Quella di Elvis sembra una storia già scritta: il talento, la personalità, il successo e la drammaturgica caduta. E poi gli eccessi e una società conservatrice e razzista che evolve con troppa calma, a ritmo delle lente ballate negli show televisivi mentre il rock’n’roll impazza tra i giovani. Insomma fare un film sul Re potrebbe sembrare la cosa più semplice del mondo. E invece no, perchè si corre un rischio, il più pericoloso di tutti: quello di banalizzare un personaggio che tutto era fuorchè banale. Il rhythm and blues cantato da un bianco, le giacche di pelle e il movimento pelvico. Nel 1955 queste erano novità assolute. Nel 2022 invece, tra i mille imitatori di Elvis nel mondo, il pericolo più grande per il regista Baz Luhrmann era quello di creare una macchietta. Una banalizzazione stereotipata di un personaggio che dagli stereotipi è sempre fuggito, muovendo le gambe a ritmo di rock’n’roll. Benvenuti nella nostra recensione di Elvis, il nuovo biopic di Baz Luhrmann con Austin Butler e Tom Hanks.
Il Re e il Colonnello: due facce della stessa splendente e misera medaglia
Ci sono persone che vorrebbero farmi passare come il cattivo di questa storia.
Colonnello Tom Parker (Tom Hanks)
Cominciamo col dire che se vi aspettate un lungometraggio sulla vita e sulla carriera di Elvis Presley, vi conviene cambiare film. Nella pellicola di Luhrmann il vero protagonista è il controverso e ossessivo rapporto tra una stella, la più brillante di tutte, e il suo impresario, il primo vero manager nella storia dell’industria discografica contemporanea. La stella è lui, The King, Elvis Presley, magistralmente interpretato da Austin Butler, che con questo ruolo firma con una penna d’oro una più che papabile candidatura agli Oscar 2023. Il manager è invece il celebre e spietato Colonnello Tom Parker (Tom Hanks), una persona a cui affidereste volentieri la vostra carriera, ma non il vostro conto in banca. Il problema è che le due cose sono assolutamente inscindibili. Il film su questo è chiaro: Parker ha creato Elvis così come lo ha distrutto.
La pellicola si apre nel 1997, quando The Pelvis è ormai morto da 20 anni, mentre il Colonnello è pronto, come ultimo atto della sua vita ormai al termine, a raccontarci la sua versione della storia. Una mastodontica arringa difensiva, per difendersi dall’accusa mediatica di aver sfruttato e soggiogato economicamente il più grande degli artisti della storia musicale americana, fino a causarne la morte prematura. E la giuria di questo processo siamo noi, gli spettatori. È a noi che Parker si rivolge, tra immagini visionarie e tavoli da gioco che ci portano nel delirio di un uomo anziano e malato che cerca con convinzione un’assoluzione definitiva per i suoi peccati. Assoluzione che, dallo spettatore, difficilmente otterrà.
La recensione di Elvis: la trama
La narrazione ci mostra il primo incontro tra i due. Parker era un impresario di spettacoli, che di musica capiva veramente poco, ma con uno spiccato e spietato senso per gli affari. Elvis invece era un giovane cantante bianco di Memphis, ossessivamente legato a sua madre e con una fortissima influenza di quella che con disprezzo veniva chiamata race music, musica per soli neri insomma. Il Colonnello riesce a far diventare Elvis una vera macchina da soldi, creando la prima forma di merchandising nella storia della musica. Elvis, da cantante del sud, diventa un brand internazionale.
Il sodalizio sembra funzionare fin quando l’artista non riceve le attenzioni indesiderate della classe politica conservatrice, scandalizzata dalle sue movenze di bacino “indecenti” e dai suoi rapporti con la comunità nera. A quel punto emergono alcuni dei segreti del Colonnello, il quale nasconde un passato da clandestino illegale e un presente fatto di vizi e debiti di gioco. Segreti che lo portano ad essere ricattato dai poteri forti di quell’America profondamente razzista degli anni ‘50.
Parker si ritrova così a ingabbiare letteralmente la sua più grande stella, ottenendo la fiducia del padre di Elvis e la diffidenza della madre, l’unica di cui l’artista sembra fidarsi nella prima metà del film. Il manager, forte di capacità dialettiche e manipolatrici fuori dal comune, riesce a muovere come un burattino la sua gallina dalle uova d’oro, che si accorgerà solo nelle ultime fasi della sua carriera di essere stato manipolato e sfruttato, quando sarà ormai troppo tardi. “Caught in a trap, but I can’t walk out” tanto per citare un iconico brano del Re.
Quello di Baz Luhrmann è un enorme omaggio alla musica nera
Ti sbattono in galera perchè ancheggi? Più facile che sbattano in galera me perchè attraverso la strada. Tu sei bianco e fai guadagnare un mucchio di soldi a tutti, nessuno ti sbatterà in carcere.
