sede di OPPO a Shenzhen (pronta nel 2025) – progetto dello studio Zaha Hadid.

Oppo in Cina: perché Shenzhen

È bene inserire OPPO nel contesto territoriale perché potrebbe aiutarci a capire meglio come funzionano le cose da queste parti. Shenzhen viene considerata – dalla stampa internazionale – la Silicon Valley cinese. Si tratta di un luogo speciale perché a differenza di quella originale (sulla baia di San Francisco), qui oltre a sviluppare il design e software, la aziende possono contare sulla vicinanza degli impianti produttivi. Il processo di ideazione e produzione sono uniti in un’unica filiera che oltre tutto ha a disposizione un mercato interno esagerato per poter testare i propri prodotti: se negli Stati Uniti gli abitanti sono 331 milioni, la Cina – come ormai sappiamo tutti – ha superato di gran lunga il miliardo di abitanti.

La “fortuna” di Shenzhen non è stata però un caso, una serie di mirabolanti congiunture astrali, perché questa città è stata pianificata a tavolino con Deng Xiaoping che nel 1980 – in un’ottica di apertura verso i paesi esteri – ha istituito 5 zone economiche speciali tra le quali figurava anche Shenzhen. La città quindi passa da essere un semplice villaggio di pescatori a una metropoli con oltre 13 milioni di abitanti in cui hanno sede la maggior parte dei colossi tech cinesi: oltre OPPO ci sono DJI, Tencent, Alibaba, Huawei, Hisense, Lenovo e tanti altri.

Se volete approfondire questo aspetto della tecnologia made-in-China, vi suggerisco di leggere il libro di recente pubblicazione “Tecnocina” di Simone Pieranni.

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In questo contesto così frizzante, anche se non scevro da ombre (cantieri in costruzione ovunque, parecchi grattacieli terminati e vuoti), si inseriscono le diverse realtà di OPPO che abbiamo avuto modo di vedere. Siamo stati nel cuore del “quartiere” tech di Nanshan (che conta 1 milione di abitanti) dove abbiamo visitato alcuni dei laboratori in cui i tecnici di OPPO sviluppano e testano diverse componenti dei propri smartphone (a volte in partnership con altri colossi tecnologici), poi sulla baia di Shenzhen per visitare altri uffici all’interno di grattacieli dal respiro internazionale e ci siamo spostati anche nei pressi di Dongguan luogo in cui trova casa la linea di produzione in cui vengono assemblati gli smartphone. Abbiamo anche visitato il campus OPPO – un contesto totalmente differente da quello sberluccicoso della grande metropoli – e infine in una zona ancora in costruzione sulla baia di Binhaiwan in cui si erge, come una cattedrale nel deserto, il datacenter OPPO AndesBrain, centro di comando dell’intelligenza artificiale di OPPO (che per ora è destinata esclusivamente al mercato cinese).

Cosa abbiamo visto

Abbiamo trascorso tre giorni intensi in compagnia del team cinese di OPPO che ci ha accompagnati alla scoperta della storia del brand, mostrandoci – senza timori – il processo trasformativo che stanno attraversando. Passare dall’essere un brand cinese a diventare brand internazionale non è un’operazione scontata né tanto semplice. La Cina è davvero un universo parallelo, governato da credenze, abitudini e leggi a volte diametralmente opposte a quelle che viviamo noi tutti i giorni da questa parte del mondo. Questa premessa per cercare di spiegavi i contrasti che abbiamo visto senza un tentativo da parte dell’azienda di renderli più belli in seguito all’arrivo in visita di media stranieri. La cosa che più mi ha impressionato è il contrasto tra l’immenso campus di Dongguan e l’impianto della linea di produzione. Il campus è di stampo evidentemente cinese, a tratti cupo, poco brandizzato (si faceva quasi fatica a capire che ci trovavamo in una delle sedi di OPPO) tanto che ho dovuto chiedere se quella fosse effettivamente una sede di OPPO. Mi hanno detto di si: si chiama campus perché qui si lavora ma ci sono anche appartamenti, campi da basket, mense. A pochi minuti di bus invece c’è la linea di produzione degli smartphone al cui interno si respira un’area internazionale: il branding è presente e l’alternanza dei colori bianco e verde rispecchiano la linee guida del brand.

