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Oppenheimer: com’è il film di Christopher Nolan

Oppenheimer è attualmente in programmazione nelle sale italiane.

In un momento chiave di Oppenheimer, Christopher Nolan mostra il celeberrimo fisico impegnato in un atto spregevole, ovvero iniettare del cianuro di potassio in una mela destinata al collega Patrick Blackett. Un’azione dalle conseguenze potenzialmente letali, sventata dallo stesso Oppenheimer in un impeto di coscienza, appena pochi istanti prima che Niels Bohr, interpretato dall’attore feticcio di Nolan Kenneth Branagh, addenti la mela. Una scena che rischia di passare in secondo piano all’interno dei 180 roboanti minuti orchestrati dal cineasta britannico, alle prese con la sua opera più ambiziosa e misurata, capace però di racchiudere molti dei temi centrali di un racconto denso ed estremamente stratificato.

La mela ci rimanda alla tradizione fiabesca di Biancaneve, ma è anche un’icona della tentazione, dal momento che fu proprio un morso a quel frutto proibito a precludere il paradiso terrestre ad Adamo ed Eva, in un calzante parallelo con ciò che vive sulla propria pelle lo stesso Oppenheimer, impegnato in una conquista scientifica che si trasforma in potenziale autodistruzione del genere umano, rendendolo una sorta di Prometeo moderno. La mela è però allo stesso tempo intimamente connessa alla storia della scienza e della tecnologia: ha ispirato Isaac Newton per la definizione della legge di gravitazione universale ed è stata scelta da Apple come nome e logo. Proprio una mela avvelenata col cianuro di potassio fu inoltre scelta dal matematico Alan Turing (fondamentale per decriptare le comunicazioni tedesche durante la seconda guerra mondiale) per porre fine a una vita di sofferenze e umiliazioni, inflittegli per la sua omosessualità.

Non stupisce quindi che questo episodio, già narrato in Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato di Kai Bird e Martin J. Sherwin, su cui Oppenheimer è basato, abbia stuzzicato Nolan per il suo dodicesimo film.

Oppenheimer: l’anti-biopic di Nolan è un doloroso viaggio nel dubbio e nel rimorso

Oppenheimer Nolan

Sulla scia di Steve Jobs, diretto da Danny Boyle su acuta sceneggiatura di Aaron Sorkin, Nolan scrive e dirige un biopic non convenzionale, basato principalmente su tre linee temporali strettamente intrecciate fra loro. Una ci mostra la prodigiosa ascesa di Oppenheimer (il formidabile Cillian Murphy) fino alla guida del Progetto Manhattan, creato per sviluppare la bomba atomica; un’altra si concentra sull’inizio del suo antagonismo con Lewis Strauss (Robert Downey Jr.), presidente per la Commissione per l’energia atomica USA; l’ultima racconta invece la caduta di Oppenheimer sotto i colpi di una commissione agevolata proprio da Strauss, la sua perdita del nulla osta di sicurezza e la sua tardiva riabilitazione politica e mediatica.

Una traccia solida e intricata su cui Nolan tesse una tela fatta di tante parole, abbaglianti immagini e suoni avvolgenti, tutti fondamentali nel delineare una delle figure più complesse e decisive dello scorso secolo. Un personaggio che sfugge a qualsiasi tentativo di manicheismo, all’interno del quale abitano paradossi e contrapposizioni, come le aperte simpatie per l’ideologia comunista, l’ambizione professionale, la suggestione per un’arma devastante, l’amore per la moglie Katherine (Emily Blunt) e l’indissolubile legame con l’amante Jean Tatlock (Florence Pugh). In mezzo scorre la Storia, con la fondazione di Los Alamos, la precipitosa riunione di alcuni dei più brillanti scienziati dell’epoca, la creazione dell’atomica e la sua prima detonazione durante il test Trinity e infine i due catastrofici bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, atti conclusivi della seconda guerra mondiale coincidenti con i primi vagiti della guerra fredda.

Oppenheimer: una nuova declinazione dell’ossessione per il tempo di Nolan

Oppenheimer Nolan

Come da tradizione del cinema di Nolan, anche quella di Oppenheimer è una lotta contro il tempo, che vede gli USA impegnati nel difficile inseguimento della Germania nazista nella creazione dell’arma decisiva per la vittoria del conflitto mondiale, e in prospettiva già impegnati in una sfida a distanza con l’Unione Sovietica per il successivo delicato equilibrio planetario. La fisica già esplorata dal cineasta in The Prestige, Inception, Interstellar e Tenet trova poi una nuova declinazione in un altro personaggio ossessionato dal desiderio di sovvertire le regole, ma allo stesso tempo alle prese con i profondi dilemmi morali che accompagnano la sua spinta rivoluzionaria.

