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Internet fatta a pezzi: la nostra recensione del volume di Bertola e Quintarelli

Che fine ha fatto la Rete libera?

I lettori di Tech Princess si trovano spesso a leggere articoli che riguardano una delle questioni capitali che riguardano la Rete.

Questione capitale e così spesso dibattuta da finire per essere, forse, disconosciuta. L’ultimo esempio in ordine di tempo è dato dalla decisione della nostra AGCM di aprire un’istruttoria nei confronti di Apple per presunta posizione dominante nel mercato delle app.

Qui siamo di fronte al tentativo delle cosiddette big tech di espandere il proprio dominio, a cui si contrappone l’intervento degli organi di regolamentazione di dare dei confini e delle norme.

Per prendere una cornice ancor più generale, questo atteggiamento dei colossi del comparto tech è solo una delle più recenti (e perverse) declinazioni di una dicotomia sempre più palese. Quella tra chi sogna Internet come un luogo di assoluta libertà che travalica ogni confine nazionale e sociale, e chi tenta invece – per interessi di diverso tipo – di frazionare la Rete.

Internet fatta a pezzi cover

Internet fatta a pezzi. Gli autori

Di questa dicotomia parla Internet fatta a pezzi. Sovranità digitale, nazionalismi e big tech, scritto da Vittorio Bertola e Stefano Quintarelli e uscito per Bollati Boringhieri nel marzo del 2023.

Vittorio Bertola, ingegnere, esperto di policy e attivista per i diritti digitali, è attualmente Head of Policy & Innovation per Open-Xchange, leader mondiale nelle piattaforme di software libero per la posta elettronica e il DNS.

Stefano Quintarelli, imprenditore informatico, è stato presidente dell’Advisory group on advanced technologies per il commercio e l’e-business per le Nazioni Unite (CEFACT), componente del Gruppo di esperti ad alto livello sull’Intelligenza Artificiale per la Commissione Europea e presidente del Comitato di indirizzo dell’Agenzia per l’Italia digitale. Ha ideato Spid.

Dal giardino incantato alla bolla

Internet fatta a pezzi si domanda dov’è finita quella spinta libertaria, forse un po’ ingenua, che ha accompagnato gli albori di Internet, quando la Rete sembrava una sorta di sconfinato giardino incantato.

Oggi, invece, le “piattaforme ci proiettano in una bolla di relazioni e di informazioni controllata e gestita da algoritmi, una bolla che ci appare come il mondo mentre in realtà ne è solo un piccolissimo scorcio, visto da un oblò algoritmico attraverso una lente distorcente” (p. 15).

Cosa è successo, insomma, da allora a oggi?

Internet aperta

Con un breve excursus storico, il libro ci ricorda come gli entusiasmi dei pionieri della Rete hanno portato alla produzione di software liberi, nell’illusione più generale che si potesse dare luogo a un’Internet aperta, con contenuti “disponibili a chiunque, non soggetti a brevetti o a vincoli di proprietà intellettuale” (p. 23).

Sino ad arrivare a un documento del 1996, la Dichiarazione di indipendenza del cyberspazio, presentata al World Economic Forum di Davos.

Ma si era agli inizi di un fenomeno, di cui non era ancora possibile capire sino in fondo la portata e gli sviluppi. E gli interessi in gioco.

Fine del sogno

La fine del sogno di una Rete aperta, democratica e capace di “bucare” i confini nazionali corrisponde, semplicemente, alla fine dell’infanzia.

E quindi, più in concreto, alla presa di coscienza di quanto Internet sarebbe stata pervasiva delle nostre vite, con tutte le possibilità di guadagnano e i rischi connessi.

Sono successe (semplificando sino alla brutalità) due cose. Intanto, l’ingresso delle grandi aziende private (Amazon, Yahoo! e quella che sarebbe diventata eBay sono del 1995). Che acquisteranno sempre più potere, sino a prendere l’attuale forma delle Big tech, capaci – come da citazione da noi estrapolata qualche riga più su – di segmentare le immense praterie della Rete calibrandole sulle esigenze di ogni singolo utente.

E poi le decisioni dei singoli Paesi, che sono restrittive in tre direzioni differenti.

La prima, intrapresa dalla Cina già a partire dall’anno 2000, è per così dire liberticida e protezionista assieme: punta a rendere inaccessibile parte delle informazioni globali, e a favorire luoghi virtuali alternativi di matrice autoctona.

La seconda è quella per cui gli Stati, attraverso la cosiddetta sovranità digitale, applicano regole che “afferiscono a tutte le prerogative fondamentali di uno Stato che voglia dirsi sovrano e indipendente: la sicurezza esterna e interna, la tassazione, la regolamentazione dei mercati, la gestione dei media, l’anagrafe” (p. 75).

Infine ci sono i tentativi, si pensi soprattutto all’Unione Europea, di tutelare i cittadini dallo strapotere dei colossi tech.

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Quale soluzione?

Insomma: la sovranità nazionale e l’avidità dei privati sono i due acerrimi nemici di una Rete sovranazionale e davvero libera.

È recuperabile, almeno in parte, quella condizione primitiva?

L’unica soluzione proposta da Internet fatta a pezzi è, paradossalmente, quella dell’equilibrismo: “È ciò che in fondo sta facendo l’Europa, che cerca di sviluppare aziende Internet ma anche di limitare la libertà di manovra di quelle esistenti, per ripristinare la propria sovranità ma anche per combattere gli analoghi tentativi di nazioni autoritarie. Un mercato digitale unico, libero e competitivo, ma anche una supremazia dei valori e dei diritti umani sul mercato stesso” (p. 136).

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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