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Cina: maxi protesta nella fabbrica di iPhone della Foxconn

La rivolta contro le norme anti Covid

Il pugno duro della Cina nei confronti della pandemia da Coronavirus, con relativo corredo di immagini che hanno fatto il giro del mondo, sembrava ormai argomento archiviato.

Invece è ritornato di bruciante attualità, dopo la maxi protesta scoppiata in Cina. E più precisamente nella fabbrica della Foxconn di Zhengzhou, situata nella provincia di Henan, nel centro del Paese. E che da sola assembla l’80% degli iPhone venduti in tutto il mondo.

Scopriamo in cosa consiste la maxi protesta scoppiata in Cina. Che, se ha avuto il culmine nelle scorse ore, è iniziata ormai da qualche giorno. E prende di mira le rigorose norme anti Covid volute dal governo.

La maxi protesta in Cina

La maxi protesta è scoppiata in Cina nella notte tra martedì 22 e mercoledì 23 novembre.

La città è quella di Zhengzhou, nella Cina centrale, dove ha sede la fabbrica della Foxconn, che produce qualcosa come l’80% degli iPhone destinati al mercato mondiale.

I motivi della rivolta vanno ricercati in larga parte nelle stringenti norme anti Covid messe in atto ormai da un mese. Ma una concausa è da rinvenire anche nei salari non pagati.

Foxconn

La iPhone city (di stampo orwelliano)

Il nomignolo affibbiato alla fabbrica della Foxconn è eloquente: “iPhone city”.

Si tratta infatti di un’azienda che impegna 200.000 dipendenti. E che, nel mese di ottobre, ha dovuto subire la cosiddetta tolleranza zero nei confronti del Coronavirus.

L’azienda si è dunque trasformata in una sorta di incubo orwelliano: la produzione è rimasta attiva 24 ore su 24, ma agli operai è stato impedito di uscire dai perimetri del complesso industriale. Si lavora e si vive lì, insomma.

Condizioni inaccettabili, al punto che già nelle scorse settimane centinaia di lavoratori migranti hanno scavalcato le recinzioni per tornare, anche in autostop, al loro luogo di origine.

Foxconn ha dichiarato che tutto per ora è sotto controllo, anche se Reuters – che per prima ha denunciato la cosa – parla di un possibile calo della produzione del 30%. Particolarmente gravoso, perché cadrebbe nel periodo prenatalizio.

La situazione è tesissima dallo scorso 19 ottobre, quando ai dipendenti è stato vietato di consumare i pasti nella mensa. Si può mangiare solo nei dormitori.

Dal 19 ottobre, nella città di Zhengzhou sono stati registrati 264 casi di positività al Covid.

Il nodo salari e le nuove assunzioni

Le scorte alimentari e mediche, nella fabbrica della multinazionale taiwanese Foxconn, stanno andando esaurendosi. E le condizioni igieniche sono in costante peggioramento.

Poi c’è l’altra questione, quella dei salari non pagati. Anche se l’azienda avrebbe rassicurato i dipendenti, dopo l’esodo, annunciando che le retribuzioni saranno aumentate di oltre un terzo. E sarà aggiunto un “bonus presenza” a chi nel mese di novembre lavorerà per almeno 15 giorni.

A inasprire ancor più i rapporti anche una ventilata assunzione di 100.000 nuovi operai, per soddisfare la domanda di iPhone durante lo shopping natalizio. Ai nuovi assunti sarebbero stati garantiti un alloggio separato e mansioni differenti, per evitare il rischio del contagio.

La Cina e la maxi protesta (social)

La situazione incandescente è dunque esplosa nella notte tra il 22 e il 23 novembre.

La maxi protesta in Cina, come è la prassi di questi tempi, è stata ampiamente documentata sui social network. Svariati i filmati che mostrano centinaia di dipendenti in marcia: protestano contro le condizioni di vita e i salari non pagati. Di fronte a loro, si vedono persone – probabilmente dirigenti – in tute ignifughe, e poliziotti in tenute antisommossa.

Reuters parla anche di scontri fisici e di lavoratori che avrebbero abbattuto le barriere che li confinano all’interno del complesso industriale.

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La Cina e il Covid

La maxi protesta esplosa in Cina è emblematica della situazione del Paese.

I focolai aumentano, così come i casi di positività. Canton, tra le città più colpite, ha fatto segnare oltre 1.000 nuovi casi nell’ultima settimana. Si teme un lockdown rigido come quello della scorsa primavera a Shangai. Dove a fine ottobre il Disney Resort ha imposto un “sequestro” di staff e visitatori, che possono lasciare la struttura solo dopo un tampone negativo. Addirittura, chiunque abbia visitato il parco divertimenti dal 27 ottobre, ha dovuto o dovrà sottoporsi a ben tre test in tre giorni consecutivi.

Anche per queste restrizioni, l’economia cinese è in sofferenza. L’attività manifatturiera è in contrazione: l’indice Pmi in ottobre è sceso a 49,2 punti contro i 50,1 di settembre. Anche l’indice Pmi non manifatturiero è calato a 48,7 punti. Inoltre, la Cina ha iniziato in flessione anche la settimana in Borsa. In realtà, con l’eccezione di Tokyo (Nikkei (+0,16%), segni negativi per tutta l’Asia e il Pacifico: Shanghai (-0,39%), Shenzhen (-0,04%), Sydney (-0,18%) e Seul (-1%).

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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