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Blonde: com’è il film con Ana de Armas

Tratto dal romanzo di successo di Joyce Carol OatesBlonde ripercorre la vita di una delle icone intramontabili di Hollywood, Marilyn Monroe. Dalla sua infanzia come Norma Jeane, fino alla sua ascesa alla fama e agli intrecci sentimentali, Blonde confonde i confini tra realtà e finzione per esplorare la crescente divisione tra il suo io pubblico e quello privato.

Chi era Norma Jeane? Chi era Marilyn Monroe? Quanto costa essere entrambe, quanto sopravvive di sé nell’abitare due personalità e dover subire lo sguardo del mondo che desidera solo Marilyn a discapito di Norma Jeane?

Essere Marilyn Monroe è come specchiarsi in un riflesso distorto, non edificante, non individuale, ma in un’immagine che era, ed è, la somma delle percezioni, dei desideri e degli sguardi collettivi. La macchina di Hollywood l’ha forgiata, l’ha individuata e l’ha ribaltata ad uso e consumo del proprio meccanismo, ridotta a bambola di pezza, a fantoccio, a burattino che seguiva l’andamento della Hollywood della Golden Age, profondamente fallocentrica, maschilista, retrograda. Norma Jeane e Marilyn Monroe tentano di convivere, di non essere l’una la ferita dell’altra, ma il loro è un legame perpendicolare alla carne, il cui solco epidermico è la frattura visiva che divide e pervade la pellicola.

Blonde: com’è il film con Ana de Armas

Marilyn Monroe è la diva, il mito, l’icona che, nonostante abbia trascorso una vita ad abitare il paradosso, è riuscita a spostare i margini del possibile. Ed era Marilyn Monroe a ridefinire i confini di Norma Jeane e Norma Jeane ridefiniva l’orizzonte di Marilyn Monroe. Ana De Armas interpreta un personaggio a più voci, a più riprese e a più cadute, abita un’immagine tridimensionale, fluttuante: osserviamo l’attrice cubana interpretare – a più livelli – diversi aspetti di Norma Jeane, a partire da lei come figlia, come madre, come amante, come moglie, e poi le interferenze di Marilyn Monroe, la sua maschera sgargiante, rumorosa, eclettica, la più lucente, la più esplosiva, il cui pulviscolo a sua volta entrava in scena per incarnare personaggi, celeberrimi, del suo cinema.

Quindi quel che assistiamo è un mosaico di interpretazioni, un mosaico di personaggi, e diversi livelli di lettura e di apertura che sono quasi asfittici, come un dialogo esasperato che non lascia spazio per zone di luce, non ci sono trasparenze ma solo giochi di ruolo che si calpestano e che sgomitano per emergere. E in tutto questo, sedimentata nell’immagine, quasi spinta oltre la cornice filmica, c’è Norma Jeane, che tenta di riprendere il controllo della sua storia, della sua figura.

Blonde resta una pellicola problematica, nonostante la convincente interpretazione di Ana De Armas

In questa parabola autodistruttiva quel che si palesa davanti i nostri occhi è una Marilyn/Norma come Laura Palmer, come Diane Selwyn in Mulholland Drive. Una donna sempre costretta, per necessità e volontà, a cambiare pelle per incarnare i suoi personaggi, scissa tra spettacolo e identità, personale in dissoluzione e collettivo ipertrofico.

Blonde è capace di atterrire come un horror, appassionare come un biopic classico; come Spencer è abitato dai fantasmi, quasi gotico nelle intenzioni, e i fantasmi sono le immagini del passato, come in Dickens, come lo Spirito del Natale passato, tornano a fustigare e ad annichilire chi di quelle immagini si è nutrito. Blonde è un racconto di finzione nella finzione, è l’infingimento consapevole e supremo, lo smarrimento nel desiderio, l’eccesso di immagine, di immagini e di arte nella sua riproducibilità.

Marilyn Monroe una volta affermò: “Quando si è famosi, ci si imbatte sempre nell’inconscio delle persone”. Ed è l’inconscio collettivo a partecipare alla visione della pellicola, e quello che il mondo vede sarà sempre la proiezione dei propri desideri.

Blonde: Marilyn Monroe come Laura Palmer in una parabola autodistruttiva

Eppure Blonde resta una pellicola problematica, nonostante la brillante e convincente interpretazione di Ana De Armas. Quel che non convince è l’estremo abuso delle immagini celebri Marilyn, e di come abitino lo spazio filmico come a volersi sincerare che esista sempre una riconoscibilità, un ritorno all’immagine, consolidata, già vista, già nota, senza che esista l’intenzione di voler risignificare quelle immagini, risimbolizzarle, problematizzando l’eccesso e rendendolo superfluo.

E ancora quel che proprio non avremmo voluto vedere è il moralismo, e la ridondanza dell’ipersessualizzazione del corpo di Marilyn. Un corpo già traboccante, già barocco, sinuoso, non è necessario doverlo mostrare incessantemente nella sua nudità, nelle sue pose erotiche, nelle sue performance – perché tali sono – sessuali e sessualizzanti. Ciò che emerge è tutto talmente pletorico che, consapevole o meno, diventa superfluo e vagamente disturbante.

E ancora il ritorno al suo corpo, sanguinante, e gli aborti, spontanei e meno spontanei, diventa tutto pericolosamente moralista, e distintamente antiabortista, con quest’immagine fluttuante del feto che – in maniera inquietante – assume la sua voce da bambina e le parla da dentro; è tutto sbattuto in faccia in maniera violenta, come le visioni dalla vagina, e il dilatatore, e gli innumerevoli simboli fallici. C’è ancora una volta una visione di Marilyn Monroe tanto straordinaria quanto chimerica, che seduce e respinge, arpiona e accarezza. Un vicolo cieco di finzione, ossessione, delirio, incubi e allucinazioni senza fine.

Blonde sarà disponibile su Netflix dal 28 settembre 2022.

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Lucia Tedesco

Giornalista, femminista, critica cinematografica e soprattutto direttrice di TechPrincess, con passione ed entusiasmo. È la storia, non chi la racconta.

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