In piena pandemia, ci siamo sentiti meno soli e impauriti anche grazie a The Last Dance, che ha saputo intrecciare una grande narrazione seriale con una straordinaria epopea sportiva, ricordandoci la leggendaria carriera di Michael Jordan e il suo ultimo titolo con i Chicago Bulls. Fra aneddoti e ricordi, abbiamo così potuto comprendere pienamente, casomai ce ne fosse stato bisogno, l’importanza di questo ineguagliabile cestista per l’immaginario collettivo, per lo sport, per il marketing e per l’intera società americana. Tema che oggi viene ulteriormente rinfrescato da Air – La storia del grande salto, film diretto e interpretato da Ben Affleck e con protagonisti Matt Damon, Jason Bateman e Viola Davis incentrato sull’accordo fra Michael Jordan e Nike per la linea di calzature sportive Air Jordan, ancora oggi in piena attività.
Un accordo di importanza storica sia per lo stesso Jordan, che ancora oggi guadagna circa 400 milioni di dollari di rendite passive all’anno per le scarpe che portano il suo nome, sia per l’intero marketing sportivo, dal momento che dopo questo contratto molti altri campioni hanno potuto ricevere ingenti somme aggiuntive per lo sfruttamento della loro immagine. Un avvenimento ben preciso e circoscritto nel tempo, su cui Ben Affleck basa un atipico biopic, in cui il protagonista dell’accordo non è mai inquadrato in volto, a sottolineare la sua statura quasi messianica. Un’opera in cui a fare la differenza sono il contesto storico e culturale, le fragilità dei personaggi coinvolti e dei dialoghi efficaci e pungenti, che ricordano il miglior Aaron Sorkin e la sua proverbiale abilità nel portare avanti la narrazione attraverso le parole.
Air – La storia del grande salto: la nascita del mito delle Air Jordan in un riuscito film corale
L’elemento chiave della vicenda è il manager della Nike Sonny Vaccaro (Matt Damon), grande esperto di basket e amante del rischio che insieme a Rob Strasser (Jason Bateman) e al cofondatore dell’azienda Phil Knight (Ben Affleck) è chiamato a risollevare l’immagine del marchio, abbondantemente dietro a Converse e Adidas nelle preferenze degli appassionati NBA. Le sue competenze e il suo intuito lo inducono a fare una rischiosissima scommessa, ovvero investire l’intero budget a disposizione della divisione su Michael Jordan, promessa del basket che però non ha ancora disputato una singola partita in NBA. Per fare in modo che l’affare vada in porto, Sonny non deve convincere solo i suoi colleghi, ma anche lo stesso Michael Jordan, che non fa mistero di essere un grande ammiratore di Adidas. L’unico possibile appiglio è la madre del giocatore Deloris Jordan (Viola Davis), che ha un forte ascendente sul giovane e inesperto figlio.
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È un film di dialoghi Air – La storia del grande salto, ma anche un’opera di intelligente ricostruzione di un’epoca e delle sue conseguenze positive e negative sul nostro presente. La sceneggiatura di Alex Convery trova un perfetto connubio nella solida regia di Ben Affleck, che mette in scena l’ennesima rievocazione degli anni ’80, senza tuttavia ricorrere all’imperante operazione nostalgia nei confronti di quella fondamentale epoca. Ci troviamo infatti in un 1984 ben più noioso e piatto di quello preconizzato da George Orwell, in cui le note di Time After Time e soprattutto di Born in the U.S.A. accompagnano le vicende umane e lavorative di persone comuni impegnate a loro insaputa nella riscrittura delle regole di ingaggio del marketing sportivo.
Air – La storia del grande salto e Born in the U.S.A.
Proprio l’immortale brano di Bruce Springsteen, citato per più volte all’interno di Air – La storia del grande salto, è un’evidente chiave interpretativa per il lavoro di Ben Affleck. Una storia profondamente americana, che cela però le fragilità dei rispettivi protagonisti: il disagio dei reduci del Vietnam per il cantautore; la profonda solitudine per i visionari uomini d’affari protagonisti del film. Il regista indugia infatti a più riprese su queste persone, dedite solo ed esclusivamente al proprio lavoro, che vediamo cenare da sole anche a seguito della chiusura di un affare milionario, sfogare la loro voglia di vivere ai tavoli di gioco di Las Vegas o cercare in un accordo apparentemente impossibile una via per mantenere uno straccio di rapporto con i figli.
Dall’unione delle solitudini di Sonny Vaccaro, Rob Strasser, Phil Knight e dei loro più stretti collaboratori nasce però una bizzarra e disfunzionale famiglia, fatta di contrapposizioni e litigi ma anche di un’insperata comunione di intenti nel momento in cui si decide di affidare a Michael Jordan il futuro del marchio Nike. Non è un caso che questo neonato gruppo trovi sulla sua strada l’affiatata e compatta famiglia Jordan, guidata da una madre pienamente consapevole del valore del figlio ma anche attenta ai valori e alle capacità dei suoi interlocutori.
Nasce così una lunga sfida dialettica ed emotiva, esaltata dalla fine scrittura di Alex Convery, dall’intelligente messa in scena di Affleck e da uno strepitoso gruppo di interpreti, all’interno del quale si distinguono l’imbolsito e sciatto Matt Damon, la misurata e intensa Viola Davis e lo stesso regista, che si carica sulle spalle il bizzarro ruolo di Phil Knight, figura in bilico fra l’austero uomo d’affari e i post hippy.
L’importanza della persuasione
Affleck riesce inoltre a evitare il rischio dell’agiografia, lasciando sullo sfondo le imprese sportive di Michael Jordan (evocate in un velocissimo e azzeccato montaggio in un momento chiave del racconto) e concentrandosi invece sulla sua icona, e in particolare sul gesto atletico della schiacciata che diventerà parte integrante della linea Air Jordan. Il risultato è un cinema scopertamente commerciale, che con il passo della commedia si addentra fra le pieghe del consumismo più becero e sfrenato, restituendoci paradossalmente una storia di genuina umanità, in cui tante persone ordinarie riescono ad abbracciare lo straordinario e l’unicità cambiando il corso della storia del business.
Un’operazione talmente centrata e intelligente da celare i propri difetti, come qualche didascalismo di troppo o la macchiettistica bidimensionalità di alcuni personaggi (su tutti il manager di Jordan David Falk, interpretato da Chris Messina). Devoto omaggio a uno dei più grandi sportivi di sempre? Esaltazione romanzata della macchina americana del business? Inno al rischio e alla creatività nel mondo degli affari? Air – La storia del grande salto è tutto questo, ma è anche un cinema mainstream di alto livello, capace di riflettere sul nostro immaginario e sull’importanza della persuasione, imperitura chiave per il successo di qualsiasi azienda passata, presente e futura.
Air – La storia del grande salto è in programmazione dal 6 aprile nelle sale italiane, distribuito da Warner Bros.
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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