Sulla scia di Train to Busan, Peninsula e Alive, la Corea del Sud torna con un nuovo show horror sugli zombie: stiamo parlando di Non siamo più vivi, serie TV che ha debuttato da poco sulla piattaforma streaming di Netflix e che ha già conquistato la Top 10 di vari Paesi. La premessa di questo nuovo show è la seguente: cosa accadrebbe se scoppiasse un’apocalisse zombie all’interno di un liceo? Preparatevi a scoprirlo con noi.
Prima di procedere ci teniamo a sottolineare che Non siamo più vivi tratta di tematiche piuttosto delicate: oltre ad avere molte scene violente, si parla anche di bullismo. Se quindi siete sensibili, vi consigliamo di guardare lo show con un adulto o in compagnia.
Non siamo più vivi: molto più di una semplice serie TV sugli zombie
Non siamo più vivi è una serie TV sudcoreana horror sugli zombie ispirata all’omonimo webtoon realizzato da Joo Dong-geun, che è stato pubblicato tra il 2009 e il 2011. Come potete notare, questa serie TV dimostra di essere unica fin dall’inizio grazie alla sua ambientazione prettamente scolastica. Rispetto alle precedenti location usate negli show coreani sugli zombie, Non siamo più vivi si differenzia ancora prima di debuttare.
In mezzo al terrore e alla distruzione, l’ambientazione giovanile ci offre una boccata di aria fresca fatta da battute adolescenziali, amori nascenti e pollo fritto. Ed è qui che facciamo la piacevole conoscenza dei nostri protagonisti: primo tra tutti il dolce e coraggioso Lee Cheong-san, migliore amico di Nam On-jo. In seguito conosciamo la rappresentante di classe e studentessa modello Choi Nam-ra, inizialmente distaccata e distante. Troviamo poi Lee Su-hyeok e Yang Dae-su che, insieme ad altri studenti, dovranno sopravvivere a qualcosa che non avrebbero mai immaginato di sperimentare sulla loro pelle.
Sono proprio questi studenti e i loro problemi scolastici ciò che rendono questo show unico. Questi poveri ragazzi, il cui problema più grande al mattino era dichiararsi al ragazzo per cui hanno una cotta, si ritrovano in una situazione fuori dal comune e da soli, senza adulti a proteggerli. Il loro problema più grande erano gli esami che, in poche ore, sono stati surclassati da un’apocalisse zombie in cui tutto ciò che hanno imparato sui libri non gli servirà poi così tanto.
L’immensa pressione dell’ambiente liceale coreano – che termina con i temuti esami di ammissione all’università, noti anche come Suneung – spezza e distrugge ogni studente in modo diverso. Alcuni si isolano, altri sono sopraffatti dal futuro a soli diciannove anni, altri invece sfogano la loro rabbia sui più deboli. In questo contesto infatti conosciamo anche Yoon Gwi-nam, che non ci pensa due volte ad infliggere danni agli altri. Gli effetti disumanizzanti della paura vengono amplificati dalle insicurezze adolescenziali, che però ora dovranno essere messe da parte.
Un aspetto che abbiamo particolarmente apprezzato, rispetto magari ad altri grandi prodotti seriali, è il fatto che ci viene spiegato quasi subito da dove e come è nato questo virus. Tuttavia riteniamo che il regista e gli sceneggiatori avrebbero potuto approfondire di più la questione, perché alcuni elementi non sono ancora completamente chiari. In ogni caso ci rendiamo conto che con 12 episodi, spesso, non è semplice.
Ad ogni modo: come è nato il virus? Per farla breve, il signor Lee è un professore di scienze al liceo e suo figlio, purtroppo, è costantemente vittima di bullismo. Per cercare in qualche modo di aiutare il figlio, che ha già tentato più volte il suicidio, il professore sfrutta il suo dottorato in biologia cellulare per sviluppare un nuovo virus e aiutare suo figlio. Il Virus Jonas, così chiamato, sfrutta la paura negli esseri umani e la trasforma in rabbia. Così facendo, il professor Lee spera di poter rendere suo figlio più forte e in grado di affrontare i suoi bulli.
