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Full Time – Al cento per cento: com’è il film con Laure Calamy

Full Time - Al cento per cento è al cinema dal 31 marzo.

È sempre di corsa la protagonista di Full Time – Al cento per cento Julie, ma la sua non è una gioiosa corsa verso la vita come quelle dei protagonisti di Licorice Pizza, quanto piuttosto una disperata lotta per la sopravvivenza, in una società in cui anche un posto di lavoro stabile non garantisce più di vivere e di esistere come persona. Una strepitosa Laure Calamy (nota soprattutto per la serie francese Chiami il mio agente!, da non perdere su Netflix) è una donna over 40, che si trova a convivere con la sua condizione di madre single con padre assente e un lavoro come capo cameriera di un hotel di lusso, che la costringe a spostarsi ogni giorno dalla sua tranquilla cittadina di campagna alla frenetica Parigi, in pieno sciopero dei trasporti.

Quello che dovrebbe essere un diritto, cioè il lavoro, si trasforma per Julie in un’odissea infernale che si ripete ogni giorno: sveglia all’alba per accompagnare i figli da una baby sitter anziana e sempre più insofferente, seguita da una serie di viaggi con trasporti pubblici e privati per raggiungere il posto di lavoro, dove poi rimanere fino a tardi per racimolare qualche entrata straordinaria con cui arrivare alla fine del mese. Al termine del lavoro, un tour de force uguale e contrario, per arrivare in tempo per prelevare i bambini dalla baby sitter, ammesso e non concesso che gli scioperi che stanno sconquassando la capitale francese non la costringano a rimanere a Parigi. L’unica flebile luce in fondo al tunnel di questo incessante incubo è la speranza che il curriculum di Julie venga preso in considerazione da qualche azienda, per un lavoro più adeguato alle sue capacità.

Full Time – Al cento per cento: un dramma sul mondo dei lavoratori pendolari con una strepitosa Laure Calamy

Full Time - Al cento per cento

Alla sua opera seconda, Eric Gravel centra un racconto che tocca un nervo scoperto di un’intera generazione, riconosciuto con i premi per la migliore regia e per la migliore interpretazione femminile della sezione Orizzonti di Venezia 78. In bilico fra il cinema sociale dei fratelli Dardenne e le amare riflessioni sul mondo del lavoro di Ken Loach, Full Time – Al cento per cento è un lacerante dramma umano, che con un montaggio serrato e con il passo del thriller mette in scena alcuni dei paradossi a cui la società del consumismo e della produttività ci ha condotto. Julie è l’emblema della classe media, sempre più impoverita e alienata: già provata dal fallimento del suo matrimonio e dall’interruzione della sua carriera di alto profilo, la donna ha un unico desiderio, vedere crescere i propri figli in una tranquilla cittadina di provincia, lontana dal traffico e dal delirio della metropoli.

Non è un caso che il lavoro di Julie nell’hotel (pulire «la merda dei ricchi», come le ricorda la sua responsabile) sia la prosecuzione delle attività casalinghe che già è costretta a svolgere (gratis) nel suo poco tempo libero. Con questa scelta, Gravel riassume molte delle desolanti dinamiche che alimentano il mondo del lavoro: la donna immediatamente associata a un’attività di ordine e pulizia, l’estrema difficoltà di rilanciare la propria carriera per gli over 40 e soprattutto l’incapacità di superare una visione del lavoro ottocentesca, ancora basata su orari rigidi e allungati fino all’estremo, ovviamente in presenza (la stessa Julie scherza con le colleghe sull’impossibilità di smart working per le loro mansioni). A tutto questo si affiancano servizi scadenti e strumenti di welfare inefficaci, col risultato di trasformare lavoratori e lavoratrici in automi al servizio delle aziende, solo apparentemente lontani dai Tempi moderni di Charlie Chaplin.

Eric Gravel pone domande scomode, ma lascia a noi il compito di dare risposte

Full Time - Al cento per cento

Non stupisce che il mondo dell’intrattenimento abbia recentemente intercettato questo crescente disagio, non solo con le opere e gli artisti già citati, ma anche con serie come Scissione e con altri titoli come Un altro mondo di Stéphane Brizé (anch’esso in sala dall’1 aprile) e l’italiano E noi come stronzi rimanemmo a guardare. Il dramma che vive Julie è quello di milioni di persone, intrappolate in un ciclo apparentemente senza fine, in cui sostanzialmente si lavora per vivere per lavorare, distruggendo la propria vita privata fino agli eventi paradossali che Full Time – Al cento per cento mette abilmente in scena.

Laure Calamy si conferma un’attrice di sorprendente profondità e intensità, capace di passare con naturalezza dalle sfumature brillanti a quelle più drammatiche. Il suo sguardo è quello di un’intera fetta di società, perennemente in bilico fra spaesamento e disperazione, nella perenne attesa di un cambiamento che sembra non arrivare mai. Full Time – Al cento per cento pone domande urgenti, scomode e necessarie, mettendo in luce una situazione sempre più insostenibile, senza per questo accusare le parti in causa (come i lavoratori scioperanti) o glorificare la protagonista, che vediamo anzi macchiarsi di leggerezze imperdonabili, dentro e fuori dal mondo del lavoro.

Per le risposte dobbiamo cercare in noi stessi e nella nostra personale concezione della vita e della società. Un’inaspettata proposta di lavoro può quindi diventare un’auspicata boccata di ossigeno in una situazione difficile, ma anche l’inizio di un nuovo ciclo distruttivo, che presto o tardi presenterà il suo conto.

Full Time – Al cento per cento è al cinema dal 31 marzo, distribuito da I Wonder Pictures.

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