Questi contrasti sono un chiaro segno della trasformazione in atto che porterà OPPO a diventare ancor di più un brand internazionale, rendendosi più comprensibile anche agli occhi di un visitatore esterno.

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Robot utilizzato nell’OPPO Automated Imaging Lab

Uno dei laboratori più insoliti (nel campus di Dongguan), che a tratti ha suscitato la curiosità – ma anche l’ilarità – dei presenti, è l’OPPO Automated Imaging Lab. In un’area molto ampia sono stati ricostruiti all’incirca 15 ambientazioni differenti che rappresentano scene di vita reali (o quantomeno verosimili): un negozio di alimentari, un ristorante con tavola imbandita, un salotto, un bar buio e misterioso popolato di manichini. Orbene, a che serve tutto questo? Semplice: gli ingegneri lasciano girovagare in questi ambienti due robot con degli smartphone montati su un braccio. I robot scattano autonomamente più di 250 foto durante una sessione per poi tornare alla loro base, scaricare le foto, farle analizzare agli ingegneri e infine ripetere potenzialmente all’infinito questa operazione. Il vantaggio? I robot scattano foto identiche tra una sessione e l’altra (per inquadratura e posizione, cosa che un umano faticherebbe a fare con la stessa precisione).

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OPPO Automated Imaging Lab

Secondo gli ingegneri di OPPO questa soluzione robotizzata li aiuta creare uno standard per il software della fotocamera e condurre così test più accurati per calibrare la resa dello scatto.
Ah giusto, vi ho parlato di ilarità: c’è anche una versione del robot con montata la testa di un manichino dai tratti asiatici e un manichino dai tratti più caucasici. In questo caso il robot scatta solo foto di selfie per il settaggio della fotocamera frontale. A vederli operare dal vivo… è un po’ uncanny valley.

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OPPO Communication Lab

Ma non di sola fotografia si vive perché gli smarphone OPPO (così come gli altri dispositivi come gli smartwatch) hanno bisogno di componentistica che funzioni bene in tutto il mondo. A questo scopo c’è il Communication Lab, un luogo dove vengono sviluppate e testate le doti fondamentali di uno smartphone ovvero quella di tenerci in comunicazione con il mondo. Questo laboratorio ha una speciale stanza che può simulare diverse condizioni di connessione, da quella di un treno che viaggia ad alta velocità a un luogo affollato. Tutte situazioni che mettono a dura prova i nostri telefoni.
Il laboratorio può inoltre emulare le reti di diversi operatori internazionali, dall’americana AT&T alle reti europee, in modo da assicurarsi che gli smartphone OPPO siano conformi a tutti i protocolli di comunicazioni presenti nei vari paesi in cui gli smartphone del brand vengono venduti.

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Tutti i laboratori che abbiamo visitato hanno dei robot: alcuni adibiti a “uso compulsivo dello smartphone”, che replicano appunto l’uso di un essere umano che scrolla il display del proprio smartphone senza sosta, altri che – come vi raccontavo – scattano foto all’infinito, altri ancora che testano la tecnologia NFC simulando transazioni con terminali di pagamento di tutto il mondo.

Tutti i processi menzionati hanno un comune denominatori: la presenza di bracci robot che efficientano il lavoro di ricerca e sviluppo degli ingegneri OPPO (professionisti che arrivano dalle migliori università cinesi, spesso in età giovanissima).

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Linea di assemblaggio degli smartphone. Potremmo chiamara amichevolmente fabbrica.