«Adesso sono diventato Morte, il distruttore di mondi», recita Oppenheimer nel momento in cui comprende realmente il devastante potenziale della sua creazione, al termine di un percorso fatto di aspri scontri scientifici, traballanti equilibri politici e laceranti drammi esistenziali. Ed è proprio il primo storico test atomico uno dei più dirompenti momenti della fluviale opera di Nolan, quello in cui la guerra, la morte e la distruzione si fanno spettacolo (la creazione dei punti di osservazione replica nel più lugubre dei modi le dinamiche alla base del cinema stesso), nonché la scena in cui il regista porta a compimento il suo fine lavoro sulle suggestioni sonore, costantemente presente in Oppenheimer ma addirittura travolgente nell’attimo in cui al silenzio dell’esplosione segue un tripudio di suoni e vibrazioni, portato dall’onda d’urto del fungo di fuoco.

Un’opera di parole non dette o mal interpretate

Oppenheimer Nolan

Il dodicesimo lavoro di Nolan è però anche e soprattutto un’opera di parole pronunciate, e quindi chiarificatrici di un pensiero e di un mondo, di parole non dette, e perciò incapaci di prendere le difese del protagonista in un non-processo farsa ai suoi danni, ma anche di parole mal interpretate, come quelle del fondamentale dialogo fra Oppenheimer ed Einstein, solamente immaginate da Strauss ma comunque responsabili di un odio covato per anni e dell’oblio di entrambi i contendenti di un insensato dualismo. Il personaggio interpretato da Robert Downey Jr. è valorizzato da Nolan in un elegante bianco e nero, in netta contrapposizione con i colori che dominano il resto del racconto. Una scelta fatta per dare enfasi e importanza al vero e proprio villain della storia, esemplificazione della mediocrità e della piccolezza del potere.

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Tuttavia, la lunga parentesi dedicata a questo faccendiere della politica è anche quella meno efficace di Oppenheimer, il cui cuore risiede invece nella personalità sfuggente e talvolta indecifrabile del suo protagonista. Nel vortice di immagini, suoni e parole orchestrato da Nolan trovano infatti spazio momenti di dolente umanità (la rassegnazione del protagonista durante l’inchiesta ai suoi danni), sfumature apocalittiche (le visioni di Oppenheimer e il suo timore, tutt’altro che infondato, che la detonazione dia inizio a una reazione a catena senza fine), tradimenti, rimorso e addirittura attimi di tronfia superbia, per la verità più suggerita che mostrata dal cineasta.

L’impressionante cast di Oppenheimer

Attingendo al solito esorbitante numero di star (fra le tante, meritano una menzione Rami Malek, Casey Affleck, un ironico Matt Damon e il solito strepitoso Gary Oldman in un cameo nei panni di un sinistro Harry S. Truman), Nolan realizza una sorta di controcampo di Dunkirk, in cui all’eroismo del suo precedente lavoro (anch’esso tripartito, ma fra terra, mare e cielo) si contrappone l’ordinarietà a tratti disarmante di un uomo che ha influenzato non solo il secondo conflitto mondiale, ma tutta la storia che ne è seguita, fatta di minacce, deterrenti e paure che riverberano nel nostro inquietante presente.

Un’opera in cui la creazione va di pari passo con la distruzione, l’ambizione è accompagnata dal timore e la scienza si confronta continuamente col potere, cedendo inevitabilmente il passo e mettendo nelle mani di persone spregiudicate e scriteriate il frutto di anni di nobile e allo stesso tempo pericolosissimo lavoro. Pur non contenendo mai il suo estro, Nolan realizza la sua opera più matura, dando vita a due struggenti figure femminili (Emily Blunt in odore di nomination all’Oscar e Florence Pugh impegnata nelle prime scene di sesso dell’intera filmografia del regista) e a un protagonista lentamente eroso dall’incalcolabile portata delle sue stesse azioni, portato in scena da un Cillian Murphy che suggella nel migliore dei modi una carriera di altissimo profilo, ma troppo spesso confinata a ruoli da spalla.

Oppenheimer: l’inizio della fine secondo Nolan

Negli orizzonti sempre più ristretti del cinema contemporaneo, Nolan giganteggia ancora una volta, fotografando ancora una volta un mondo e una società morenti, in cui non esistono buoni e cattivi ma solo personaggi disperatamente aggrappati alla vita all’interno di una miserabile tragedia umana. Un’opera che evoca continuamente la morte, con le fiamme che avvolgono le visioni di Oppenheimer insieme ai raggelanti brandelli di pelle ustionata, ma che allo stesso tempo celebra la vita nel dubbio, nella legittimità di cambiare idea, in un’imperfezione mai negata e persino in una mano non stretta, simbolo di un’insopprimibile dignità.

Grazie al racconto di questo tragico Prometeo americano, si celebra ancora una volta il miracolo del cinema, capace di raccontare accuratamente il presente attraverso il passato, testimoniando il cambiamento del mondo e della società nel momento stesso in cui esso avviene. Proprio mentre l’orologio dell’Apocalisse sembra più vicino che mai alla mezzanotte, ci ritroviamo infatti nello sguardo tormentato e addolorato di Oppenheimer, con il timore che l’incessante reazione a catena, apparentemente evitata dalle esplosioni nucleari del 1945, sia in realtà in pieno svolgimento e pronta a trascinare l’intera umanità verso la fine.

Oppenheimer è nelle sale italiane dal 23 agosto, distribuito da Universal Pictures.

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  • Autore: Kai Bird , Martin J. Sherwin , Alfonso Vinassa de Regny
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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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