B.B.King (Kevin Harrison Jr.) a Elvis (Austin Butler)
Chi lo avrebbe mai detto che un film sul più grande degli artisti bianchi possa in realtà essere un enorme omaggio alla musica nera. Elvis di Baz Luhrmann è proprio questo. Anzi, al regista sembra interessare poco l’aneddotica della carriera dell’artista, di cui si è già detto e scritto tanto, che infatti viene raccontata molto sommariamente. Il Re interpretato da Austin Butler si muove in un contesto sociale stratificato e fortemente diviso, ed è solo nella musica nera che Elvis trova il suo vero rifugio. Quando è triste e infelice scappa nel club per soli neri di Memphis, dove si esibiscono i talenti della black music e si confida con l’amico B.B. King.
Sono tantissimi i personaggi di rilievo della black music citati nel biopic, indispensabili per comprendere a fondo le radici musicali dell’uomo che inventò il Rock’n’roll. Oltre al già citato B.B. King nel film si vedono un giovanissimo Little Richard, Big Mama Thornton, Sister Rosetta Tharpe, Arthur Crudup, Mahalia Jackson e tanti altri. Sono loro il vero motore della creatività musicale di Elvis. Un sottobosco di artisti incredibili che aveva la sola colpa di essere nato col colore della pelle sbagliato. E poi le parole di Martin Luther King e il suo assassinio. Insomma l’operazione di Luhrmann appare chiara: non si può omaggiare il grande Re bianco senza celebrare la bistrattata cultura nera che lo ha influenzato.
La nostra recensione di Elvis: un capolavoro di regia e recitazione
As long as a man has the strength to dream, he can redeem his soul and fly.
Elvis – If I can Dream
Ritorniamo alla domanda iniziale di questa recensione di Elvis: riuscirà Baz Luhrmann a non cadere nella banalizzazione del personaggio? La risposta è assolutamente si. Forte di una potenza visiva senza eguali e di un comparto sonoro assolutamente incredibile, il regista di Moulin Rouge! ci mostra un racconto inedito, rinunciando a imporci un’inutile agiografia di Elvis. Il biopic ci racconta la sua intimità senza mai risultare invasivo: il dolore per la perdita della madre, le sue insicurezze, i suoi vizi e la sua incapacità di slegarsi di una figura ingombrante come quella del Colonnello. Un uomo che gli aveva dato tutto, costruendogli una luminosa torre di avorio da cui era ormai impossibile scappare. Luhrmann ci fa provare quasi compassione per l’Elvis di fine carriera, irriconoscibile ma pur sempre iconico.
Merito di questo risultato straordinario va ovviamente ad Austin Butler, che interpreta il Re alla perfezione, entrando assolutamente dentro la sua complessa personalità. I movimenti sul palco sono fluidi, credibili, e sebbene li abbiamo visti e rivisti migliaia di volte dagli imitatori di Elvis, Butler ci appare reale (in entrambi i sensi del termine). Potrebbe questo essere il ruolo che consacra il giovane attore? Di certo ce lo aspettiamo tra i candidati per i prossimi premi Oscar.
E cosa dire poi di Tom Hanks? La sua interpretazione del Capitano è straordinaria: un uomo viscido e manipolatore, al quale però non si può non riconoscere uno straordinario talento per gli affari. Hanks è in grado di far provare allo spettatore emozioni miste: non puoi non odiare il Colonnello, ma non puoi neanche negare che senza di lui non avremmo mai avuto Elvis Presley.
L’attenzione ai dettagli è ciò che rende Elvis un capolavoro
Since my baby left me I found a new place to dwell. It’s down at the end of Lonely Street, at Heartbreak Hotel.
Elvis – Heartbreak Hotel
Oltre alla regia, alla narrazione e al lavoro incredibile del cast, la vera potenza del biopic è da ricercare nell’attenzione ai dettagli. Come i fan di Elvis avranno notato, Luhrmann ha riposto incredibile attenzione nella resa realistica degli spettacoli televisivi del Re. Al punto che le transizioni tra le immagini sul set e quelle di repertorio del vero Elvis sono assolutamente impercettibili. Nel caso dello “speciale natalizio”, per esempio, il tutto è reso nei minimi dettagli, a partire dalla semiacustica rossa utilizzata ai piccoli movimenti scenici, passando per i maestosi outfit indossati da Presley. E poi il tristemente celebre Steven Allen Show, in Elvis cui cantò Hound Dog ad un bassotto. Una cura quasi documentaristica che non stona per nulla con le immagini quasi divine e visionarie che il regista non manca mai di inserire nelle sue pellicole.
