Cinque proiettili sparati alle spalle. Il primo si infrange contro una finestra del lussuoso Dakota Building, a pochi passi da Central Park, a New York. Gli altri quattro vanno a segno. Uno, in particolare, squarcia in due parti l’arteria succlavia. L’uomo colpito cerca di raggiungere la guardiola di sicurezza presieduta dal custode dello stabile, tale José Perdomo. Riesce a salire appena cinque gradini. Lo stesso uomo che ci aveva cantato di un mondo immaginario privo di ogni oppressione, ora biascica “mi hanno sparato”, prima di accasciarsi al suolo. Sono queste le ultime parole di John Lennon, colpito a morte da un suo fan, un venticinquenne chiamato Mark David Chapman, alle 22:51 di lunedì 8 dicembre 1980.
Prima dell’omicidio
Per comprendere bene questa storia è necessario fare qualche passo indietro. Bastano poche ore. La mattina dell’8 dicembre John Lennon e Yoko Ono realizzano un servizio fotografico nel loro appartamento all’interno del complesso Dakota Building, sulla 72ma strada. Alle 17:40, dopo un’intervista per la radio, i due lasciano l’abitazione per recarsi ai Record Plant Studios, dove la coppia stava ultimando la postproduzione di Walking on Thin Ice, brano di Yoko Ono.
Prima di salire in auto Lennon si ferma a salutare i fan. Tra questi c’è proprio Mark Chapman. L’uomo gli porge una copia di Double Fantasy, ultimo LP di Lennon uscito due settimane prima, e l’artista lo firma chiedendogli: “va bene così?”. Chapman risponde con un sorriso. La situazione appare così tenera che il giornalista Paul Goresh immortala il momento in cui Lennon firma l’album al fan sorridente. Sotto la giacca Chapman ha una t-shirt di Todd Rundgren. Sotto la t-shirt nasconde un revolver calibro 38. I due si salutano. Lennon si reca in studio, Chapman resta sul marciapiede, dove attenderà il ritorno dell’artista per quasi 5 ore.
A dirla tutta Lennon non avrebbe neanche dovuto rincasare a quell’ora. Lui e Yoko avevano pianificato di andare a cena fuori dopo il lavoro in studio. Tuttavia era stata una giornata piena e, prima riuscire a cenare, Lennon voleva dare la buonanotte a suo figlio Sean, che non aveva visto per tutta la giornata. Così ritorna al Dakota, dove rivede Chapman sul marciapiede. “Hey, Mr. Lennon” gli dice l’uomo subito prima di esplodergli alle spalle cinque colpi di pistola.
Dopo l’omicidio e l’annuncio della morte di John Lennon
Ciò che accade nei minuti successivi è tutto molto surreale. Sui gradini del complesso Dakota Building il concierge Jay Hastings presta i primi soccorsi a Lennon, ma la situazione è grave. Hastings chiama subito la polizia e l’ambulanza. Per strada Josè Perdomo, il custode dell’edificio, disarma senza troppa fatica Chapman, il quale in realtà resta praticamente immobile. Questi si toglie la giacca, si siede sul marciapiede e tira fuori una copia de Il giovane Holden J. D. Salinger, attendendo l’arrivo della polizia. Perdomo gli chiede se ha idea di quello che ha fatto, e Chapman risponde: “Ho appena sparato a John Lennon”. Gli agenti Steven Spiro e Peter Cullen lo trovano così, seduto come se nulla fosse, a leggere. I due lo ammanettano senza che Chapman opponga alcuna resistenza.
Nel frattempo l’ambulanza tarda ad arrivare e allora una seconda pattuglia di polizia, appena giunta sul posto, decide di trasportare Lennon all’ospedale St. Luke’s-Roosevelt Hospital Center. All’arrivo l’artista ha già smesso di respirare. Il personale medico prova a rianimarlo. Tra questi c’è anche Stephan Lynn, un dottore che aveva appena terminato un estenuante turno di 13 ore al pronto soccorso ma che, vista la gravità, si rimette il camice. Tutto inutile: la morte di John Lennon viene dichiarata alle 23:15. Aveva 40 anni, compiuti proprio due mesi prima.
Perchè?
