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“Ho sentito un juke-box che suonava”. La macchina del tempo

Una monetina nella fessura, ed era subito atmosfera

“Mi ricordo che anni fa / Di sfuggita dentro un bar / Ho sentito un juke-box che suonava”.

Così cantava Edoardo Bennato in “Sono solo canzonette”. Eravamo nel 1980, e già allora il juke-box era considerato vintage, o quanto meno mitico. Insomma, era già un oggetto con una sua storia e una sua leggenda, capace di suscitare emozioni e nostalgie come una madeleine proustiana.

Potremmo poi citare a memoria almeno una dozzina di film in cui appare un juke-box. Ma ve ne indichiamo solo due, che abbiamo amato, lasciando a voi il piacere di scoprire dove appaia l’oggetto del nostro articolo: uno è “Bianca” di Nanni Moretti, l’altro è “Once were warriors” di Lee Tamahori.

Non stiamo divagando, ma solo dimostrando quanto il juke-box abbia fatto presa nell’immaginario di generazioni.

Scopriamo cos’è il juke-box, e perché – nella sua romantica ingenuità – ci ha conquistato.

Il juke-box

Intanto, partiamo dalla forma: si può scrivere juke-box o jukebox, ma la sostanza non cambia.

Stiamo sempre parlando di quell’apparecchio collocato nei locali pubblici che, dopo l’inserimento di una moneta e una scelta che a volte durava ore e rovinava amicizie, permetteva la riproduzione di un brano musicale.

Seeburg Model 1004 juke box

Brevissima storia del juke-box

In questa rubrica, come già detto e ripetuto, contano le emozioni, mica la filologia.

Ci basti sapere che il juke-box ha origini inopinatamente remote. Nasce infatti addirittura nel 1890, e per decenni – soprattutto dal secondo dopoguerra agli anni Novanta del secolo scorso – è stato un’icona.

O meglio, un simbolo un po’ facilone di ritrovata serenità e spensieratezza proprio dopo i disastri della Seconda guerra mondiale. Che, peraltro, ha imposto uno stop alla produzione di juke-box, essendo le aziende chiamate a convertire i loro macchinari alla produzione di materiale bellico.

Ma dopo la fine della guerra ci si poteva nuovamente socializzare. Si potevano affollare i bar e, grazie ai juke-box, ballare al ritmo delle canzoni di moda al momento.

E se un juke-box non funzionava, poco male. Come abbiamo imparato in Happy Days, spuntava Fonzie e con un pugno ben assestato faceva partire la canzone più in voga.

I juke-box, quelli veri

Questo, almeno, è quello che ci hanno fatto credere le pubblicità e i prodotti di consumo per famiglie.

In realtà, il juke-box ha certamente avuto un suo primo periodo aureo. Era sorprendente, nei primi decenni del Novecento, l’idea di avere a portata di moneta un marchingegno che permetteva di selezionare una canzone e di far scatenare i ballerini presenti, disinteressati di ciò che capitava nel mondaccio là fuori.

Ma già ai tempi di Bennato, quel modo di vivere il juke-box era un ricordo che la fantasia e la malinconia rendevano più limpido di quanto in realtà fosse.

Negli anni della nostra gioventù, invece, il più delle volte i juke-box erano collocati in affollatissimi locali di periferia. Una volta raggiunto a fatica l’apparecchio, nel caso rarissimo che ci fosse la canzone desiderata, selezionarla non significava affatto ascoltarla. Perché i decibel che fuoriuscivano dalle casse non arrivavano nemmeno a lambire quelli del gruppo di motociclisti avvinazzati o degli ultras del tavolo a fianco, che stavano organizzando la trasferta della domenica seguente.

Quando si carpiva qualche nota, si alzava l’indice, si oscillava la testa festanti e si guardava con orgoglio verso gli amici festanti. Che però, immersi in chissà quali considerazioni, non consideravano né noi né la nostra hit.

Il canto del cigno: i video jukebox

Non vi riassumiamo qui quanto già detto e ripetuto quando abbiamo parlato delle musicassette o dei walkman. Ovvero che l’avvento delle nuove tecnologie, compact disc prima e Mp3 poi, ci hanno fatto salutare i vinili (riapparsi poi come materiale vintage) e le musicassette.

Tuttavia, a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta, i juke-box sono stati rivitalizzati per qualche tempo da una commistione di antico e moderno, che ha dato vita ai video juke-box.

L’estensore di questo articolo si ricorda di serate su serate, grazie anche alla spinta di boccali di buona birra alla spina, a ridere senza ritegno ascoltando allo sfinimento “Servi della gleba” di Elio e le storie tese, incollati allo schermo tra gli sguardi attoniti degli altri avventori.

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Il juke-box tra modernità e culto

Il juke-box è un perfetto esempio di come i progressi della tecnologia riescano, nel giro di pochi decenni, a trasformare in oggetto di culto (per… meriti storici) ciò che prima era considerato un approdo quasi fantascientifico.

Non ci stupiremmo se, come per il vinile, nei prossimi anni il juke-box avesse una seconda giovinezza. E così i nostri figli e nipoti si troveranno intorno a questi apparecchi ingombranti e coloratissimi, a scegliere una canzone, col sorriso compiaciuto di chi pensa a quanto fossero ingenui i loro padri.

Quanto ci siamo divertiti, però.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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