In tutto questo comparto di realismo c’è spazio anche per le interpretazioni di vari artisti contemporanei chiamati a comporre la straordinaria colonna sonora del film. Oltre ai nostri Maneskin, l’OST comprende la psichedelia dei Tame Impala, il rap di Eminem e CeeLo Green, l’R&B di Doja Cat (che propone un’irresistibile versione trap di Hound Dog) e il rock fuori dagli schemi di Jack White. Il tutto ben si mescola con le immagini dei live di Elvis e con le reinterpretazioni dei classici della black music, che come detto, conducono la narrazione musicale del film.
Tirando le somme su Elvis: com’è il film di Baz Luhrmann?
Qualche anno più tardi, quel bel giovanotto che chiamavano il Re, beh doveva aver cantato troppe canzoni, e gli venne un infarto o cose così. Deve essere difficile fare il Re.
Tom Hanks in Forrest Gump
In generale l’impressione è che il regista abbia tanto rispetto per l’artista, per l’uomo e per il suo background musicale. Un rispetto che gli impone un racconto sincero, che ci mostra ciò che accade quando le luci dello spettacolo si spengono ed Elvis si ritrova ad annaspare nel mare del suo successo. Un’intero ecosistema che vive a sue spese e che è pronto a collassare su sé stesso. Il biopic, in tal senso, ci offre anche un interessante spaccato sulla macchina discografica che è nata con The Pelvis. Un sistema che sarebbe poi diventato, col tempo, il modello discografico contemporaneo.
L’evoluzione del protagonista è riprodotta fedelmente tanto nell’estetica quanto nella personalità, che cambia bruscamente più volte nel corso del film. Questo perchè la narrazione non si preoccupa di seguire un filo cronologico preciso. Ci ritroviamo così, a fine pellicola, dinnanzi ad un cantante crooner rassicurante e celebrato, lontano anni luce dal ragazzino ribelle di inizio carriera. Luhrmann, in definitiva, ci propone una serie di quadri, spesso frenetici, da vari momenti della sua carriera, tra luci e ombre, consegnandoci quanto di più vero sia mai stato realizzato cinematograficamente sul Re.
- Editore: Rizzoli
- Autore: James L. Dickerson , Sara A. Benatti
- Collana: BUR Varia
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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Ieri sera ho visto il film
M E R A V I G L I O S O
erano tanti anni che al cinema riuscivo a vedere un bel film
Tom Hanks ovviamente non ha bisogno della mia pubblicità lo amo da sempre
L’interprete di Elvis invece mi ha veramente stupito è riuscito a fare rivivere il Re del Roc come se fosse veramente resuscitato per interpretare quel film
Complimentoni ovviamente al regista che è riuscito a fare rivivere la magia di Elvis e della musica nera 👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏 chissà se riuscirò una pellicola così entusiasmante nei prossimi anni
B R A V I I I I I I I I I
Ho già visto due volte questo film davvero eccezionale per ritmo, contenuti musicali, interpretazione e tanto tanto altro.. lo rivedrei mille volte senza stancarmi
Personalmente quei remix inutili inseriti nel film fanno schifo, rovinano una trama già fangosa e impastata a metà film. Voto 5 film troppo lungo e noioso. Ascoltatelo tu quel trap n roll inutile
Non vedo l’ora di vedere il film sicuramente mi piacerà sono un fans di Elvis da 50 anni sono contenta che finalmente hanno fatto un film che racconta la vita di Elvis così anche i giovani di coggi conoscono chi era Elvis il re del rock’n’roll
Finalmente un film che non banalizza il the King, in Italia ne abbia mo avuto in abbondanza di cattivi maestri, bellissimo film che ci parla del controverso personaggio col
Tom Parker, che piaccia o no non si può fare la storia di Elvis escludendo il colonnello, Tom Hanks ,grandissimo come Austin, interessante gli inizi della carriera del , King , l’incontro tra il Blues ed il Country che sono pip le origini Rock n’ Roll , bravo il regista a sapere raccont, un film alla Robert Altman
Bellissimo film…Non è bello il doppiaggio della
Voce di ELVIS …troppo adulta
Elvis
Ho visto il film ieri sera ed ancora oggi ho il cuore pieno di emozioni. Gioia per aver visto finalmente un film che gli rende giustizia. Amore perché, se è possibile, amo ELVIS più di prima. Ammirazione per un uomo che ha dato tutto se stesso ai suoi fans e ci da tanto ancora oggi. Tristezza e impotenza per come hanno sfruttato e portato alla morte questo grande uomo. Stupore per la bravura del attore Austin Butler, per quanto è stato strepitoso ad immedesimarsi in Elvis, ad assorbire ogni suo sguardo, ogni suo gesto, ogni particolare riprodotto perfettamente. La sorpresa finale è stata toccante tanto da strapparmi lacrime irrefrenabili. 2:40 di film che scorrono in un battito di ciglia. Grazie al regista Baz Luhrmann, grazie Austin Butler ma soprattutto…GRAZIE INTRAMONTABILE ELVIS !!!