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Il walkman, così antico e così moderno. La macchina del tempo

L’oggetto che ha segnato una generazione

Nei meno imperdibili film americani degli anni Settanta del secolo scorso, se anche solo una scena era girata ad Harlem, a un certo punto si sapeva già cosa sarebbe successo. Da qualche vicolo sarebbe spuntato un gruppo di giovani e minacciosissimi afroamericani. E uno di loro, ci si poteva scommettere, avrebbe tenuto sulla spalla uno stereo, da cui di solito usciva musica funky a tutto volume.

Poi, nel 1980 è successo qualcosa. Una graziosissima adolescente ha imperversato per tutta una pellicola con un minuscolo oggetto da cui per miracolo usciva della musica, e l’immaginario degli adolescenti è cambiato all’improvviso.

Il film, naturalmente, era Il tempo delle mele, e l’attrice un’allora quattordicenne Sophie Marceau.

Il walkman (anzi, il lettore di musicassette)

Dopo aver inaugurato questa rubrica, lo scorso giugno, col ricordo della mai abbastanza mitizzata musicassetta, non avremmo potuto esimerci dal celebrare il walkman.

Urge subito una precisione terminologica, simile a quella somministrata quando abbiamo parlato del Televideo. Il servizio in questione sarebbe il Teletext, e il Televideo (ormai entrato nell’uso per indicare il servizio in generale) è in realtà il Teletext della Rai.

Allo stesso modo, per tutti il walkman è lo strumento degli anni Ottanta del Novecento con cui si poteva ascoltare “Like a virgin” mentre si entrava alla Rinascente.

E invece, udite udite, walkman è un marchio registrato, e corrisponde al lettore portatile di musicassette (ecco come dovremmo chiamarlo) messo sul mercato da Sony nel 1979. E prodotto, strano ma vero, addirittura sino al 22 ottobre del 2010.

Sony walkman 1979

Diffusione e mito del walkman

Quanto il walkman si sia diffuso negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso è superfluo dirlo: basta avere l’età necessaria a ricordare. Le vendite hanno cominciato a flettersi solo verso la fine degli anni Novanta, con l’avvento degli Mp3.

Certo, prima c’è stato un breve (ma dimenticato da tutti) periodo in cui era piombato sul pianeta un aggeggio stranissimo: il lettore portatile di CD. Ma le sue dimensioni erano appena inferiori rispetto a quelle di uno stereo di Harlem, quindi il successo è stato effimero.

Ma noi, che ormai non possiamo più fare a meno delle cuffie a conduzione ossea che ci fanno un massaggio ayurvedico mentre ci permettono di ascoltare i notturni di Chopin con una raffinatezza sonora degna della Boston Symphony Hall. Noi, si diceva, non riusciamo a non rimpiangere i tempi in cui non uscivamo di casa senza il nostro walkman. Perché?

Così antico, così moderno

Beh, certo, perché eravamo giovani. Ma non solo: avere la possibilità di ascoltare la musica che si voleva nel luogo che si voleva, non era un traguardo incredibile?

L’unico utilizzo di fonti sonore in mobilità, sino alla fine degli anni Settanta, era limitato alla radiolina della domenica, quando i calciofili fingevano di portare a spasso la famiglia con l’unico obiettivo di sintonizzarsi su Tutto il calcio minuto per minuto.

Ora no, ora il walkman dava la possibilità di scegliersi la propria cassetta preferita (che non di rado era una compilation creata tra le proprie mura domestiche) e, a seconda dell’umore della giornata, ascoltarla finché… le pile ce lo consentivano.

E cosa importa se oggi ci sono lettori da centinaia di giga, o app che con un abbonamento mensile danno accesso pressoché a tutta la musica disponibile?

Ciò che adesso fa sorridere, allora sembrava una diavoleria piovuta dal futuro, e allo stesso tempo un fido amico che ci sosteneva in quella meravigliosa e fragilissima età che è l’adolescenza.

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Scegliere, non scegliere

D’accordo, quest’ultimo è il paragrafo più difficile, ovvero quello a più alto rischio di retorica.

Vorremmo forse dire che era meglio allora, quando si usciva con la musicassetta prescelta e, se si decideva di ascoltare la penultima canzone del lato B, si poteva star sicuri che fosse quella più lontana dal punto in cui si trovava il nastro?

Nemmeno per sogno: la comodità contemporanea di avere una libreria musicale sterminata in un piccolo volume e a un peso esiguo è impagabile.

Ma. Ma al riparo dalla possibilità megalomane di avere tutto, e dovendoci concentrare su una musicassetta alla volta, forse due piccole cose a quei tempi le si imparava. La prima: una bella sforbiciata all’ingordigia narcisistica. Il mondo non era in nostro potere, al massimo era nostro un album (o compilation) alla volta.

La seconda: ogni cassetta si ascoltava allo sfinimento, si imparavano a memoria i riff di chitarra, le rullate, le linee di basso, i gorgheggi. Insomma: il rapporto con la musica si sviluppava non nel senso dell’ampiezza (con l’inevitabile corollario della superficialità) ma in quello della profondità. Non male, vero?

Ma cosa andiamo a pensare: per redimerci, ci precipiteremo ad ascoltare una canzone a caso in streaming.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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