«Maybe I’m not good enough». Forse non sono abbastanza brava. È la voce dell’incantevole Mia Dolan di Emma Stone a esplicitare uno dei temi portanti di La La Land, cioè la sindrome dell’impostore che attanaglia i millennials. Un sentimento figlio della cronica insoddisfazione di un’intera generazione, costantemente all’inseguimento dei propri sogni e quasi sempre costretta a mortificanti compromessi e disarmanti sacrifici, in modo da lasciarsi almeno una piccola porta aperta verso la felicità e l’appagamento professionale. Su queste tematiche, e su due protagonisti già scolpiti nell’immaginario collettivo, Damien Chazelle incentra un formidabile musical moderno, che riesce a essere al tempo stesso toccante storia d’amore, ennesima declinazione dell’ossessione tanto cara al regista e acuta riflessione sui possibili punti d’incontro fra passato e presente, fra tradizione e modernità.
A fare da cornice a questo memorabile progetto è la fabbrica dei sogni per eccellenza, ovvero la Città degli Angeli, già teatro del precedente appuntamento con Il filo nascosto Fuga da Los Angeles. Una metropoli che in questo caso sprigiona tutto il suo abbagliante fascino, mostrando però anche il suo lato negativo, rappresentato dai tanti sogni spezzati che popolano i bar, i locali notturni e i set delle storie da noi tanto amate.
Al centro di La La Land ci sono Sebastian Wilder (un ottimo Ryan Gosling) e Mia Dolan, due sognatori costretti a fare quotidianamente i conti con la realtà. Lei vuole fare l’attrice, ma fra un umiliante provino e l’altro serve bevande nella caffetteria dei Warner Studios, esattamente di fronte al set di una celebre scena di Casablanca; lui è un abile pianista appassionato di jazz, che desidera aprire un locale tutto suo ma si adatta a fare pianobar. Il loro casuale incontro è un incrocio di anime e ambizioni affini, a cui si oppone un ambiente cinico e competitivo.
La La Land: i timori di una generazione fra dolci illusioni e sogni infranti
La La Land si apre sul traffico di Los Angeles, simbolo per eccellenza della frenesia moderna, con uno strepitoso numero musicale in piano sequenza che dialoga a distanza con l’8½ di Federico Fellini, perfetto per definire il contesto del racconto, ovvero Another Day of Sun nella capitale del cinema e dello spettacolo. Fra occhiatacce e colpi di clacson, avviene il primo incontro fra Mia e Sebastian, destinati a incrociarsi ancora più volte, in un tira e molla sentimentale scandito dallo scorrere delle stagioni. Persa fra mille occasioni mancate e noiose feste hollywoodiane lei, afflitto dalla musica commerciale che è costretto a suonare in un ristorante lui. Un dialogo apparentemente impossibile, trasformato in realtà da una melodia dolce e malinconica (Mia & Sebastian’s Theme, una delle vette della pregevole colonna sonora di Justin Hurwitz), che sembra quasi fungere da richiamo fra i due.
Non può che essere il musical, uno dei generi fondamentali per il cinema narrativo classico, a fare da cornice al nascente sentimento di Mia e Sebastian. Li vediamo cantare e ballare sulle colline di Hollywood e sedersi in una panchina nell’iconico Cathy’s Corner, riviviamo con loro il mito di James Dean in Gioventù bruciata e li seguiamo nell’Osservatorio Griffith, all’interno del quale si librano insieme nell’aria in un emozionante ballo, in una delle tante contaminazioni fra realtà e fantasia del racconto. Il loro è un amore fra sconfitti, un raggio di abbagliante bellezza in un’esistenza fatta di delusioni e amarezze.
Un viaggio nella storia del musical
Damien Chazelle mette in pratica la lezione impartita da opere da Un americano a Parigi, Cantando sotto la pioggia, Spettacolo di varietà, Les Parapluies de Cherbourg e Sweet Charity – Una ragazza che voleva essere amata (tutte omaggiate a vari livelli in La La Land), mettendo le dinamiche del musical al servizio di una storia contemporanea, perfettamente calata nel mondo di oggi. Un confronto inattuabile e per certi versi ingeneroso, di fronte al quale il regista china implicitamente il capo, mettendo due attori puri come Ryan Gosling ed Emma Stone, comunque più che dignitosi nel ballo e nel canto, all’interno dello stesso terreno di gioco che fu di Gene Kelly, Fred Astaire e Ginger Rogers.
Una scelta apparentemente quasi blasfema, che funge invece da sponda narrativa e cinematografica per una riflessione lucida e disincantata sul nostro rapporto con i classici e con il passato, quantomai attuale per il panorama dell’intrattenimento odierno. È un noto esponente della musica contemporanea come John Legend (coinvolto in La La Land come attore, produttore esecutivo e autore del brano Start a Fire) a renderla manifesta nel momento in cui il suo personaggio sprona Sebastian a seguirlo in un progetto decisamente commerciale: «Dici di voler salvare il jazz. Come salvi il jazz, se non lo ascolta nessuno? Il jazz muore per colpa di quelli come te. Tu suoni per i novantenni del Lighthouse, ma dove sono i giovani? Sei ossessionato da Kenny Clarke e Thelonious Monk. Loro erano rivoluzionari, tu come puoi essere un rivoluzionario se sei così tradizionalista? Ti aggrappi al passato, ma il jazz parla di futuro».
Parole emblematiche e calzanti per l’industria cinematografica odierna, nelle quali si legge uno spunto autobiografico dello stesso Chazelle, che già coi suoi precedenti lavori aveva dialogato col passato in chiave moderna.
