Osservare gli zombie in un film, truculenti e cannibalici, non è mai stato più terrificante e meno immaginifico. Se c’è una cosa che ha distinto l’epopea di zombie, il cui capostipite è George Romero, è il carattere satirico che ha assunto attraverso Dawn of the Dead la cui metafora politica e l’allegoria anticapitalista erano e restano spietate e brutali. Ma tra i film di questo genere, alcuni non veicolano una visione satirica della società dei consumi o almeno non è quella la destinazione d’uso che se ne desume; se Fulci ne fece un elemento di avventura con un senso di leggenda e mito degli zombie, privo di qualsiasi sottotesto di critica sociale, anche nel caso di Alone di Johnny Martin non ci si allontana mai di molto dalla materia avventurosa.
Aidan (Posey) è testimone di un’epidemia che getta il mondo nel caos. Gli esperti consigliano ai cittadini di chiudersi in casa per tentare di sopravvivere a un virus micidiale che si sta diffondendo tra la popolazione. Un virus che trasforma le persone in zombie assetati di sangue. Aidan, intrappolato nel suo appartamento, comincia a osservare i vicini che si trasformano in esseri demoniaci, che aggrediscono e si uccidono a vicenda. Aidan decide così di razionare il cibo, guardare le notizie per avere informazioni e tentare di mettersi in contatto con la sua famiglia. Arrivato ad un punto di non ritorno, rimasto senza più elettricità né scorte per sopravvivere, decide di rischiare il tutto per tutto.
Alone di Johnny Martin al Trieste Science+Fiction Festival
Alone è un survival movie dalle tinte horror, presentato al Trieste Science+Fiction Festival, con Tyler Posey, Summer Spiro e Donald Sutherland, tratto dal soggetto di Matt Naylor, che ha scritto la sceneggiatura anche di #Alive di Cho Il-yung, e frutto a sua volta del webtoon del 2014, Dead Days. Per quanto sia carico di elementi che dal punto di vista narrativo sono evidentemente in linea con il presente, Alone è un prodotto che non fa nulla per asciugare o innovare una temporalità distopica che è stata lungamente e intensamente raccontata, ampliata e smarginata.
Il regista ha una doppia spada di Damocle che pende sul capo della sua opera; una è sicuramente il paragone inevitabile con #Alive di Cho Il-yung, con cui la storia di Martin condivide il soggetto, l’altra è il sapore del calco, l’impronta evidente che quest’opera ha assunto nei confronti di un vero e proprio topos cinematografico, e non solo, che non ha bisogno né di attualizzazione, né di ammodernamenti, né di operazioni di salvaguardia, considerato che le sue dinamiche, gli stili, anche se di un’altra era, sono immortali.
Sicuramente Alone ha una buona capacità di intrattenere e, pur ricalcando quasi pedissequamente una storia le cui immagini sono generate senza la minima riflessione, e pur rifacendosi a una situazione che con il contemporaneo ha un aggancio diretto, ottiene un effetto di senso molto convenzionale; l’ovvio esito narrativo non riproduce, come sarebbe stato auspicabile, le paure più recondite dell’essere umano e non assolve un testo che avrebbe dovuto trasportarci in una realtà assediata da un’apocalisse zombie. La protagonista più sensibile di Alone sarebbe dovuta essere la solitudine più ferina, il senso che l’isolamento produce nella mente e nel corpo di Aidan, dimostrando un’attenzione all’interiorità umana molto più attinente a una storia di questa matrice.
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