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Cultura

L’impatto discreto di Dungeons & Dragons sulla cultura pop

Ovvero come i giocatori di allora sono ormai la voce degli immaginari pubblici.

Dungeons & Dragons non è mai stato così popolare. Nel 2016, a due anni dalla sua pubblicazione, la quinta versione del celebre gioco di ruolo (GdR) ha superato le vendite di tutte le sue edizioni precedenti, inoltre D&D risulta regolarmente il titolo favorito dagli utenti di Roll20, portale web utilizzato in tutto il mondo per svolgere partite in remoto. Dungeons & Dragons è per molti sinonimo stesso di GdR e la sua presenza trasuda ormai regolarmente nella cultura pop, raggiungendo anche chi non ha mai aperto un manuale di gioco.

D&D DIRECT

Come la cultura pop ha influenzato Dungeons & Dragons

Nel 1974, al suo debutto statunitense, Dungeons & Dragons si portava appresso già un folto bagaglio di influenze e suggestioni. La più evidente di queste era sicuramente caratterizzata dalla sua ambientazione fantasy, la quale era – e parzialmente ancora è – estremamente influenzata dalle saghe tolkeniane de Il Signore degli Anelli, Lo hobbit e Il Silmarillion. Anzi, le similitudini erano tanto palesi che l’azienda che detiene i diritti dei suddetti libri, Tolkien Estate, aveva chiamato in causa gli autori del gioco, Gary Gygax e Dave Arneson per risolvere tutti gli eventuali plagi. Il contenzioso è stato risolto a porte chiuse e il GdR si è impegnato a modificare alcuni nomi del suo bestiario. Gli “ent” sono divenuti “treant”, i “balrog” sono stati ribattezzati “balor”, gli “hobbit” hanno lasciato spazio agli “halfling”.

A livello tecnico, D&D è figlio dei wargame, giochi da tavola che rappresentano di fatto l’evoluzione degli scacchi, nonché un sollazzamento ludico che agli inizi del Novecento era divenuto un must dell’intrattenimento per gentlemen. Per comprendere l’influenza del genere, basti pensare che H. G. Wells, autore di fantascienza noto per La macchina del tempo, L’isola del dottor Moreau e La guerra dei mondi, avesse trovato spazio nella sua fitta agenda per progettare un suo wargame personale basato sull’uso di soldatini giocattolo, Little Wars: un gioco per ragazzi dai dodici ai centocinquanta anni e per quelle ragazzine più intelligenti a cui piacciono i giochi per bambini e i libri. Nel 1971, Gygax aveva a sua volta attivamente partecipato a questa moda pubblicando un gioco di guerra con miniature ambientato nell’epoca medievale, Chainmail, il quale, opportunamente modificato, è poi diventato la base su cui è stato plasmato il successo di Dungeons & Dragons.

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Ecco come si gioca a Little Wars, con virile eleganza.

L’evoluzione dell’universo GdR

Dalla nascita di D&D il mondo dei giochi di ruolo si è espanso progressivamente. Titoli quali Pathfinder nascono esplicitamente come costola del suo successo, ma in generale tutta la categoria deve la sua esistenza all’esplosivo successo che ha baciato le fatiche di Gygax e Arneson. Senza di loro non avremmo Il Richiamo di Cthulhu, Vampiri la Masquerade, Numenera, ma neppure esemplari meno fantasy quali Cyberpunk Red, Anime e Sangue, Spire: la città deve cadere e molti altri ancora. In breve, se non fosse stato per Dungeons & Dragons, il genere GdR oggi potrebbe non esistere.

Se non fosse mai esistito il genere GdR, anche internet e i videogame potrebbero essere oggi estremamente differenti. ARPAnet, il prototipo della Rete odierna, era stato pensato per fini istituzionali, per mettere in contatto diverse università statunitensi, eppure nottetempo studenti e accademici lo usavano abusivamente per lanciarsi in avventure testuali strutturate proprio sulle regole del noto gioco di ruolo. In un certo senso, lo sfogo segreto di quei ricercatori appassionati ha rappresentato uno dei primi esempi delle potenzialità sociali e di consumo proprio al web odierno. Per quanto concerne i videogiochi è chiaro che un eventuale inesistenza di D&D avrebbe reso impossibili le produzioni di alcuni dei brand legati direttamente alla licenza – tra cui i capolavori Baldur’s Gate, Neverwinter Nights, Planescape: Torment -, ma anche alcune creazioni completamente sconnesse alla proprietà intellettuale in questione ne avrebbero patito non poco.

tiny tina wonderlands unicorn
Ogni tanto gli omaggi a D&D sono più eccentrici di quanto sarebbe lecito aspettarsi.

