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L’indice Higg per la sostenibilità dei capi di abbigliamento non è poi così affidabile?

Secondo alcuni esperti i dati sarebbero fuorvianti e poco chiari

La sostenibilità nel settore della moda, negli ultimi anni, è diventata un argomento centrale attorno cui si sviluppano nuove collezioni e idee. Ma il principale strumento di valutazione della sostenibilità, chiamato indice Higg, è ora al centro di alcune controversie che potrebbero mettere in gioco il misuramento dell’impatto ambientale della moda.

L’indice di sostenibilità della moda è al centro di alcune critiche

Il futuro di come la moda misura il suo impatto ambientale potrebbe essere in gioco. Una serie di controversie, infatti, ha colpito lo strumento di valutazione leader del settore, l’indice Higg. Le ipotetiche accuse affermano che lo strumento avrebbe fornito dati fuorvianti e le implicazioni vanno oltre all’indice Higg.

L’Higg Materials Sustainability Index (Higg MSI), il principale strumento di valutazione ambientale della moda, ha vissuto alcune settimane difficili. A metà giugno, l’Autorità norvegese per i consumatori ha avvertito H&M e Norrøna che l’utilizzo dei dati Higg MSI nelle dichiarazioni di marketing riguardo la sostenibilità dei loro prodotti possono “essere facilmente considerate fuorvianti, in quanto si basano in parte su dati di ricerca obsoleti.

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La settimana precedente, inoltre, il New York Times aveva puntato i riflettori sull’Higg MSI sostenendo che “favorisce fortemente i materiali sintetici ottenuti da combustibili fossili rispetto a quelli naturali” e che è usato per giustificare l’uso di fibre sintetiche da parte dei marchi “come la scelta più sostenibile”.

La Sustainable Apparel Coalition, che sviluppa l’Higg Index, ha successivamente sospeso il suo programma di trasparenza rivolto ai consumatori e sta commissionando una revisione indipendente dello strumento.

In una dichiarazione, la società ha affermato di riconoscere le sfide riguardo la raccolta di informazioni complete in un settore così ampio e la traduzione dei dati in informazioni rivolte al consumatore. Mettendo in pausa il programma, prevede quindi di avere del tempo per determinare i prossimi passi con i partner. “Sappiamo quanto sia importante che i nostri membri e il settore in generale abbiano fiducia nella nostra missione, scopo e approccio; ma anche nei dati e nelle intuizioni che si trovano dietro i nostri strumenti”, si legge nella dichiarazione.

Una problematica che va molto oltre l’indice Higg

Ma, come anticipato, il problema non colpisce solo l’indice Higg. Certo, le controversie hanno messo in discussione l’integrità dello strumento, ma ha esposto problematiche molto più grandi. Si evince infatti, come riporta Vogue Business, che la sostenibilità è più complicata del previsto. Molto più di quanto l’industria della moda sia pronta o disposta a riconoscere.

Il CEO di Higg, Jason Kibbey, è il primo ad ammettere che lo strumento non tiene conto di tutte le metriche che determinano l’impronta ambientale di un prodotto. Secondo lui tutto ciò era intenzionale, perché l’obiettivo era quello di creare una piattaforma per consentire agli utenti di confrontare materiali diversi tra loro e garantire che le informazioni fossero comprensibili. “Il nostro obiettivo è cercare di portare più informazioni possibili, per renderle il più comparabili possibile. Man mano che aggiungi più categorie di sostenibilità, crei più lacune perché non ci sono necessariamente informazioni su ogni categoria”.

La mancanza di informazioni tuttavia – come l’inquinamento della microfibra – non rende meno significativo quel dato. L’omissione delle categorie perché poco studiate o troppo complicate, affermano gli esperti ambientali, consente alle aziende di non tenerne conto. Inoltre fa sì che non si faccia nulla per incentivare o incoraggiare il settore a colmare tali lacune nei dati. E il risultato è che l’industria della moda, spesso, non sa dove e come, esattamente, vengono generati i suoi impatti.

Le critiche riguardo l’Higg Index, quindi, fanno luce su questioni più profonde che riguardano gli sforzi di sostenibilità della moda. Basta un grafico o un semplice database per riuscire a ridurre l’impatto del settore? I database, secondo molti esperti, dovrebbero includere quanti più dettagli possibile.

stampa 3D settore della moda
Photo credits: D-house/Stratasys

Arbor, il competitor che afferma di poter raccogliere dati più completi sulla sostenibilità della moda

Secondo Abdullah Choudhry – co-fondatore della piattaforma di dati Arbor, una società che afferma di poter aggregare i dati necessari per produrre un quadro più completo – avere più dati non è un problema. “Il cambiamento climatico è un grosso problema. Avere dati non lo è.”, dice.

Secondo Choudhry, nei prossimi due mesi, Arbor aprirà al pubblico beta private con piccoli marchi, come l’etichetta canadese di abbigliamento per bambini Nudnik. In generale, i grandi marchi sono molto più reticenti a impegnarsi con l’azienda rispetto ai piccoli marchi, afferma, dato che non hanno potuto permettersi di partecipare all’Higg MSI.

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In ogni caso il CEO di Higg, Kibbey, ha ammesso che l’azienda avrebbe potuto fare un lavoro migliore nel contestualizzare i dati che fornisce. Tra le principali critiche che ha dovuto affrontare c’è il fatto che promuova l’uso di materiali sintetici rispetto alle fibre naturali; e che i dati utilizzati per confrontare i materiali sono portati fuori contesto per giustificare le decisioni. Kibbey afferma che queste accuse sono false e insiste che lo strumento abbia spostato l’industria nella giusta direzione.

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Source
Vogue Business

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