Con la comodità e la relativa economicità di servizi come Netflix e Amazon Prime Video, si potrebbe pensare che la pirateria sia un fenomeno in declino e sempre più marginale, di poco conto per le grandi case di produzione. Lo scenario, però, è bene diverso, almeno secondo quanto descritto da Akamai, azienda specializzata in servizio per la distribuzione di contenuti e autrice di un white paper dedicato proprio a questo argomento. Vediamo quindi a quali conclusioni è giunta la compagnia e quali sono le sue proposte per contrastare il fenomeno.
Akamai contro la pirateria
Lo studio di Akamai parte dal riconoscere la difficoltà riscontrata nel quantificare la diffusione della pirateria. La sua presenza dipende infatti strettamente dalla regione presa in considerazione, in quanto condizioni economiche e accessibilità dei contenuti sono due dei fattori più determinanti. Non aiuta che gli studi fatti fino a questo momento non sono per forza completi, coerenti o confrontabili tra di loro.
Tra i pochi affidabili e oggettivi ce ne è uno condotto dall’Ufficio Europeo per la Proprietà Intelletuale (EUIPO), che stima che siano circa 13.7 milioni le persone che hanno usufruito di contenuti piratati di vario genere. Questo dato è comunque parziale, considerando ad esempio che a questa cifra il Regno Unito contribuisce solo per 2.4 milioni di individui, ma in un altro studio di YouGov sono invece state stimate 4.9 milioni di box TV Kodi modificate in maniera illegale.
I ricavi
Oltre al numero dei pirati, è anche difficile valutare l’impatto della pirateria sull’industria. Per quanto infatti esistono stime che attribuiscono a questo fenomeno perdite miliardarie (tra i 47 e i 115 miliardi solo negli USA), le stesse aziende sembrano considerare la lotta alla pirateria più come un costo che come una prevenzione di una perdita. Questa situazione, all’apparenza contraddittoria, sarebbe dovuta al fatto che, se anche ci sono delle perdite, è difficile prevedere se la loro (costosa) prevenzione porterebbe invece a dei ricavi.
Non solo: secondo un altro studio le perdite non solo sono state stimate in maniera esagerata rispetto alla realtà, ma la pirateria, come fenomeno contenuto, fornisce pubblicità gratuita ai produttori di contenuti. A questo si aggiunge anche il fatto che chi consuma contenuti piratati spesso coincide con chi spende di più in prodotti e servizi legittimi, in quanto appassionati. Anche una pratica piratesca “minore” come la condivisione delle credenziali è spesso ignorata dalle stesse piattaforme, in quanto si pensa che comunque porti alla fidelizzazione degli utenti ai contenuti ospitati.
I posti di lavoro
Oltre ai ricavi, la pirateria, secondo il white paper di Akamai, metterebbe a rischio i posti di lavoro nell’industria televisiva e cinematrografica. Il collegamento tra i due fenomeni, però, fino a poco tempo fa era basato principalmente sulle motivazioni date da alcuni fornitori per giustificare licenziamenti o chiusure di attività, al fronte di magari pochi spettatori legali e tanti pirati virtuali. È solo recentemente che alcuni studi hanno provato a stimare meglio l’estensione del fenomeno. In particolare uno studio riferito al 2017 ha preso l’utilizzo dei torrent e, stimando la percentuale di contenuti illegali e la percentuale di soldi persa dall’industria, ha stimato centinaia di migliaia di lavori (diretti, indiretti o indotti) persi negli USA. In Italia, il FAPAV ha stimato quasi 6000 posti di lavoro a rischio ogni anno per il fenomeno.
Alcuni ricercatori, comunque, non sono convinti di queste stime, come segnalato dallo stesso white paper. Si dubita infatti la validità dei dati riguardanti il ricollocamento del personale e il collegamento tra il profitto potenziale perso e l’impiego di lavoratori. Inoltre l’attuale elasticità del settore, favorita dagli investimenti, riduce il prospettive negative per quanto riguarda i posti di lavoro.
Il valore delle licenze
Un ultimo aspetto da considerare quando si parla delle conseguenze negative della pirateria è il valore delle licenze. L’esclusività di un certo prodotto per un distributore cala di valore se quello stesso prodotto è subito disponibile a costo zero. Questo è particolarmente nel caso di eventi dal vivo, come lo sport, ma anche per prodotti innovativi e rischiosi che non vedono di solito una larga diffusione su cinema, TV e piattaforme di streaming.
