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Arabia Saudita: attivista condannata a 34 anni di carcere per aver usato Twitter

La donna studia all’Università di Leeds

Si discute di quanto i social stiano cambiando la comunicazione. Sia il modo di narrare un conflitto, sia più in generale il modo di dare una notizia.

Con l’invasione russa dell’Ucraina ci si era illusi un po’ ingenuamente del fatto che alcune piattaforme, in particolar modo TikTok, potessero essere una sorta di emblema della resistenza. Nonché del fatto che i social potessero fornire in tempo reale l’autentico punto di vista degli assediati.

Poi la situazione è apparsa ben più complessa e sfaccettata di così, e ad esempio il social cinese ha mostrato un atteggiamento pericolosamente ambiguo nei confronti di Mosca.

Proprio da Mosca, poi, all’inizio dello scorso marzo è arrivata una severa legge anti fake news. Che prevede pene sino a 15 anni di detenzione per chi diffonde disinformazione sulla guerra. O anche per chi semplicemente si mostra critico nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina.

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Arabia Saudita: attivista condannata per aver usato Twitter

Ma nelle ultime ore è stato Twitter a balzare agli onori delle cronache per un grave episodio di repressione.

Sì, proprio la piattaforma dei cinguettii. Ovvero quella meno sgargiante e più sobria. Quella, in teoria, che si utilizza per comunicare e diffondere notizie e opinioni.

È in effetti stato questo suo carattere di canale divulgativo a far scattare la pesantissima condanna ai danni di una giovane donna. Scopriamo cosa è accaduto.

Salma al Shebab condannata a 34 anni di carcere

Salma al Shebab è una cittadina saudita di 34 anni (numero che purtroppo ritornerà in questa vicenda). Madre di due figli, studia all’Università di Leeds, dove sta per conseguire un dottorato. E nei mesi scorsi era tornata in patria per una vacanza.

Rientrata in Arabia Saudita ha condiviso, o meglio ritwittato, contenuti critici nei confronti dell’attuale regime. Oltre ad appelli in favore dei diritti delle donne.

La detenzione di Salma al Shebab era iniziata già nel gennaio del 2021, e precisamente il giorno 15. Ma la condanna iniziale era stata di “soli” 6 anni, con le accuse di minaccia all’ordine pubblico e destabilizzazione della sicurezza e dell’equilibrio dello stato.

Ora la sua sentenza è stata dilatata sino all’assurdo da una corte di appello, che si è pronunciata l’8 agosto. Attendono Salma al Shebab 34 anni di detenzione, ai quali faranno seguito altri 34 anni di divieto di espatrio. Inoltre, le è stato confiscato lo smartphone e il suo profilo Twitter è stato chiuso.

Sarebbero infatti emersi nuovi elementi, che mostrerebbero come la donna avrebbe “aiutato coloro che cercano di causare disordini pubblici e destabilizzare la sicurezza civile e nazionale seguendo e i loro account Twitter e ritwittando i loro tweet”.

Per l’organizzazione non-profit Freedom Initiative, che da subito ha seguito il caso, è la più severa sentenza mai emessa ai danni di un’attivista saudita per i diritti delle donne.

La repressione

In un editoriale, il Washington Post afferma che la più grave colpa di Salma al Shebab, condannata a 34 anni di reclusione, sia stata quella di avere chiesto la libertà per Loujain al Hathloul. Ovvero un’attivista incarcerata (e torturata) per aver lottato a favore del diritto delle donne a guidare.

Il Washington Post sottolinea poi come nel suo account la donna (che condivideva anche foto dei figli) abbia sempre usato toni del tutto pacifici. Peraltro i suoi follower sono circa 3.000, un numero piuttosto contenuto.

Salma al Shebab fa parte della minoranza sciita, da tempo discriminata in Arabia Saudita. Il suo caso, seguito a livello internazionale, è diventato il simbolo delle azioni repressive attuate dal principe ereditario Mohammed bin Salman.

Negli ultimi anni sono state arrestate decine di attiviste che si battono per i diritti delle donne.

Il Guardian segnala che curiosamente (ma forse nemmeno troppo) il miliardario saudita Alwaleed bin Talal controlla il 5% delle azioni di Twitter attraverso il suo fondo di investimento Kingdom Holdings.

L’azienda non ha risposto alla domanda diretta, a opera sempre del Guardian, su eventuali influenze o richieste da parte dell’Arabia Saudita.

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Le dichiarazioni di Freedom Initiative

Bethany Al-Haidari, che ha seguito la condanna di Salma al Shebab per Freedom Initiative, ha commentato l’ultima sentenza contro Salma al Shebab.

Al-Haidari ha detto: “L’Arabia Saudita si è vantata con il mondo intero di migliorare i diritti delle donne e di creare una riforma legale, ma non c’è dubbio con questa sentenza ripugnante che la situazione stia solo peggiorando. Sfortunatamente non sorprende che Mohammed bin Salman si senta in grado, oggi più che mai, di presiedere a tali eclatanti violazioni dei diritti.

Le autorità saudite devono rilasciare Salma e assicurarsi che i suoi ragazzi non crescano senza una madre semplicemente perché ha chiesto la libertà per gli attivisti per i diritti umani”.

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Autore

  • Claudio Bagnasco

    Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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