A Bruxelles, un piccolo gruppo di manifestanti e lavoratori della gig economy ha protestato e chiesto ai politici dell’Unione Europa di non “lasciare che Uber faccia la legge”. La loro missione è chiara: esprimere il dissenso verso i politici che discutono del futuro della gig economy europea. E che secondo i manifestanti, hanno dato retta solo agli sforzi di lobbying di Uber.
Lavoratori protestano a Bruxelles: “non lasciate che Uber faccia la legge”
Armata di uno striscione con la scritta “Non lasciare che Uber faccia la legge”, la folla ha deciso di portare la propria rabbia sotto gli occhi delle istituzioni. Questo atto di protesta mira a sottolineare le preoccupazioni dei lavoratori delle piattaforme di consegna riguardo alle loro condizioni lavorative. Ma anche come, secondo i rappresentanti dei lavoratori, le istituzioni di Bruxelles stiano ascoltando più il lobbying di piattaforme come Uber (ma non solo) piuttosto che le esigenze di chi lavora.
I problemi per i lavoratori della gig economy
Come riporta Wired.com, tra i presenti ci sono Camille Peeters, Marcus Haunold e Felipe Corredor, provenienti rispettivamente da Belgio, Austria e Spagna. Pur lavorando per diverse aziende, la loro esperienza comune nel settore delle consegne per alcune delle piattaforme più note in Europa li ha portati alla stessa conclusione. “Qualcosa deve cambiare, perché la situazione attuale è davvero negativa per la maggior parte dei lavoratori delle piattaforme” spiega Haunold.
Marcus Haunold, che ha trascorso cinque anni lavorando per Foodora a Vienna, sottolinea le sfide di lavorare per l’azienda (ma non come dipendente) in Austria. Afferma che non riceve congedo malattia retribuito fino al terzo giorno di malattia e non ha diritto ad indennità ferie. A causa di queste difficoltà, Haunold si è trovato costretto a lavorare anche per un’altra piattaforma, Wolt, per sbarcare il lunario. La società contesta il fatto che le condizioni per i lavoratori stiano peggiorando, sottolineando di aver aumentato le paghe orario del 10% da gennaio.
Ma il suo è solo un esempio: la protesta davanti le istituzioni europee contesta il modello di business di aziende per le consegne e per i trasporti come Foodora o Uber, chiedendo maggiori tutele per chi lavora. Persone che non sono assunte come dipendenti, pur collaborando con continuità.
La normativa europea
Le speranze di miglioramento per i lavoratori di questo settore sono state inizialmente alimentate quando due anni fa i funzionari dell’UE hanno proposto nuove regole per la regolamentazione della gig economy tramite la Direttiva sul lavoro su piattaforma. Tuttavia, le lotte interne tra i funzionari europei e le influenze esterne, soprattutto quelle riconducibili a Uber, hanno minato l’ottimismo dei lavoratori.
In Europa, il lobbying è regolato per le aziende e le associazioni che vogliono far sentire le proprie ragioni alle istituzioni. Ma i protestanti pensano che i contatti da parte di Uber nell’UE possano plasmare le nuove regole per i lavori tramite piattaforma a proprio vantaggio.
Come sottolinea Wired, l’UE prevede che oltre 40 milioni di residenti lavoreranno per piattaforme digitali entro il 2025: sarebbero il quinto Paese in Europa per popolazione, se fossero uno stato. Trovare nuove norme per garantire maggior chiarezza sullo status lavorativo dei dipendenti delle piattaforme diventa fondamentale. Ma il timore è che l’influenza a Bruxelles di aziende come Uber possa compromettere l’equilibrio tra gli interessi delle piattaforme e i diritti dei lavoratori.
Il lobbying di Uber
Secondo i dati ufficiali riportati dall’UE, nel 2022 Uber ha speso fra i 700.000 e i 799.000 euro in lobbying in Europa, la 404° azienda a Bruxelles. Ma Wired riporta che l’azienda ha fornito i fondi per ricerche sui lavoratori da piattaforma, partecipato ad associazioni di settori tramite UberEats e siglato una lettera con altre quattro aziende al Financial Times. A questo si aggiungono pubblicità sull’impatto positivo di Uber sull’economia europea sulle piattaforme social. I protestanti, pensano che tutto questo lavoro di relazioni pubbliche possa avere un impatto sulle decisioni dell’UE.
Il rischio per Uber è che le nuove norme europee cambi la classificazione dei lavoratori. Alcuni parlamentari europei vorrebbero che fossero trattati da lavoratori dipendenti, a meno che le piattaforme non possano dimostrare il contrario. Questo darebbe accesso a una serie di tutele: giorni di malattia, protezione dal licenziamento senza giusta causa, permessi di maternità e paternità, tutele contro la discriminazione.
Altri parlamentari vorrebbero che i lavoratori dimostrassero una serie di criteri prima di avere queste tutele. Anche per paura della risposta delle piattaforme: quando una legge obbligò ad assumere direttamente i rider in Spagna, Deliveroo chiuse le operazioni nel Paese. E molti commentatori hanno dichiarato le misure inefficaci, con alcune compagnie che si sono limitate a cambiare i contratti per non assumere i lavoratori.
I protestanti chiedono regole più chiare su salari minimi, ore massime e tutele contrattuali. E temono che Bruxelles tenga più in considerazione le parole delle piattaforme che le loro esigenze. Resta da vedere chi, alla fine, ascolteranno i politici.
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