Come potete immaginare, le cose non sono andate secondo i piani e il signor Lee crea un virus completamente diverso, che muta in continuazione. Quando poi un criceto infetto nel laboratorio di scienze della scuola del signor Lee finisce per mordere una studentessa, la faccenda diventa piuttosto seria.
Un prodotto realistico e profondo
All of Us Are Dead possiede il fascino dei drammi liceali e, ad esso, aggiunge l’apocalisse zombie. Lo show cattura in grande dettaglio la violenza e le dinamiche sociali del liceo: i video girati di nascosto, i pettegolezzi e la supremazia dei bulli o dei ragazzini ricchi. Mentre alcuni adulti fanno del loro meglio per contenere la violenza e proteggerli, altri invece preferiscono rimanere in disparte. È chiaro fin da subito che gli studenti sono abbandonati a se stessi.
Oltretutto lo show sudcoreano traccia anche un ritratto più ampio della società, che avremo modo di vedere nel dettaglio verso la seconda metà della prima stagione. Lo show mette in evidenza il caos delle strutture governative di quarantena e i valorosi – seppur difficili – tentativi delle autorità di mettere insieme un piano d’azione. L’attuazione della Legge Marziale e le decisioni di vita e di morte dei leader ricordano la lotta della Corea del Sud per la democrazia negli anni ’80.
Inoltre lo show mette in evidenza un altro aspetto, ovvero il fatto che gli adulti non ci sono. Tranne un paio di personaggi che farà di tutto pur di andare alla scuola, il resto degli adulti rimarrà in disparte. Il loro obiettivo principale è contenere l’infezione, specialmente quando verranno a conoscenza di un dettaglio importante (che però non vi diciamo perché, che gusto ci sarebbe?).
In ogni caso, quella che si presenta nello show è una situazione surreale: a livello scientifico, almeno nella realtà, non sappiamo se un’apocalisse zombie possa effettivamente presentarsi. Tuttavia Non siamo più vivi riesce a rendere il tutto così tremendamente realistico che, in certe occasioni, è quasi impossibile non avere l’ansia.
Questo realismo si riflette anche sul comportamento degli studenti che tentano in ogni modo di sopravvivere. È semplice mettere un personaggio adulto, più o meno muscoloso, con in mano un fucile a pompa, pronto per uccidere ogni zombie davanti a lui. Utilizzare però degli studenti all’interno di un complesso scolastico, senza adulti o esperienza, è rischioso e difficile ma Noi non siamo vivi se la gioca egregiamente.
I ragazzi non sanno nulla di apocalissi zombie, tranne quello che hanno visto in film famosi (all’inizio viene infratti citato Train to Busan). Sono completamente inermi davanti a quelle creature mostruose eppure fanno il possibile per sopravvivere. Non sono perfetti nei movimenti; anzi, cadono in continuazione, hanno improvvisi picchi di adrenalina, corrono e ansimano, non sanno cosa devono fare ma lo fanno comunque.
Il modo in cui si muovono, pensano, reagiscono ed agiscono è incredibilmente realistico e ci permette di empatizzare al massimo con tutti loro – o meglio, quasi tutti.
Non dimentichiamoci poi di un elemento importante: la paura. Facile dire: “Io avrei fatto così”, quando non ci si trova faccia a faccia con la realtà che stanno vivendo i personaggi. Con questo non stiamo assolutamente giustificando il comportamento di quel personaggio (ci siamo capiti, sì?) ma vogliamo solo sottolineare che la paura è una cosa brutta e difficile da gestire.