La La Land: fra ambizioni e compromessi
È Sebastian il primo ad assistere allo scontro fra una visione pura della sua passione e i compromessi che il mondo reale impone. Dopo anni passati a sbarcare il lunario fra festicciole collegiali e pianobar, gli viene offerta la possibilità di guadagnare ingenti somme, a patto di aprirsi alla modernità. Sebastian deve così incanalare la sua musica all’interno di un contesto ben più accattivante, fatto di ballerine, coristi e luci stroboscopiche, ben lontano dai polverosi club in cui è solito ascoltare il suo amato jazz.
Tutto questo avviene proprio quando Mia rifiuta totalmente il compromesso, dicendo addio per sempre ai caffè serviti alle star e alle corse a perdifiato per arrivare in tempo all’appuntamento con provini immancabilmente catastrofici. Un percorso tutt’altro che appagante, almeno nelle prime battute, dal momento che porta la protagonista a una situazione economica precaria e a delusioni ancora maggiori, dal momento che inizialmente nessuno sembra provare interesse per i monologhi teatrali a cui dedica gran parte del proprio tempo.
Emergono quindi le prime crepe in un rapporto che sembrava idilliaco, con Mia che rinfaccia a Sebastian di avere svenduto i propri sogni per la sicurezza economica (emblematiche le espressioni della ragazza durante il primo spettacolare concerto del compagno) e lui che replica con la crudele battuta «Forse mi preferivi quando ero nella merda, perché ti faceva sentire migliore di me».
L’ossessione secondo Damien Chazelle
Dopo aver messo in scena una celebrazione della passione e della vitalità, Damien Chazelle fa cambiare forma a La La Land, trasformandolo in una dolorosa rappresentazione del difficile equilibrio fra l’amore e l’affermazione professionale. Non a caso, il regista mette in secondo piano le dinamiche tipiche del musical (torneranno solo nel what if finale) e abbraccia atmosfere più cupe e realistiche, fino a quel “Forse non sono abbastanza brava”. Poche parole, capaci di descrivere alla perfezione la paura più grande di un’intera generazione: arrangiarsi con lavoretti per sbarcare il lunario e investire tutto il proprio tempo libero nella ricerca di un sogno è l’unica strada possibile per la gloria o è invece un sintomo di atavica mancanza di capacità?
La struggente esecuzione di Audition (The Fools Who Dream) da parte di Emma Stone (meritevole di uno dei 6 premi Oscar conferiti a La La Land) ci riconcilia col grande cinema e con la speranza che a separarci dal successo siano solo l’impegno e la caparbietà. Una visione ottimistica e consolatoria che fa da contraltare all’epilogo della storia di Mia e Sebastian, destinati a essere appagati professionalmente solo separati. Ancora una volta un’ossessione capace di annichilire tutto il resto ritratta da Chazelle, dopo i batteristi Andrew Neiman e Terence Fletcher in Whiplash e prima del Neil Armstrong di First Man – Il primo uomo (interpretato ancora da Ryan Gosling), disposti a tutto per spingersi oltre i confini dei rispettivi mondi.
L’epilogo di La La Land
Pressoché inevitabile per un’opera che cita a più riprese l’immortale Casablanca una conclusione dolceamara per i due protagonisti. Tutto finisce dove era cominciato: un pianoforte che suona una commovente melodia e un aspirante jazzista concentrato su di esso, felice per aver trasformato in realtà il progetto di una vita ma attraversato da un filo di malinconia; una star sulla cresta dell’onda e sentimentalmente realizzata, che però non può dimenticare ciò che è stato e quell’ingenuo “Ti amerò per sempre”, pronunciato prima che la sua vita prendesse la direzione da lei ardentemente desiderata.
Ma prima di abbandonare per sempre Mia e Sebastian alle loro vite c’è tempo per un ultimo giro di valzer e per chiedersi cosa sarebbe successo se avessero preso un’altra strada e se quel “No” alla fama fosse stato più perentorio. Ed è qui che Damien Chazelle raggiunge i suoi punti di riferimento, mettendo la musica e le immagini al servizio del racconto e trasportandoci sulle ali della fantasia in un sognante viaggio di pochi minuti, chiaro omaggio all’epoca del CinemaScope e del Technicolor.
Quell’indimenticabile scambio di sguardi finale
Fra Mia e Sebastian non servono parole, basta uno scambio di sguardi già indelebilmente scolpito nella storia del cinema. Un sorriso velato da un filo di commozione, in cui oltre alla nostalgia c’è tutto quello che i due devono sapere: reciproca riconoscenza per essersi supportati a vicenda, felicità per la soddisfazione dell’altro, consapevolezza che quell’amore non svanirà mai del tutto.
Un epilogo agrodolce e indimenticabile, su cui involontariamente si è sovrapposta la cerimonia degli Oscar del 2017, con una statuetta per il miglior film consegnata a La La Land e riassegnata pochi secondi dopo al legittimo proprietario Moonlight, in una delle più clamorose figuracce dell’Academy. L’ultima illusione infranta a cui siamo comunque autorizzati a credere, proprio come la star del cinema Mia Dolan quando ripensa alla sua vita all’interno del Seb’s, simulacro di un amore incompiuto ma incancellabile.
And here’s to the fools who dream
Crazy as they may seem
Here’s to the hearts that break
Here’s to the mess we make
Il filo nascosto nasce con l’intento di ripercorrere la storia del cinema nel modo più libero e semplice possibile. Ogni settimana un film diverso di qualsiasi genere, epoca e nazionalità, collegato al precedente da un dettaglio. Tematiche, anno di distribuzione, regista, protagonista, ambientazione: l’unico limite è la fantasia, il faro che ci guida è l’amore per il cinema. I film si parlano, noi ascoltiamo i loro dialoghi.
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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