Per entrambi questi casi, comunque, il white paper di Akamai porta delle testimonianze di persone coinvolte in prima persona nei due settori ma non include invece studi oggettivi a riguardo, rendendo quindi difficile fare un discorso sui dati come negli altri due casi.
Le soluzioni di Akamai
Superando il dibattito sull’effettivo impatto della pirateria, come si può arginare il fenomeno? Lo stesso documento di Akamai ammette che è impossibile eliminare completamente la pirateria, ma è comunque possibile fare qualcosa di concreto su diversi fronti.
Migliorare l’accesso ai contenuti ed educare gli utenti
Una prima importante azione riprende un po’ il punto visto in precedenza: molti pirati sono persone appassionate e disposte a pagare, se favorite. Un discorso quindi fondamentale riguarda il rendere effettivamente possibile l’accesso ai contenuti nella regione di interesse.
Sfortunatamente, il mondo dell’intrattenimento sembra essere orientato verso una direzione diversa, con sì una disponibilità di contenuti, ma frammentata tra diverse piattaforme proprietarie. Ian Munford di Akamai ha dichiarato :”Alcuni spettatori potrebbero essere tentati di ricorrere alla privacy per accedere a tutto il contenuto che vogliono. Come in ogni attività commerciale, il furto è ovviamente una problematica. L’industria del retail spende ad esempio una significativa somma di denaro per prevenire le perdite, e i distributori di contenuti video devono fare lo stesso. Sfortunatamente ci sono molto più pirati video che taccheggiatori, ed è quindi essenziali che i governi agiscano in maniera responsabile ed educhino i loro cittadini, e che la giustizia abbia accesso ai giusti dati in modo da poter perseguire chi distribuisce materiale piratato“
L’educazione è quindi un’altra parte della soluzione. Secondo Akamai, infatti, la pirateria non è percepita come un furto di un oggetto fisico, perché coinvolge copie digitali e perché “tanto lo fanno tutti”, ed è quindi normalizzata. Secondo il paper, quindi, sarebbe importante ricordare alle persone la natura criminale della pirateria e l’impatto che ha sull’industria.
Conosci il tuo nemico, anche quando ce lo hai in casa
Un altro punto portato avanti da Akamai riguarda il conoscere ancora meglio la pirateria per poterla contrastare in maniera più efficace. Gli studi attuali sono frammentati e a volte contraddittori, e non offrono una metodologia standard per valutare il fenomeno. Una maggiore conoscenza può portare ad un ecosistema legislativo e normativo migliore, con enti pubblici, come l’italiana FAPAV, o privati, come l’ACE, impegnati nella definizione e nell’imposizione delle regole.
Un miglioramento può arrivare anche a livello tecnico, migliorando le operazioni che coinvolgono il materiale soggetto a pirateria. L’industria cinematografica coinvolge infatti un sacco di passaggi, con molte aziende e persone coinvolte. E basta che uno di questi anelli della catena sia debole per favorire fuoriuscite di contenuti anche prima del tempo.
Gli strumenti di Akamai
Oltre a queste best practices, Akamai offre ai suoi clienti un portafoglio completo di soluzioni, con un “atteggiamento a 360°”. Queste pratiche vanno dalla protezione dal furto di credenziali, al sopracitato controllo della filiera interna per costruire un ambiente basato sul concetto di Zero Trust, alla protezione dai VPN ad infine l’uso di DRM (Digital Rights Management) per limitare la riproduzione dei contenuti a dispositivi autorizzati.
Visto che comunque non ci si può aspettare la perfezione da questi strumenti, Akamai prevede anche un sistema di rilevamento dei contenuti piratati per risalire alla fonte originale. Questo risultato può essere raggiunto attraverso una “impronta digitale” connessa ad un determinato contenuto o attraverso l’utilizzo di watermark, impercettibili all’occhio umano ma evidenti ad un computer.
Ci può spingere comunque ancora più in là, utilizzando questi e altri strumenti per bloccare l’accesso in diretta. Questo per esempio risulta particolarmente importante durante la trasmissione di un evento sportivo o comunque in tempo reale. Addirittura è possibile, in alcune implementazioni, contattare con un messaggio le persone che stanno godendo dello streaming illegale per invitarle e desistere.
Se volete approfondire ulteriormente il contenuto del white paper di Akamai, lo trovate presso questo link.
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