Oltre a sviluppare nel tempo una mitologia complessa e articolata, Dungeons & Dragons ha infatti generato un sistema di gioco fortemente radicato a basi matematiche che sono facilmente emulabili dai sistemi computerizzati. Ogni volta che un videogame si apre con la creazione di un personaggio personalizzabile attraverso la distribuzione di punti in varie statistiche, potete essere certi che questi stia portando avanti il retaggio ereditato da Gygax e Arneson. Alla tecnica si affiancano dunque alcuni elementi di game design che ormai vengono accettati incondizionatamente, dall’esistenza di “quest” e “side-quest” alla possibilità di infliggere ai propri avversari dei “colpi critici”, attacchi immotivatamente efficaci che spesso si legano più alla casualità di fattori numerici che non a raffinate strategie belliche. 

L’accoglienza poco calorosa ai giochi di ruolo 

La lunga ombra di D&D si estende però ben oltre ai giochi e i videogiochi, non sempre positivamente. Una delle più “antiche” reazioni alla diffusione del titolo fantasy è stata infatti quella del cosiddetto “panico morale”, un movimento perlopiù cavalcato negli Stati Uniti da alcune correnti evangeliche e dalle branche più conservatrici della politica. Questa crociata veniva mossa dall’idea che i GdR, pregni di magie e occultismo, potessero essere un invito ai giovani per passare al satanismo o, cosa ancora più astrusa, che il desiderio di interpretare personaggi fantasy potesse essere il sintomo di problemi psicologici irrisolti.

Queste paure hanno preso la forma di fumetti distribuiti dagli organizzazioni ecclesiastiche, ma anche di film quali Mazes and Monsters, lungometraggio in cui il protagonista, interpretato da un giovane Tom Hanks, rischia di gettarsi da un grattacielo perché ossessionato da una partita fin troppo coinvolgente. Negli anni Duemila, la progressiva diffusione dell’hobby ha dunque incarnato le ansie di diverse carceri, le quali hanno iniziato a ipotizzare che questo genere di intrattenimento, fatto di mappe e lanci di dadi, potesse essere usato come copertura per pianificare atti criminali o per giocare d’azzardo. Un timore che non ha mai avuto riscontri registrati.

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Il fumetto Dark Dungeons suggerisce che giocare di ruolo possa garantire poteri sovrannaturali. Un’ottima pubblicità per D&D.

Come Dungeons & Dragons ha influenzato la cultura pop

Buona parte degli attriti degli anni Settanta/Ottanta sono stati perlopiù condizionati da quegli stessi scontri generazionali che nei decenni precedenti si erano abbattuti su cinema e televisione e che oggi hanno raggiunto i videogame. A dimostrarlo è il fatto che molti, moltissimi giocatori di allora hanno sviluppato carriere di successo senza mai incappare in culti sacrilegi. Almeno per quanto ci è dato sapere. Tra i nomi eclatanti possiamo ricordare i romanzieri George R. R. Martin e Patrick Rothfuss, il musicista Moby, gli attori Vin Diesel e John C. Reilly, il regista Steven Spielberg e persino l’uomo più ricco del mondo, Elon Musk.

Con uno stuolo di creatori tanto ampio e variegato, non sorprende che D&D sia filtrato a cascata in molte delle loro produzioni. Non solo il brand si è guadagnato tre lungometraggi di pessima qualità (e un reboot in arrivo nel 2023), ma la sua presenza si è fatta sentire anche in classici quali E.T. l’extraterrestre e nell’immaginario ben illustrato dall’Onward disneyano. Parallelamente, anche il mondo televisivo ha reso omaggio alla tanto amata produzione editoriale. The Big Bang Theory, Community, I Simpson, Gravity Fall, Buffy l’ammazzavampiri e altri ancora hanno esplicitamente fatto riferimento a gioie e dolori che si manifestano nelle intense sessioni di giochi di ruolo, spesso colorendone le peculiarità con grandi dosi di autoironia.

L’influenza pop di Dungeons & Dragons non sembra peraltro affievolirsi nel tempo, anzi. Forse alla ricerca di una narrazione partecipata che ci permetta di fuggire agli algoritmi dei servizi di streaming, forse per un desiderio di socialità umana enfatizzato dal contesto post-pandemico, il GdR più celebre al mondo continua a sviluppare attenzione e fascinazione su scala globale. La serie Stranger Things ne è un esempio lampante. Non solo i suoi autori sfruttano i nomi dei bestiari del gioco per battezzare i propri mostri, ma le partite “ruolistiche” sviluppate dai protagonisti hanno diretti parallelismi con lo sviluppo degli archetipi e delle vicende narrate nei vari episodi. Poco sorprendentemente, gli autori del programma, Matt e Ross Duffer, sono grandi fan di quanto iniziato negli anni Settanta da Gygax e Arneson e come loro sono molti coloro che sono ansiosi di condividere con il mondo questa passione, compreso colui che sta scrivendo questo testo.

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Il “Vecna” di Stranger Things, l’ultimo esempio di come Dungeons & Dragons sia ormai parte dell’immaginario pop.

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Source
Intervista di Rolling Sonte ai fratelli Duffer.Pagina Twitter di Mike Mearls.Resoconto di fine 2021 del traffico di Roll20.

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