Il cinema e la narrativa ci hanno abituato a pensare al viaggio come metafora della vita e del cambiamento, con il percorso fisico dei protagonisti che si trasforma in percorso interiore. Con la loro opera prima Generazione Low Cost, presentata durante la Semaine de la Critique di Cannes nel 2021 e in sala dal 12 maggio con I Wonder Pictures, Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre ribaltano questa dinamica, trasformando la parabola della hostess Cassandre Wassels (una strepitosa Adèle Exarchopoulos) in una rappresentazione dell’alienazione e del disorientamento di un’intera generazione, ormai rassegnata e inerme di fronte a una società malata e ai tanti dolori che la vita riserva. Un’opera riassunta perfettamente dal titolo originale (Rien à foutre, letteralmente “Non me ne frega un cazzo”), che lascia spiazzati per come riesce a fondere il ritratto generazionale con una dolorosa riflessione sull’elaborazione del lutto, che emerge prepotentemente con il passare dei minuti.
A nove anni di distanza da La vita di Adele, Adèle Exarchopoulos interpreta un nuovo personaggio smarrito, quasi spezzato dalla vita. La sua Cassandre vive infatti alla giornata, cercando di riempire il suo vuoto esistenziale con un precario lavoro da hostess per una compagnia low cost, per la quale non è altro che una decorosa maschera e una rassicurante macchina concepita per spremere soldi ai clienti attraverso servizi e prodotti non inclusi nel biglietto. La sua è un’esistenza priva di legami e radici, spesa contatti impersonali a bordo, città assaporate fra uno scalo e l’altro, tristi festini e sesso occasionale. «Non ho tempo per fare la rivoluzione», risponde Cassandre a un gruppo di lavoratori in sciopero, ribadendo il suo arrendevole nichilismo. Ma la rivoluzione entra comunque nella sua vita, insieme ai fantasmi del passato.
Generazione Low Cost: Adèle Exarchopoulos viaggiatrice senza destinazione
Generazione Low Cost si inserisce perfettamente nel filone del cinema sociale francese, che solo negli ultimi mesi ha portato nelle nostre sale opere notevoli come Full Time – Al cento per cento e Un altro mondo, capaci di tratteggiare la progressiva erosione dei diritti e della dignità all’interno del mondo del lavoro. In questo senso, Cassandre sembra uscita da un film dei fratelli Dardenne o di Ken Loach. La macchina da presa di Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre si incolla a lei, seguendola con uno stile lucido e realista fra sistemi di valutazione degni di una distopia fantascientifica, umiliazioni sul lavoro, promozioni imposte e colloqui in cui viene invitata a sfilare davanti alla webcam. Il desolante ritratto di una generazione per cui il futuro non esiste («Non so nemmeno se sarò viva domani», dice Cassandre), per cui l’unica prospettiva è un lavoro mediocre e mortificante con cui tirare avanti.
Un’esistenza sintetizzata dai social della stessa Cassandre: Instagram come memoria storica del tempo trascorso in un’azienda e il nickname carpediem come unico possibile approccio ai legami sentimentali, con uno spirito ben più rassegnato di quello del Professor Keating e della sua Setta dei poeti estinti. Proprio quando crediamo di averlo inquadrato, Generazione Low Cost cambia pelle sotto ai nostri occhi, trasformando il ritorno in famiglia di Cassandre in un viaggio fra traumi irrisolti e lutti insuperabili.
Dall’universale al particolare, la vita senza fissa dimora e senza affetti stabili della protagonista diventa così anche e soprattutto reazione al dolore, disperata fuga da un tormento in grado di trovarla in ogni angolo del mondo. L’ormai iconico broncio di Adèle Exarchopoulos assume così sfumature di profondo turbamento, e la stessa fotografia vira su toni più caldi, per stringerla in un abbraccio e per fornirle quella sensazione di protezione che crede di non poter più trovare.
Un finale irrisolto come la vita di Cassandre
Il percorso di Cassandre si riflette sulla stessa struttura narrativa di Generazione Low Cost, che a tratti appare esitante e indeciso sulla direzione da prendere, in bilico fra cinema d’inchiesta e riflessione più intima e personale. Non è un caso che lo stesso finale sia brusco e fondamentalmente irrisolto: non può esserci un epilogo netto e consistente per un’esistenza incastrata nel presente, in cui il passato è un trauma da mettersi alle spalle e il futuro è reso impossibile da un sistema che irreggimenta e spinge alla disumanizzazione i giovani lavoratori. Cassandre ha però il vantaggio di non avere più niente da perdere, e quando ci congediamo da lei non possiamo fare a meno di sperare che il prossimo sia il suo ultimo scalo verso la felicità, perché anche la speranza viaggia in low cost.
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