Il disco in vinile gode ormai da anni di una seconda giovinezza. E la frase “L’hai ascoltato l’ultimo disco di…”, che sino a qualche tempo fa era usata solo come metafora (perché ci si divideva tra CD originali o meno, MP3 e altri supporti digitali), oggi è tornata ad assumere un significato concretissimo.
Il secondo momento d’oro del vinile dura ormai, solido e inarrestabile, da quasi quindici anni. Scopriamo assieme i motivi, i numeri e i limiti di questo fenomeno.
Il ritorno del disco in vinile
Con buona pace di Spotify e di tutti gli altri strumenti che hanno permesso una progressiva smaterializzazione della musica, il vinile c’è ancora ed è in perfetta forma.
Dopo un silenzio più che decennale, il suo mercato ha ripreso a crescere nel 2007, e da allora non si è più arrestato.
Qualche numero
Per quanto riguarda l’Italia, un’indagine del 2016 segnalava che nel novembre del 2015 il mercato degli LP era cresciuto addirittura del 74% rispetto all’anno precedente.
Uno studio Nielsen dello stesso anno per il mercato USA indicava addirittura che il 9% del mercato musicale a stelle e strisce era coperto dal vinile. Un fenomeno di nicchia? Tutt’altro: semmai un risultato sorprendente, se si considera la crescita esponenziale dell’ascolto tramite download e soprattutto streaming.
È del 2017, anno in cui peraltro Sony ha ricominciato a stampare vinili, un dato emblematico: i long playing – che nel Regno Unito hanno venduto oltre 4 milioni di copie in quei dodici mesi – hanno raggiunto il picco di vendite del 1990. Anno in cui, con il boom dei compact disc, è cominciata la loro parabola discendente.
I dati più recenti
Nei primi sei mesi del 2020 il mercato globale dei dischi in vinile ha prodotto un giro d’affari di 232 milioni di dollari. Superando le vendite dei CD, che hanno subito un incredibile crollo verticale: -47% rispetto al 2019. Per risalire al precedente sorpasso dell’LP sul compact disc bisogna andare indietro sino al 1986, quando il supporto analogico era nel momento di massimo splendore e quello digitale non era ancora universalmente conosciuto e utilizzato.
Il lockdown imposto dalla prima ondata del Covid-19 ha fatto schizzare alle stelle l’ascolto di musica tramite streaming: stiamo parlando dell’80% per cento delle quote di mercato, contro il 66% dell’anno precedente.
Ma la quarantena ha saputo premiare anche il vinile, che da solo ha occupato il 62% delle vendite dei supporti fisici per la musica, a discapito dei sempre più bistrattati CD.
I motivi del (secondo) successo dei dischi in vinile
Se è facile intuire i motivi del crollo dei compact disc (non sono eterei come un download, e non sprigionano neppure lo stesso fascino degli LP), merita qualche riflessione in più la costante vendita dei dischi in vinile.
Certo, non è facile immaginare un ragazzino aggiornatissimo sulle ultime tecnologie che preferisca spendere decine di euro per un long playing in edizione limitata anziché scaricare lo stesso album dalla Rete.
Tuttavia l’LP piace a una fetta non enorme ma tenace (e in lieve ma continua crescita) di persone. Perché?
Uno dei motivi c’entra in qualche modo proprio con il lockdown. Il vinile, infatti, impone ritmi lenti. La fisicità dell’oggetto, il doverlo scegliere, estrarre e inserire, lo fa prediligere solo quando si avverte davvero il bisogno dell’ascolto. Ed è spesso un ascolto più consapevole, attento, maturo. Ecco quindi che il disco in vinile diventa un oggetto-simbolo della resistenza ai serratissimi ritmi di oggi.
Anche perché, e qui passiamo al secondo aspetto, il disco in vinile porta con sé un luogo comune che però rischia di essere verità. Il suono analogico dell’LP è più caldo e avvolgente, meno standardizzato. Anche se c’è chi avrebbe dimostrato che si tratta di un falso mito.
Inoltre non dimentichiamo la liturgia estetica del disco in vinile: si tratta spesso di oggetti bellissimi da conservare e mostrare, aprire e toccare. Vogliamo paragonare i minuscoli libretti dei CD con il retro della confezione dei dischi? Com’era bello tenerli in mano e cantare i testi che immancabilmente – o quasi – vi erano stampati?
E poi, per chi lo ha vissuto, il gesto di alzare il braccetto e sentire lo scoppiettio della puntina che precede l’avvio del primo brano regala sensazioni impagabili.
Sono tutti motivi, questi, che inducono gli amanti della musica (magari non giovanissimi) ad andare a caccia di vecchie chicche in vinile presenti sui banchi dei sempre più numerosi mercatini dell’usato. Oppure di ristampe di album intramontabili, o di nuovi titoli usciti direttamente su supporto analogico.
Quando il nuovo e il vecchio si incontrano
C’è un ulteriore motivo che ha fatto risorgere il settore dei long playing: l’entrata in scena di una nuova generazione di giradischi, compresi alcuni modelli che tramite tecnologia Bluetooth trasmettono il suono del vinile alle casse wireless.
Aggiungiamo che la qualità dei più recenti dischi in vinile è superiore a quella dei prodotti classici.
Resta ancora aperto il problema dell’impatto ambientale: il PVC degli LP è un polimero plastico che contiene sostanze cancerogene.
Ma se il disco in vinile continuerà a essere un oggetto desiderato, non si esclude la possibilità di un futuro long playing green, che sarebbe più o meno la quadratura del cerchio. Oh, come non detto: qualcuno ci ha già pensato.
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