Gli zombie come “metafora di vita”
Gli zombie, in questo show, hanno un ruolo molto importante – no, non solo quello di uccidere e mangiare tutti. Se ci pensate bene, in Noi non siamo più vivi gli zombie sono compagni di classe dei protagonisti, sono i loro migliori amici e i loro insegnanti. Sono persone che hanno visto ogni giorno e con cui hanno passato ogni giorno della loro vita. Qui il regista Lee Jae-kyu decide di distaccarsi dalla massa e di offrire un nuovo messaggio.
Rispetto ad altri prodotti, in cui gli zombie vengono utilizzati con il solo scopo di spaventare e causare repulsione. Insomma, si trasformano e basta, la questione termina lì. Jae-kyu decide invece di analizzare con calma e un briciolo di speranza ogni singola trasformazione.
Una volta trasformati in zombie, i personaggi perdono completamente la loro umanità. Lo show ci mostra questi personaggi che, dopo essersi resi conto di essere stati morsi, decidono di sfruttare al meglio i loro ultimi attimi di umanità. Molti decidono di proteggere i loro amici, per trasformarsi quasi in pace e dare loro la possibilità di ricordarli come degli eroi. Una madre, invece, si lega ad una porta per evitare di mordere il suo bambino (questo gesto vi ricorda qualche altro film? A noi sì). Altri, infine, fanno forza ai loro cari mentre bloccano una porta per evitare che gli zombie li raggiungano.
Una piccola parentesi è necessaria per parlare velocemente degli effetti speciali che hanno letteralmente dominato lo show. Gli zombie sono ovviamente l’elemento che spicca più di tutti. Gli effetti sono realistici e il modo in cui recitano e si muovo gli attori ha decisamente portato un sorriso sul volto degli appassionati del genere.
Ciò che più ci ha sorpreso però è la scuola in cui è ambientata la serie TV. La scuola protagonista di Non siamo più vivi si chiama Hyosan High School e l’edificio è stato costruito proprio per la serie. Secondo il regista, l’obiettivo non è solo quello di intrattenere gli spettatori ma anche di farli riflettere sulle situazioni che stanno vivendo i protagonisti. Per ottenere questo, avevano quindi bisogno di uno spazio in cui poter tenere d’occhio i piccoli dettagli, come l’illuminazione e il colore.
Ecco perché hanno deciso di costruire da zero il set.
Durante una conferenza stampa, il regista ha anche menzionato l’importanza del luogo delle riprese per questo genere. Ha sottolineato che la scuola è un membro del cast stesso: “C’è molto sangue ed è per questo che ho sentito che avevamo bisogno di un set tutto nostro. Quando abbiamo guardato il set, era largo tipo cento metri. Era praticamente come un edificio scolastico di quattro piani all’interno del set e saremmo stati lì tutto il tempo. Così ci sembrava di andare davvero a scuola, ma una scuola davvero tetra”.
Non siamo più vivi: promosso o bocciato?
Decisamente promosso, a pieni voti.
Rispetto ad altri prodotti, prettamente occidentali, Non siamo più vivi si prende il tempo necessario per mostrare sangue, morsi e zombie ma anche per mostrare sentimenti umani veri e personaggi realistici in grado di lasciare un vuoto nel nostro petto.
Non siamo più vivi ci mostra dei semplici adolescenti alle prese con un’apocalisse zombie in cui la sopravvivenza, alla fine dei giochi, risulterà essere l’aspetto più semplice. Il problema vero sorgerà a fine apocalisse: come riusciranno a reintegrarsi nella società questi ragazzi, dopo essere stati abbandonati da coloro che avrebbero dovuto proteggerli? In che modo riusciranno a vivere, dopo aver visto i loro cari morire davanti ai loro occhi?
Lo show sudcoreano punta i riflettori sugli effetti collaterali del post-pandemia il che, in un certo senso, fa riflettere.
Vi ricordiamo che Non siamo più vivi è attualmente disponibile sulla piattaforma streaming di Netflix.
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