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La cosa compie 40 anni: l’incubo apocalittico di John Carpenter è più attuale che mai

Il nostro omaggio a una pietra miliare del cinema horror-fantascientifico.

Una sinistra e inospitale base scientifica statunitense in pieno Antartide, dove 12 uomini convivono con la noia e con la solitudine. Un fiero siberian husky che corre in mezzo alla neve, cercando di sfuggire ai colpi di fucile di un gruppo di ricercatori norvegesi. La violenza che deflagra, portando alla morte dei norvegesi e mettendo al sicuro sia gli americani sia il cane apparentemente innocuo che gli ha fatto visita. È questo il folgorante incipit de La cosa di John Carpenter, pilastro del cinema horror-fantascientifico che oggi formalmente compie 40 anni, ma che in realtà non è invecchiato di un solo giorno dal momento del suo esordio sul grande schermo.

Nello stesso 1982 che ha dato i natali ad altre due pietre miliari della fantascienza come E.T. l’extra-terrestre e Blade Runner (quest’ultimo uscito addirittura lo stesso giorno), John Carpenter dà vita con La cosa a una riflessione cupa e pessimista sul genere umano, punto di partenza della sua cosiddetta Trilogia dell’Apocalisse che proseguirà con Il signore del male per poi concludersi con Il seme della follia.

La base del progetto è il racconto di John W. Campbell La cosa da un altro mondo, pubblicato nel 1938: una storia di alienazione e paranoia, scaturita dal risveglio di una temibile creatura aliena da un sonno lungo milioni di anni fra i ghiacci antartici. Non è però difficile scorgere fra le pieghe de La cosa l’eredità di due punti di riferimento per il cinema di John Carpenter, cioè Howard Phillips Lovecraft, che con il suo Alle montagne della follia ha chiaramente influenzato proprio La cosa da un altro mondo, e Howard Hawks, che nel 1951 ha dato vita insieme a Christian Nyby al primo adattamento per il grande schermo dell’opera di John W. Campbell.

La cosa: John Carpenter e l’eredità di Howard Hawks

Anche se John Carpenter non avesse più volte ribadito l’importanza della filmografia di Howard Hawks per la sua carriera, non ci sarebbe bisogno di viaggiare molto con la fantasia per trovare dei punti di contatto fra questi due straordinari registi. Il secondo film di Carpenter Distretto 13 – Le brigate della morte è praticamente un remake in salsa urbana del capolavoro di Hawks Un dollaro d’onore; nel successivo Halloween – La notte delle streghe, Carpenter si spinge ancora più in là, mostrando platealmente proprio uno spezzone de La cosa da un altro mondo, anticipando di fatto il progetto che vedrà la luce appena 4 anni più tardi.

Mentre Hawks e Nyby avevano necessità di confrontarsi con le fragilità dei primi anni ’50 e di dare un volto alle paure del popolo statunitense dell’epoca, fornendo un imponente corpo alla creatura aliena che rappresentava genericamente il diverso, Carpenter rimane fedele al racconto originale, mantenendo intatta la natura mutevole e pressoché invisibile della creatura aliena e sfruttando queste caratteristiche per una rivisitazione in chiave orrorifica e paranoica delle dinamiche alla base dell’intramontabile Dieci piccoli indiani di Agatha Christie.

Ma Carpenter si spinge ancora oltre. Il regista riesce infatti a intercettare sia la crescente paura per un altro patogeno invisibile come l’HIV, individuato per la prima volta proprio all’inizio degli anni ’80 (in una scena i protagonisti de La cosa fanno addirittura una sorta di esame del sangue per individuare chi è infetto), sia il clima di diffidenza e sospetto sempre più imperante, già rappresentato in chiave allegorica con lo stesso Halloween – La notte delle streghe e con Fog, dove le minacce arrivavano rispettivamente da un assassino senza volto e dalla nebbia.

Paranoia e mancanza di fiducia

La cosa John Carpenter

I 12 ospiti della base in Antartide (12 come gli apostoli, volendo avventurarsi in parallelismi biblici, o come i 12 Angry Men de La parola ai giurati di Sidney Lumet, altra strepitosa declinazione dell’isolamento e del conflitto morale) decidono di fare luce su quanto accaduto, avventurandosi nel quartier generale ormai deserto dei colleghi norvegesi. Una volta giunti sul posto, trovano segni inconfutabili di violenza, nonché il cadavere di una misteriosa creatura, che sembra provenire da un altro tempo e da un altro pianeta (con i primi fotogrammi de La cosa, John Carpenter ci ha mostrato l’arrivo sulla Terra di un’astronave).