Oppo in Cina: la fabbrica che (non) ti aspetti

Sempre a Dongguan, dopo la visita al campus in cui trovano casa i robot fotografici, ci hanno portati in visita al centro nevralgico di OPPO: la linea di produzione. Giunti a questo punto ci sono stati requisiti tutti gli smartphone perché le fabbriche sono sempre obiettivi sensibili e custodiscono tecnologie e processi che la concorrenza è meglio non conosca. A differenza di altre fabbriche cinesi che ho visitato in vite passate, questa ha standard altissimi, robot capaci di assemblare gli smartphone in soli 40 minuti affiancati da addetti in carne e ossa che verificano – in ogni stazione di assemblaggio – che tutto vada per il meglio. Ai 40 minuti di produzione vanno sommati 30 minuti che gli addetti dedicano ai test per verificare che si accendano e che funzioni tutto correttamente prima di passare all’impacchettamento.

Anche se mentre parlavamo con la nostra guida ci ha detto qualcosa di un po’ inaspettato: “la tecnologia cambia in maniera così rapida che a volte è difficile – per alcuni processi – aggiornare prontamente i robot. Per alcune operazioni in OPPO quindi prediligiamo la flessibilità e le capacità di adattamento di un essere umano“.

Quindi tutto automatizzato… ma fino a un certo punto.

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Il data center che sembra arrivare da un film di fantascienza

A 50 Km da Shenzhen, a metà strada con la città di Dongguan, OPPO ha costruito il suo datacenter proprietario nell’area della baia di Binhaiwan, un luogo che ora è un cantiere a cielo aperto ma che in futuro – secondo i piani di sviluppo cinesi – dovrebbe essere un parco iper tecnologico che in grand parte verrà occupato proprio dai centri di ricerca e sviluppo di OPPO. Questo diventerà il cuore pulsante dell’R&D.

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Ingresso del datacenter OPPO Andesbrain

Ad accoglierci una delle poche strutture pronte in mezzo a un cantiere, una specie di cattedrale nel deserto che però mette bene in mostra quello che sarà il futuro del nuovo parco tecnologico targato OPPO. Il data center è ospitato in una struttura faraonica, candida, con un ingresso aeroso e gigantesco. Prima di visitare il datacenter – che non funziona ancora a pieno regime – ci hanno dato il benvenuto in una sala riunioni di una grandiosità che non avevo mai visto prima (sembrava di essere in uno di quei film di fantascienza in cui le Nazioni tengono le loro conferenze per decidere le sorti del mondo).

Il datacenter OPPO AndesBrain è alimentato al 100% da energia rinnovabile e utilizza il raffreddamento a immersione: i server sono immersi in un liquido refrigerante che ne migliora l’efficienza energetica. In questo luogo OPPO sta lavorando – oggi e anche per il futuro – solo per il mercato cinese rendendo AndresBrain la mente che animerà l’ecosistema di OPPO con una sua intelligenza artificiale (AndesGPT) e capacità di storage per tutti gli utenti cinesi. Noi continueremo a usare il nostro fidato Google Photo ma in Cina – come abbiamo potuto testare sulla nostra pelle – il gigante di Montainview non è esattamente benvenuto da queste parti. Ecco perché OPPO, così come altri colossi tecnologici, stanno cercando una loro indipendenza dai marchi americani, da un lato per dimostrare che la Cina ce la può fare da sola, dall’altro lato il ban subito da Huawei qualche anno fa continua ad essere uno spauracchio non da poco.

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Inoltre al giorno d’oggi esere leader nel campo dell’intelligenza artificiale (che ormai è impiegata in tantissimi ambiti) significa avere un vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza, soprattutto occidentale.

Se volete leggere un bell’approndimento dedicato al datacenter OPPO Andesbrain, vi suggerisco di leggere questo articolo pubblicato su Dday.it.

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Fjona Cakalli

Amo la tecnologia, adoro guidare auto/camion/trattori, non lasciatemi senza videogiochi e libri. Volete rendermi felice? Mandatemi del cibo :)

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