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La moda sta perdendo la sua corsa alla sostenibilità

Il poco interesse per la supply chain

Nonostante ci stia provando in ogni modo, la moda sta perdendo la sua corsa alla sostenibilità. I grandi marchi del settore, infatti, non sempre hanno un controllo diretto sulla supply chain – dall’approvvigionamento di materie prime alla produzione di tessuti -. E questo significa che spesso non intervengono sul lavoro che serve per raggiungere gli obiettivi di ecosostenibilità prefissati. Pertanto, il settore fashion risulta fermo perchè non è in grado di supportare i fornitori nel passaggio all’energia rinnovabile o alle tecnologie climate-friendly. Quale sarà allora la chiave risolutiva della questione? E quando la moda potrà finalmente definirsi ecosostenibile?

Moda: la sostenibilità del settore dipende dalla supply chain

Durante questa settimana Dhaka, capitale del Bangladesh, ha ospitato il Sustainable Apparel Forum. Qui brand, fornitori, politici ed esperti del settore si sono incontrati per discutere i temi chiave della filiera della moda. Un’occasione di incontro importante, che finalmente ha portato i fornitori di materie prime allo stesso tavolo dei grandi marchi di moda. La sola soluzione per l’enorme impatto che la produzione del settore ha sull’ambiente sembra essere quella di un reciproco supporto tra le due parti. Il che non significa che un’azienda debba finanziare l’installazione di pannelli solari in una fabbrica che condivide con altri marchi. Quanto piuttosto premiare – anche con un contratto a lungo termine – quelle fabbriche che già di per sè stanno investendo nelle rinnovabili.

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Anzi, gli stessi marchi potrebbero aiutare i fornitori a sbloccare finanziamenti da terze parti. Sempre nell’ottica di avere una produzione più sostenibile. Al tempo stesso, però, è necessario che anche la politica faccia la sua parte. Magari guardando anche agli interessi dei fornitori nei principali Paesi manifatturieri. “Dobbiamo collaborare. Le persone sedute in Europa, sedute in Belgio, nell’OCSE, stabiliscono una regola che verrà applicata in Bangladesh. Ma il Bangladesh dovrebbe saperlo. Dovremmo avere la nostra opinione a riguardo. È possibile, non è possibile. Questo genere di cose sono necessarie“, afferma Mostafiz Uddin, founder e CEO di Bangladesh Apparel Exchange.

Impegnarsi ad ascoltare i fornitori del settore, quindi, potrebbe aiutare la riduzione di emissione di inquinanti. Se i produttori riuscissero a stabilire i propri obiettivi di ecosostenibilità, anzichè essere invitati a raggiungere quelli proposti da marchi diversi, forse qualcosa potrebbe cambiare. “L’ultima cosa che vogliamo vedere è che ogni marchio in questo settore fissi obiettivi separati per i rispettivi partner di produzione. Un marchio che fissa un obiettivo del 10%, un altro che fissa un obiettivo del 40%, per lo stesso produttore. Questo non coinvolge il produttore – così ha riferito Kurt Kipka, Vice Presidente dell’Apparel Impact Institute -.

Penso che ora sia il momento per i produttori di possedere la narrativa. Di iniziare a stabilire un percorso che è il loro, ed essere in grado di dimostrare alle autorità di regolamentazione, ai politici e ai marchi per cui stanno producendo che questa è la loro storia“. Se la moda guardasse alla sua supply chain, allora forse sarebbe possibile raggiungere importanti obiettivi di sostenibilità. Ma se le aziende del settore non si impegnano al dialogo con i produttori, forse l’ambiente potrebbe risentirne non poco.

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Chiara Crescenzi

Editor compulsiva, amante delle serie tv e del cibo spazzatura. Condivido la mia vita con un Bulldog Inglese, fonte di ispirazione delle cose che scrivo.

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