Quando nel 2007 Boris ha debuttato nell’asfittico panorama seriale italiano, la televisione nostrana si trovava in una fase unica e irripetibile della sua storia. Da una parte, la spinta creativa della Golden Age delle serie americane, capaci di conquistare nuove fette di pubblico grazie a narrazioni solide, moderne e di altissima fattura; dall’altra, le stantie fiction italiane, simbolo di un Paese perennemente arretrato su tutti i fronti. Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo e il compianto Mattia Torre hanno sfruttato queste contraddizioni nel migliore dei modi, dando vita a uno show capace di tratteggiare un quadro cupo e amaro, ma allo stesso tempo esilarante, dell’Italia intera. Dopo un passaggio in sala con Boris – Il film e un silenzio di ben 11 anni, arriviamo ai giorni nostri, in un panorama seriale radicalmente mutato, con Boris 4, disponibile dal 26 ottobre su Disney+.
Con l’avvento dello streaming, complice un aumento della quantità di serie prodotte e un abbassamento del loro livello medio, negli ultimi anni abbiamo avuto modo di constatare che la sciatteria e l’approssimazione non appartengono solo alla nostra televisione. Naturale quindi il matrimonio fra la sgangherata troupe di René Ferretti e una generica Piattaforma, portata avanti da manager interessati più all’immagine che alla qualità e da un Algoritmo che decreta le potenzialità di un progetto sulla base di criteri non prettamente artistici, come l’inserimento nella trama dei temi e delle narrazioni più in voga in un determinato periodo. La grande famiglia de Gli occhi del cuore si riunisce dunque per un nuovo progetto prodotto da Stanis La Rochelle e intitolato Vita di Gesù, finanziato in parte da attività di riciclaggio di denaro sporco e in parte dalla stessa Piattaforma, che pretende però l’adesione a determinati requisiti.
Boris 4: una televisione diversa è possibile
Nella nostra recensione dei primi due episodi di Boris 4 vi avevamo raccontato le nostre impressioni su questo progetto, in equilibrio fra il suo glorioso passato e un presente convincente ma rivolto più al mondo dell’intrattenimento che al sistema Italia. Il prosieguo della stagione ha confermato questa nostra percezione. Il livello di umorismo di Boris 4 è sempre altissimo, e il fan service è efficace e mai forzato. È inoltre un piacere constatare che i personaggi che abbiamo lasciato sono gli stessi che ritroviamo su Disney+, con tutti i loro tic e le loro nevrosi.
Per quanto riguarda i ritorni, meritano una menzione particolare il solito strepitoso Corrado Guzzanti, con il suo Mariano ormai devoto alla lobby delle armi, e il Martellone di Massimiliano Bruno, desideroso di mettersi alle spalle il suo tormentone “Bucio de culo” in nome di un’assurda svolta drammatica alla Fabrizio Gifuni. Fra le novità, la rivelazione è invece sicuramente Emma Lo Bianco, che interpreta una responsabile europea della Piattaforma così falsa e sopra le righe da diventare tremendamente vera e credibile.
Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo adattano ai nostri tempi dinamiche narrative già rodate, trasformando i vecchi protagonisti in figure tragiche, irrimediabilmente fuori dal tempo, dalla società e dalla tecnologia. In mezzo ai tanti spunti di tagliente umorismo, affiora così una palpabile malinconia, che non si limita solo a chi non c’è più (l’evoluzione del personaggio di Valerio Aprea è il miglior omaggio possibile alla memoria di Mattia Torre), ma tocca diversi membri della troupe, alle prese con battaglie impossibili (Biascica con il linguaggio inclusivo), deliri di onnipotenza (Stanis nella doppia inadeguata veste di produttore e protagonista) e famiglie disastrate (come quella di Arianna, costretta a nascondere il proprio figlio sul set).
Boris 4: fra ritorni e new entry
A dominare in Boris 4 è però un meccanismo già messo in mostra nelle precedenti stagioni, che vede René Ferretti alle prese con regole sempre più stringenti e con un progetto parallelo da portare in avanti in segreto alla ricerca del suo sogno impossibile, cioè la qualità. C’è però una sostanziale differenza: eravamo abituati a vedere nel personaggio di Francesco Pannofino un simbolo di un’intera fetta di Italia, costretta a convivere quotidianamente con una diffusa arretratezza culturale, con il precario equilibrio psichico dei colleghi e con una negligenza media superata solo dall’arroganza. A riflettere il mutato punto di vista dell’intera serie, René diventa invece in questa stagione l’emblema dell’intero panorama dell’intrattenimento nostrano, caratterizzato indubbiamente da una generalizzata sfiducia, ma capace anche di sprazzi di sorprendente vitalità e ottimismo.
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Boris 4 sacrifica qualcosa dal punto di vista dell’analisi sociale per mettere in scena una riflessione non meno efficace sullo stato dell’audiovisivo in Italia, dalla quale paradossalmente emerge sia la disperazione diventata marchio di fabbrica della serie, sia qualche inaspettato momento di speranza. Anche se non mancano decise staffilate alle piattaforme e in particolare a Netflix (a cui associamo inevitabilmente sia l’Algoritmo che le sottotrame teen richieste per il via libera a Vita di Gesù), questa nuova stagione sembra quasi suggerirci che tutto il mondo è Gli occhi del cuore, e che anche grazie alla diffusione dello streaming (e perché no, della stessa Boris) sia possibile almeno sperare in un’Italia migliore dal punto di vista della produzione cinematografica e seriale.
Un cambiamento radicale dell’attitudine della serie, che però non lascia scampo alla classe più sofferente del Paese, cioè i giovani: non è un caso che i personaggi di Nina Torresi, Aurora Calabresi e Giulia Anchisi abbiano gli scontri più duri sul set, finendo volontariamente o meno ai margini del gruppo.
Un finale emblematico, fra pessimismo e speranza
In un crescendo di emozioni, risate e brillanti intuizioni (come l’effimera svolta social di René o la nuova vista di Duccio) si arriva a un epilogo che dialoga con i finali della terza stagione e di Boris – Il film. È ancora la locura (insieme a uno dei più esilaranti omaggi a Flashdance mai visti) a spingere infatti René verso la salvezza, ed è nuovamente un’anteprima, rappresentazione plastica della falsità e della doppiezza dell’ambiente dell’audiovisivo, a riunire tutti i personaggi per una finale che, gradimento del pubblico permettendo, potrebbe trasformarsi in un nuovo inizio della serie.
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«Un’altra televisione diversa è impossibile», esclamava René in una memorabile scena della terza stagione. Anche se i risultati non sono sempre quelli sperati, nonostante la scarsità di mezzi e risorse economiche e pur all’interno di un ambiente capace di disgustare addirittura un malavitoso, come ci mostra un’emblematica sequenza, Giacomo Ciarrapico, Luca Vendruscolo e il sempre presente Mattia Torre ci dimostrano invece ancora una volta che, anche in questo malandato Paese e per vie imperscrutabili, un piccolo ma importante cambiamento è possibile.
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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