Nel frattempo, il regista compie un lavoro prodigioso sul cane, facendoci percepire la natura tutt’altro che confortante dell’animale con lente e suggestive inquadrature, mettendoci al tempo stesso nei panni dei membri della base scientifica statunitense, che ben presto non sanno più di chi fidarsi. Il siberian husky è infatti stato infettato dalla cosa, che ha la capacità di assumere le sembianze dell’organismo che la ospita in attesa di trovare un nuovo corpo da attaccare. Una perversa commistione fra l’attività di un qualsiasi virus e una delle più ataviche paure dell’essere umano, cioè non conoscere la vera natura di chi ci sta accanto.

La scoperta della natura della cosa ha due conseguenze immediate, altrettanto inquietanti: i protagonisti non possono più dare fiducia a nessuno, neanche a loro stessi; allo stesso tempo, il loro destino è segnato, dal momento che, secondo un’accurata simulazione, la creatura potrebbe arrivare a contagiare e annientare buona parte dell’umanità nel giro di pochissimo tempo.

La cosa: le musiche di John Carpenter ed Ennio Morricone

La cosa John Carpenter

Su queste basi, il regista mette in scena un’opera angosciante e priva di speranza, in cui il terrore più ancestrale si fonde con la severità e con la desolazione del paesaggio antartico, dando vita a un vero e proprio incubo nei ghiacci, capace ancora oggi di sconvolgere e terrorizzare ogni tipologia di spettatore. Un lavoro capace di fondere la fantascienza con l’horror e la tensione tipica del thriller con i contrasti fra personaggi che costituiscono la base del western.

Proprio dalla storia del western, La cosa pesca un compositore d’eccezione come Ennio Morricone, scelto da John Carpenter per dare vita a un memorabile connubio fra le partiture orchestrali tipiche del Maestro e le sonorità synth che lo stesso regista è solito realizzare per le sue opere. Il risultato è una colonna sonora genuinamente sinistra, che nonostante la ridicola candidatura ai Razzie Awards conferita a Morricone è tuttora un fulgido esempio di perfetta commistione fra suono e immagine.

Sempre dal western arriva anche la figura dell’anti-eroe MacReady, interpretato con il solito proverbiale carisma dal sodale di Carpenter Kurt Russell, reduce dai successi di Elvis, il re del rock e 1997: Fuga da New York insieme al regista. Un personaggio incerto, fallibile e costantemente fuori posto, che sembra quasi anticipare il grottesco e demenziale Jack Burton di Grosso guaio a Chinatown, altra memorabile collaborazione fra Russell e Carpenter.

Gli effetti speciali de La cosa di John Carpenter

John Carpenter si inserisce nella scia dell’Alien di Ridley Scott, trascinando lo spettatore in un’avventura macabra e malsana, in cui le atmosfere claustrofobiche e la costante inquietudine si affiancano a improvvise scariche di raccapriccio, che strizzano l’occhio al body horror caro a David Cronenberg, Frank Henenlotter e Stuart Gordon. Monumentale in questo senso il lavoro dell’effettista allora ventitreenne Rob Bottin, che ha curato insieme alla sua squadra le svariate apparizioni in diverse sembianze della creatura, dando vita a veri e propri capolavori di artigianalità, che non temono il passare del tempo e i sempre più rapidi progressi della CGI.

Le orripilanti mutazioni con cui la cosa squarcia letteralmente i corpi che la ospitano sono ancora oggi alcune delle migliori traduzioni in immagini mai viste delle opere di Lovecraft e di tutto l’immaginario ispirato allo scrittore di Providence. I granguignoleschi mostri di Bottin non sono però né un mero sfoggio di tecnica né un modo per colpire comodamente alle viscere lo spettatore. Dietro l’orrore e la truculenza c’è infatti un sopraffino lavoro sui dettagli, attraverso i quali comprendiamo la capacità della creatura di portare costantemente con sé pezzi degli organismi precedentemente visitati.

Una dinamica che apre a scenari ancora più spaventosi, che travalicano persino la stessa opera di John Carpenter: con tutto il tempo del mondo a propria disposizione, la cosa si è trasformata nella raggelante sommatoria dei molteplici organismi che ha attraversato. Ci troviamo così di fronte a un concetto di male cosmico atemporale e multiplanetario, raramente tratteggiato con questa forza sul grande schermo.

