Esistono diversi modi per rendere la propria casa smart. Per molti utenti, il primo passo è scegliere a quale assistente affidarsi: bisogna decidere se prendere un hub di Amazon per parlare con Alexa, oppure usare l’Assistente di Google, le soluzioni di Samsung o l’Homekit di Apple per interfacciarsi con Siri (per nominare i principali). Ma i veri appassionati di smart home hanno un approccio diverso, basato sull’open source e senza limiti: Home Assistant.
Una scelta senza dubbio versatile, che permette di usare tantissimi dispositivi diversi senza problemi di compatibilità. Ma che richiede lavoro e capacità informatiche discrete per funzionare. O almeno, lo richiedeva: Home Assistant ha annunciato di entrare a far parte della Open Home Foundation, una nuova organizzazione no-profit che si porrà l’obiettivo di portare la piattaforma nelle case (smart) di tutti. Anche di chi non è un esperto.
Home Assistant si unisce alla Open Home Foundation per una smart home aperta e privata
Home Assistant usa un approccio molto diverso rispetto ad Amazon Alexa e Google Home. Funziona in locale, senza bisogno di andare nel cloud e senza concedere a nessuna azienda informazioni e dati. E, soprattutto, permette di far lavorare insieme anche dispositivi che normalmente non risultano compabili.
Tuttavia, finora la piattaforma ha faticato a raggiungere il mainstream. Per buone ragioni. Non esiste, per ora, un hub già pronto all’uso facilmente reperibile. Dovete, invece, spesso installare un RaspberryPi, usare un vecchio PC oppure creare una macchina virtuale sul vostro server casalingo — tutte opzioni che l’utente medio fatica a digerire.
Ma l’ingresso nella nuova organizzazione permette di investire in alcune iniziative che dovrebbero rendere più semplice integrare questa piattaforma.
Hardware dedicato e collaborazioni (oltre a un’interfaccia più semplice)
Con l’arrivo dello standard Matter (voluto sia da Home Assistant che dalle aziende sue rivali) e l’adozione sempre più diffusa della smart home, Home Assistant ha deciso di cambiare marcia. Se quando Paulus Schoutsen programmò la piattaforma si trattava solo di un’opzione per programmatori e appassionati del fai-da-te, ora l’intenzione è di renderla un’alternativa ai vari Alexa e Google Assistant.
Schoutsen ha spiegato a The Verge che le iniziative per realizzare questo obiettivo sono molte. Dal punto di vista dell’hardware, l’hub per la casa intelligente Home Assistant Green arriverà su Amazon, una novità per l’organizzazione. Attualmente, la selezione di negozi che possono vendere il dispositivo resta molto piccola, soprattutto in Europa. Questo dispositivo, a differenza di installare l’assistente su vecchio PC, riconosce rapidamente i dispositivi connessi al vostro WiFi e funziona tramite app smartphone — molto più simile a quanto succede con gli hub di Amazon, Google o Apple
Inoltre, presto dovrebbe arrivare un nuovo dispositivo hardware per il controllo vocale di Home Assistant, sembra entro la fine dell’anno. E poi l’associazione espanderà il programma Home Assistant Works With, che certifica i prodotti compatibili con la piattaforma: basta vedere l’etichetta sulla confezione, come per Alexa o Google Assistant.
Ma ci sono anche novità software. La piattaforma sta collaborando con Nvidia per incorporare un modello di intelligenza artificiale locale nella piattaforma. Niente ricorso al cloud, funziona tutto sulla vostra rete locale. E poi c’è forse la novità più importante: il miglioramento dell’interfaccia utente per rendere Home Assistant più accessibile a tutti i membri della famiglia.
Un assistente pronto all’uso
L’obiettivo di questi sforzi è quello di rendere Home Assistant un’opzione più diffusa e pronta all’uso per gli utenti della casa intelligente, trasformandola in un vero e proprio marchio di consumo. La fondazione sosterrà anche lo sviluppo di prodotti “migliori” per la smart home, con API locali e costruiti in modo sostenibile. Un modo per evitare di essere dipendenti dagli abbonamenti cloud e per conservare i propri dati fra le mura di casa.
Rispetto al lancio nel 2013, quando Home Assistant era solamente qualche linea di codice in Python per controllare in maniera più granulare le luci di Philips Hue, ora è una vera e propria piattaforma. Una piattaforma che, secondo Schoutsen, ha “valori più alti dei soldi. E non siamo in vendita”.
Questo non vuol dire che Home Assistant non ha modi per guadagnare. Oltre a vendere il proprio hardware, ha lanciato anche il progetto for-profit Nabu Casa, che offre il controllo cloud della piattaforma in cambio di un abbonamento mensile. Ma, a differenza di quanto successo con SmartThings (ora proprietà di Samsung), entrare in una no-profit con sede legale in Svizzera vieta, per legge, che qualcuno possa comprare Home Assistant.
La piattaforma vuole restare open source e personalizzabile, soprattutto per chi ha le competenze per programmare funzioni avanzate. Ma sente il bisogno di crescere diventando più facile da usare. Vuole sostituire Alexa o Google Home fra le app sul nostro telefono, senza perdere il proprio “spirito indipendente”.
Riuscirà a farlo? Questo è difficile saperlo. Ma la smart home potrebbe diventare un terreno di sfida tecnologica più aperto al mercato, anche grazie a standard come Matter e piattaforme come Home Assistant, Hubitat e non solo, che provano a sfidare i giganti tech. Con l’intenzione, perlomeno, di farlo senza snaturarsi.
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Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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