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Com’è D. B. Cooper: il dirottatore che svanì nel nulla, la nuova docuserie Netflix

Con una nuova docuserie in 4 puntate, Netflix indaga su uno dei più grandi misteri irrisolti della storia contemporanea: quello di D. B. Cooper. Il mito. La leggenda. Il criminale gentile. Un uomo misterioso che, con classe e savoir-faire, il 24 novembre 1971, dirottò un aereo di linea senza nemmeno che i passeggeri se ne rendessero conto. Sparì nel nulla quella stessa sera, dopo aver offerto un pasto caldo all’equipaggio, aver ricevuto i soldi richiesti per il riscatto, aver liberato gli ignari ostaggi e aver pagato i due bourbon ordinati in volo lasciando persino la mancia. Come? Chiedendo gentilmente ai piloti di riportare l’aereo in volo, prima di lanciarsi con un paracadute e sparire – letteralmente – nel nulla. 

Con una storia così affascinante e intrisa di mistero e leggenda, era praticamente impossibile realizzare un prodotto audiovisivo che non tenesse gli spettatori incollati allo schermo. Ebbene Netflix è riuscita nell’impresa, proponendoci 4 episodi – della durata di circa 40 minuti – che spesso sono un delirio di trash e congetture al limite dell’assurdo.

Non tutto però è da buttare. Facendo un faticoso slalom tra il nonsense è possibile godersi alcuni interessanti elementi su questa incredibile storia.

D. B. Cooper: il dirottatore che sparì nel nulla è su Netflix

Le premesse c’erano tutte: un mistero irrisolto, una storia leggendaria e mezzo secolo di indagini e teorie mai verificate. Tutti ingredienti che avrebbero potuto fornire una narrazione convulsa al punto giusto da darci un quadro di questa gigantesca caccia all’uomo iniziata 51 anni fa e mai conclusasi. Netflix ci riesce solo in parte, penalizzato anche da uno stile narrativo troppo alla “ecco-ci-siamo-è-sicuramente-lui-ah-no-ci-siamo-sbagliati” per essere credibile.

Il documentario ci porta, dopo averci spiegato per sommi capi la vicenda (mancando di numerosi e interessantissimi dettagli presenti in numerosi altri documentari dedicati), nelle indagini dopo il dirottamento.

Assistiamo così alle testimonianze di numerosi personaggi: da detective ossessionati dalla ricerca del vero D. B. Cooper, a giornalisti in cerca di scoop. Nel mezzo c’è tutto un sottobosco di appassionati, cultori, cosplayer e fautori di fantasiose – e decisamente vacillanti – teorie del complotto. L’operazione di Netflix è sempre la stessa: spiegarci con assoluta fermezza una teoria riguardo a un indiziato, per poi demolirla con un “in effetti potrebbe non essere lui”. Un espediente debole e ripetitivo, che ci porta ad essere annoiati già a metà del secondo episodio.

Come sono strutturati i quattro episodi

La serie prova fin dai primi momenti a catturare la nostra attenzione, mostrandoci un approccio documentaristico (con un layout da camera a mano che farebbe invidia alla televisioni regionali dei primi anni ’90) e inquadrature di appostamenti e pistole pronte ad entrare in azione. Abbiamo quindi l’impressione che “ci siamo: ora arresteranno quello che si ritiene essere il vero D. B Cooper”. Un inizio col botto, nonostante la discutibile scelta della post-produzione, che prosegue poi con un passo indietro nel narrarci la storia di Cooper.

D. B. Cooper

Nel secondo episodio invece abbiamo la conferma: tutto quell’hype delle prime scene era non solo forzato, ma persino ridicolo. Le persone pronte ad arrestare il sospettato del primo episodio non erano agenti, ma giornalisti. La pistola vista era di un addetto alla sicurezza privato, assoldato per proteggere la troupe dal pericoloso criminale. Il pericoloso criminale? Un uomo anziano (del resto l’anno sulla videocamera riporta 2013, mentre D. B. Cooper era un uomo sulla quarantina nel 1971), che semplicemente è impegnato nel vivere la sua vita e chiede solo di non essere disturbato. Inoltre, il primo episodio ci aveva sottolineato che il dirottatore era un uomo calmo, gentile e non incline alla violenza.

Non tutto è da buttare: le teorie del complotto inconsistenti

Nel terzo e quarto episodio, dopo aver pregato di non assistere mai più a quanto visto nel secondo, la serie si concentra sul fanatismo nato intorno alla figura di Cooper. Netflix ci mostra i festival in suo onore (il Coopercon) e le bizzarre teorie del complotto legate al personaggio. Anche qui, per quanto le ipotesi siano affascinanti, la narrazione pecca di un finto e disperato tentativo di coinvolgimento emotivo dello spettatore.

In particolare il documentario ci spiega che, sommando il valore delle lettere di un messaggio lasciato da un indiziato (Robert Rackstraw, l’anziano del secondo episodio) si ottiene un determinato numero che corrisponderebbe (non ci viene spiegato bene come) ad un numero che rimanda a D. B. Cooper. Un attimo dopo però, un altro uomo dice: “Se invece di Robert Rackstraw metti la parola Spongebob, ottieni lo stesso risultato”. Indagini di spessore, insomma.

La serie si conclude con un parallelismo tra il dirottatore e il personaggio dei fumetti Dan Cooper, sebbene questi fumetti non siano mai stati commercializzati in America, ma solo in Francia e Canada francese.

Tirando le somme: com’è la serie Netflix su D. B. Cooper?

Volendo riassumere: siamo molto delusi dall’operazione di Netflix. La serie sembra letteralmente giocare con la nostra intelligenza, cercando in modo rocambolesco di veicolare le nostre emozioni e la nostra attenzione. Gli unici momenti interessanti sono quando si racconta la vera storia di quanto occorso quella notte, e si ripercorrono le varie teorie (verosimili e meno). Il problema, anche qui, è che invece di raccontarcele con un approccio documentaristico, la serie cerca di convincerci della loro veridicità, contraddicendosi subito dopo.

Se siete dei grandi appassionati della straordinaria storia di D. B. Cooper, probabilmente conoscerete già tutto ciò che ci viene mostrato da Netflix. Se invece non avete mai sentito parlare di questo personaggio, vi consigliamo di guardare il primo episodio e poi di cercare altrove le risposte che cercate (e che comunque non otterrete, dato che il mistero è ancora oggi irrisolto).

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Marco Brunasso

Scrivere è la mia passione, la musica è la mia vita e Liam Gallagher il mio Dio. Per il resto ho 30 anni e sono un musicista, cantante e autore. Qui scrivo principalmente di musica e videogame, ma mi affascina tutto ciò che ha a che fare con la creazione di mondi paralleli. 🌋From Pompei with love.🧡

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