Si è discusso molto sulle motivazioni che portarono Mark Chapman ad assassinare John Lennon. All’epoca dei fatti Chapman era una guardia giurata a Honolulu (Hawaii), con un passato fatto di dipendenze e disturbi mentali. Sarebbe però banale affermare che dietro l’omicidio del leader della più grande band della storia ci sia solo la follia di un tossicodipendente. In realtà c’è molto altro. Sappiamo per certo, ad esempio, che Chapman aveva pensato di uccidere Lennon già due mesi prima. Il venticinquenne si recò a New York con questo intento ad ottobre ma, improvvisamente, cambiò idea e tornò a casa.
Un’altra cosa che sappiamo per certo è che Chapman era ossessionato da Il Giovane Holden di Salinger e dai Beatles. Aveva talmente idolatrato la figura di John Lennon che decise anch’egli di sposare una donna di origini asiatiche, tale Gloria Hiroko Abe.
Nel corso degli anni la mente di Chapman è stata analizzata da numerosi psichiatri e psicologi. Secondo gli esperti l’uomo è cresciuto con un forte senso repulsione nei confronti della figura paterna, fautrice di violenze domestiche. Inoltre la sua ossessione per il personaggio di Holden Caulfield lo portò ad identificarsi con il protagonista del romanzo di Salinger. Gli psichiatri ritengono che questa condizione, unita alla necessità di voler raggiungere una proprie notorietà, scatenarono l’istinto assassino di Chapman. Lo stesso criminale, in un’intervista rilasciata nel 2000, dichiarò:
“Ero un nulla totale e il mio unico modo per diventare qualcuno era uccidere l’uomo più famoso del mondo: John Lennon. Mi sentivo tradito, ma a un livello puramente idealistico. Girovagando per le biblioteche di Honolulu mi imbattei in un libro chiamato John Lennon: One Day at a Time. Quel libro mi ferì perché mostrava un parassita che viveva la dolce vita in un elegante appartamento di New York. Mi sembrava sbagliato che l’artefice di tutte quelle canzoni di pace, amore e fratellanza potesse essere tanto ricco. La cosa che mi faceva imbestialire di più era che lui avesse sfondato, mentre io no. Eravamo come due treni che correvano l’uno contro l’altro sullo stesso binario. Il suo “tutto” e il mio “nulla”. Alla fine hanno finito per scontrarsi frontalmente. Nella cieca rabbia e depressione di allora, quella era l’unica via d’uscita. L’unico modo per vedere la luce alla fine del tunnel era ucciderlo”
Oggi Mark Chapman ha 67 anni, e sta scontando la sua pena nel Green Haven Correctional Facility di New York. Lo scorso agosto gli è stata negata per la ventesima volta la libertà condizionale.
Il mondo intero apprende della morte di John Lennon
La prima notizia della morte di John Lennon venne diffusa dal telecronista sportivo Howard Cosell, nel corso della partita di football tra Miami Dolphins e New England Patriots. Le parole di Cosell furono:
“Questa è solo di una partita di football, non importa chi vince o perde. ABC News ci ha invece appena confermato una tragedia indescrivibile accaduta a New York. John Lennon, all’esterno del suo appartamento sull’Upper West Side di New York City, il più famoso, forse, di tutti i Beatles, ferito da due colpi di arma da fuoco alla schiena, è stato dichiarato morto all’arrivo in ospedale. Difficile tornare alla partita dopo questa notizia flash, ma per motivi professionali, dobbiamo farlo”.
Da quel momento in poi, in rapida successione, tutti i principali notiziari mondiali diedero la notizia della morte di John Lennon. La radio dell’ospedale di New York cominciò a trasmettere All My Loving. Almeno tre fan dei Beatles si suicidarono. A Liverpool circa tremila persone scesero per le strade intonando le canzoni dei Fab4. A New York in 225.000 si riunirono a Central Park, a pochi passi dal luogo del delitto. Per le strade di molte città del mondo la gente alzò il volume delle radio per colmare il vuoto con la musica: la sua musica. Un’enorme messa laica globale in onore del più grande di tutti.
Su quella maledetta notte sarebbero state scritte canzoni, film e romanzi. Erette statue e costruiti parchi. Era l’8 dicembre 1980. Il mondo non sarebbe mai più stato come prima.
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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