I collegamenti con la contemporaneità

La cosa John Carpenter

A scuotere l’animo dello spettatore de La cosa è inoltre la connotazione sociale e politica dell’opera di John Carpenter, ancora più evidente durante una pandemia che ha indelebilmente segnato la storia del genere umano. In un momento storico di inevitabile quanto tardiva attenzione per l’ambiente e per le catastrofi indotte dal cambiamento climatico, l’idea di un patogeno che trova nuova linfa grazie al disgelo dei ghiacci sfonda purtroppo i confini della finzione per trasformarsi in un futuribile monito per l’intera umanità. Allo stesso tempo, il clima di sospetto e le reazioni sempre più rabbiose dei membri della stazione antartica ricordano i momenti più difficili della pandemia di Covid-19, quando anche un piccolo contatto con una persona cara rappresentava un potenziale rischio per la propria incolumità.

Ancora più sconfortante è l’allegoria del genere umano che emerge prepotentemente da La cosa. Anche se non tutti i personaggi sono caratterizzati in profondità, è facile scorgere diversi archetipi, come quello dello scienziato cinico e pessimista, del leader fiero e autoritario o del timido e solitario amante degli animali. Scampoli di umanità accomunati dall’incapacità di fare squadra e dalla tendenza a diffidare di chiunque, con conseguenze nefaste per la collettività. Naturale associare il disfacimento della base U.S. Outpost #31 alla disgregazione sociale conseguente a ogni momento di crisi per piccole e grandi comunità, che invece di imparare dai propri errori e costruire un futuro più equo e solidale si ritrovano invariabilmente ancora più lacerate e divise di prima.

La fredda accoglienza del pubblico

Come accaduto a molti capolavori, anche La cosa all’epoca dell’uscita ebbe un’accoglienza tiepida, con un incasso di poco inferiore ai 20 milioni di dollari a fronte di un budget stimato in 15 milioni. Non fu sicuramente utile alla causa la contemporanea uscita in sala di Blade Runner, ma a pesare sul risultato del lavoro di John Carpenter fu soprattutto l’uscita del già citato E.T. l’extra-terrestre di Steven Spielberg, che incassò invece quasi 360 milioni di dollari in tutto il mondo, imponendo nell’immaginario collettivo la figura di un alieno buono, simbolo di pace e cooperazione fra diversi popoli, e relegando al ruolo di antagonisti il governo statunitense e il mondo degli adulti.

Al contrario, l’alieno noto come La cosa è la personificazione stessa del male puro, mosso dal mero istinto di sopravvivenza e dalla sua eterna sete di corpi da infettare. Inoltre, mentre Spielberg ci fa sentire capaci di essere migliori e di mettere da parte odio e pregiudizi, Carpenter compie una riflessione di segno opposto, sottolineando invece a più riprese la meschinità e la follia che contraddistinguono l’approccio del genere umano a situazioni critiche, e lasciandoci attoniti e incapaci di vedere anche il minimo raggio di luce in fondo al tunnel. Un cinema politico nel senso stretto del termine, non a caso interpretato da soli uomini alle prese con i problemi tipici del maschilismo più tossico, come il timore di non essere un vero duro o di essere respinti dal resto del branco.

L’eredità de La cosa di John Carpenter

La cosa John Carpenter

Fortunatamente, il tempo ha restituito a La cosa e John Carpenter la fama e il rispetto che il passaggio in sala non aveva portato. Nonostante questo insuccesso commerciale, il regista ha continuato a esplorare le criticità del genere umano con altre opere memorabili, mentre La cosa ha iniziato a ispirare nuove generazioni di cineasti, grazie alla crescente popolarità dell’opera nel circuito home video. Il più famoso fra questi è indubbiamente Quentin Tarantino, che ha più volte ammesso il suo debito di riconoscenza verso La cosa per la sua opera prima Le iene e per il più recente The Hateful Eight, per il quale ha addirittura selezionato brani di Ennio Morricone scartati da Carpenter.

Oggi, questo lavoro disperato e pessimista è considerato pressoché all’unanimità come una delle opere più determinanti per il cinema di genere e non solo. Contemporaneamente, il corso della storia purtroppo non ha fatto altro che rendere La cosa sempre più attuale: il corrosivo epilogo, in cui i due superstiti si avviano alla morte per assideramento incapaci di capire chi sono, qual è la vera natura del loro compagno e cosa succederà nei minuti successivi, è il simbolo perfetto di quest’epoca così incerta e preoccupante. Le ultime parole di MacReady («Perché… Non aspettiamo qui ancora un po’… E vediamo che succede?») risuonano come un chiaro presagio di sventura e racchiudono l’intero senso di un’opera che, anche dopo 40 anni, non smette di ammaliarci, spaventarci e proporci profondi interrogativi sulla nostra stessa natura.

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  • Capolavoro di Carpenter

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