A pochi mesi dalla pungente riflessione storica sul patriarcato di The Last Duel, Ridley Scott torna nelle sale con la sua ultima fatica House of Gucci, che utilizza invece la storia di Maurizio Gucci e di sua moglie Patrizia Reggiani, riconosciuta dalla legge come mandante del suo omicidio, per riflettere sull’evoluzione dell’industria e del concetto stesso di immagine negli ultimi decenni. A disposizione del regista britannico c’è una vera e propria parata di stelle, che comprende due monumenti viventi alla recitazione come Al Pacino e Jeremy Irons, due formidabili interpreti del calibro di Adam Driver e Jared Leto e soprattutto la sempre più convincente Lady Gaga, che con una performance in perfetto equilibrio fra cinismo, ferocia e fragilità prenota la sua seconda meritatissima nomination all’Oscar.
House of Gucci è un’opera spiazzante, nel bene e nel male. Chi si aspetta un rigoroso biopic e una fedele ricostruzione della storia di una delle più celebri case di moda, intrecciata con un altrettanto famoso caso di cronaca nera, potrebbe infatti rimanere deluso da una messa in scena che invece non cerca mai né il realismo né la credibilità, presentando allo spettatore una galleria di personaggi respingenti dal punto di vista morale e una messa in scena che allontana continuamente il pubblico dal racconto.
Gli oltre 150 minuti di durata sono infatti scanditi da soluzioni musicali azzardate (David Bowie e George Michael che si mescolano a Luciano Pavarotti e Caterina Caselli), una direzione degli interpreti disorientante (il bizzarro accento italiano di Lady Gaga affiancato da quello non altrettanto marcato di Adam Driver) e una serie di sequenze che giocano apertamente col trash (su tutte, quella in cui Patrizia Reggiani commissiona l’omicidio di suo marito).
House of Gucci: lo spiazzante biopic di Ridley Scott
Per misurare l’attaccamento di Ridley Scott al corso reale degli eventi ci basta evidenziare che House of Gucci ambienta il primo incontro fra Patrizia Reggiani e il rampollo della famiglia Maurizio nel 1978, quando i due hanno invece festeggiato i 6 anni di matrimonio, ed espunge dall’albero genealogico della dinastia la seconda figlia della coppia, Allegra. Disattenzione e superficialità da parte di Scott o voluta distorsione della realtà per esacerbare i contrasti e i paradossi della famiglia Gucci? Noi propendiamo per la seconda ipotesi.
House of Gucci è la cronaca, mai addolcita o consolatoria, del fallimento di una generazione e di una specifica tipologia di business a trazione familiare, sepolte dal diluvio di immagini vere o false (spesso indistinguibili fra loro) che caratterizza la nostra contemporaneità. Non è un caso infatti che il regista abbia scelto per la seconda volta in 4 anni come ambientazione di un suo film (dopo Tutti i soldi del mondo) l’Italia, che come ben sappiamo negli ultimi decenni ha venduto molti dei propri brand più importanti a fondi esteri. Ancora meno fortuita è la decisione di Scott di concentrarsi su un marchio di moda, quintessenza dell’illusione e della superficialità, e su una famiglia che ha letteralmente dilapidato la propria fortuna, fino al punto di essere totalmente estromessa dalla propria creatura, come ci ricordano gli eloquenti titoli di coda.
L’autodistruzione dei Gucci
Per inscenare l’autodistruzione dei Gucci, il regista si affida a dei veri e propri relitti umani, ognuno dei quali è esplicativo di una caratteristica che porta al fallimento personale e lavorativo. Abbiamo infatti i due patriarchi Rodolfo (Jeremy Irons) e Aldo (Al Pacino) Gucci, rispettivamente rinchiusi nella celebrazione di un passato ormai defunto e nell’ostentazione di una sicurezza affaristica non supportata dalle effettive qualità; un erede al trono (il Paolo Gucci di Jared Leto) che nonostante la propria manifesta inadeguatezza conserva velleità artistiche e manageriali; un altro erede più defilato e sostanzialmente passivo (Maurizio) spinto nelle fauci di un sistema spietato e corrotto dall’arrivista moglie; infine, l’elemento alieno Patrizia Reggiani, predatrice in un habitat di predatori, ma troppo instabile per reggere il continuo saliscendi del mondo degli affari.
In questo museo degli orrori, Scott ambienta quello che è allo stesso tempo un dramma familiare, un noir moderno, una farsa shakespeariana, un gangster movie al contrario e una sgraziata commedia, lavorando ai fianchi lo spettatore. Mentre ci concentriamo sul rapporto fra Patrizia e Maurizio, il regista ci mostra la polvere sotto il tappeto di un intero sistema, evidenziando i sotterfugi finanziari su cui si regge il business, il totale distaccamento dalla realtà da parte dei suoi protagonisti e le contraddizioni alla sua base. Simbolico in questo senso è il dialogo fra una Patrizia visibilmente scossa per la dilagante contraffazione dei capi firmati Gucci e un serafico Aldo, che spiega senza indugio come le imitazioni siano parte integrante del giro di affari di un marchio, sottolineando di conseguenza il legame sempre più inscindibile fra vero e falso, fra reale e copia.
House of Gucci: fra rappresentazione e realtà
Con la sua ricercata artificiosità, House of Gucci si rivela paradossalmente una delle recenti produzioni cinematografiche più vere, capace di indagare con lucidità e acutezza sul profondo mutamento dell’industria e sul nostro legame con essa. A soffrire della coraggiosa scelta di Ridley Scott è proprio il pretesto per l’intera operazione, cioè la storia fra Maurizio Gucci e Patrizia Reggiani, che nonostante la messa in scena volutamente pacchiana del regista si rivela ben più ordinaria del suo contesto.
Ancora una volta, l’uomo che con Alien ha affrontato le nostre più profonde paure nello spazio profondo, che con Blade Runner ha esplorato etica e filosofia in un futuro distopico e che con Thelma & Louise ha trasformato un road movie in un inno all’autodeterminazione e all’indipendenza, racconta abilmente i vizi della nostra società in un ambiente apparentemente lontano dalla nostra quotidianità.
In conclusione, un’emblematica curiosità: a interpretare la sensitiva Pina Auriemma, confidente e complice di Patrizia, è una divertente e divertita Salma Hayek, che nella vita reale è sposata con l’amministratore delegato di Kering François-Henri Pinault. Fra i principali marchi controllati da questo gruppo, c’è proprio Gucci. L’ennesimo sberleffo di un’opera che fa della parodia e dell’esasperazione la propria cifra artistica.
House of Gucci è nelle sale italiane dal 16 dicembre, distribuito da Eagle Pictures.
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