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La Polaroid: l’eternità a portata di scatto. La macchina del tempo

Un oggetto di culto mai passato di moda

C’è poco da fare: quando un’invenzione si ripresenta a distanza di decenni come oggetto di culto, significa che tale invenzione in qualche modo era necessaria.

O perché colmava un vuoto che in qualche modo era da colmare. O perché rispondeva a un qualche bisogno più o meno inconscio. E non è detto che i bisogni non siano infantili.

Pensiamo per esempio alle mitiche macchine fotografiche Polaroid, in qualche modo le prozie del selfie, che in più fornivano l’impareggiabile godimento di avere una fotografia bell’e pronta in poche decine di secondi. E cosa importa se l’immagine era spesso sfocatissima, e le dimensioni appena più grandi di quelle di un francobollo?

I detentori di una macchina fotografica Polaroid godevano del privilegio di saltare a piè pari tutta l’annosa fase di sviluppo dei negativi, e questa era una distinzione sociale più che sufficiente. Ma andiamo con ordine. Cos’era la Polaroid?

Polaroid Go Still Life

La macchina fotografica Polaroid

Polaroid è il nome dell’azienda statunitense fondata nel 1937, ma chi ci ha mai pensato? È un po’ come Post-it: sarà pure il nome di un marchio depositato, ma per noi i post-it sono e sempre saranno i foglietti di carta semiadesivi che salvano le nostre esistenze dalla confusione più assoluta.

Allo stesso modo, nell’immaginario di noi tutti le Polaroid sono le fotocamere istantanee che permettono di avere tra le mani in un battito di ciglia una fotografia.

La Polaroid ha spopolato soprattutto tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta del secolo scorso. Tra i modelli più mitici ricordiamo la Land Camera 1000, lanciata nel 1977, che impiegava pellicole in bianco e nero o a colori SX-70, e la Supercolor SE 635, icona degli anni Ottanta.

Non è da sottovalutare il fatto, per comprendere l’effetto della Polaroid nella cultura di massa, che alla Land Camera 1000 è apertamente ispirata l’icona di Instagram.

Le Polaroid oggi

Basta fare un giro su Internet per rendersi conto di come il culto delle macchine fotografie Polaroid sia ancora ben vivido.

In commercio esistono fotocamere istantanee analogiche, ibride (con sensori di immagini e stampante interna), con tecnologia Bluetooth, funzionalità smart che collegano la macchina fotografica a un’app, e chi più ne ha più ne metta.

In un articolo dello scorso anno vi abbiamo parlato della Polaroid Go, la più piccola fotocamera istantanea del mondo. Non mancano, poi, le riproduzioni delle Polaroid per collezionisti. Tra cui, ad esempio, una copia della Rainbow White OneStep fatta interamente di mattoncini Lego (che per ora, però, è solo un progetto).

Polaroid must have dell’estate 2022

A giugno dicevamo che le macchine fotografiche istantanee Polaroid sono un must have di quest’estate.

Il motivo? Piccole, non eccessivamente costose e, come pare debba dirsi oggi, iconiche.

Ma in effetti, il fatto che le Polaroid siano intramontabili poggia anche, se non soprattutto, su un altro elemento.

La fotografia istantanea

La tecnologia potrà progredire finché vuole ma, come spiegavamo altrove, ci sono invenzioni che nella sostanza sono immodificabili.

Certo, le fotocamere dei nostri smartphone sono sempre più raffinate e potenti, e poco per volta hanno praticamente fatto piazza pulite delle fotocamere digitali di basso livello.

Ma pensiamoci: l’invenzione dello sviluppo istantaneo delle immagini, uno è e uno resta. E, per quanto negli anni subito successivi all’avvento delle prime Polaroid anche Kodak e altri ci abbiano provato, nell’immaginario di noi tutti è appunto Polaroid che fa rima con fotocamera istantanea.

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Dilettanti allo sbaraglio

C’è di più. I giovani che ignorano le primitive Polaroid, oggi trovano in commercio fotocamere istantanee e piccole stampanti portatili che danno risultati anche tecnicamente apprezzabili. Beati loro.

I più attempati tra noi, invece, riscoprono nel gusto di possedere una Polaroid anche quello dell’improvvisazione e del rischio. Vi ricordate? Noi eravamo non solo gli esecutori di una foto, ma anche gli sviluppatori. Gli attimi dall’uscita della fotografia dalla fessura della macchina alla fine dell’impressione dell’immagine erano vissuti con un’apprensione simile a quella che si ha durante un parto.

Se la foto risultava sfocata o con altri difetti (sovente l’immagine sembrava quella di un fantasma), la colpa era del custode dell’oggetto in quegli istanti fondamentali. Che veniva accusato, a caso, di aver esposto l’immagine alla luce troppo o troppo poco, di averla rovinata sfiorandola col polpastrello o anche solo col pensiero.

Le rare volte che si riconosceva il soggetto dello scatto, i colori erano ipersaturi e le dimensioni da mosaico non permettevano di distinguere il benché minimo particolare.

Ma eravamo diventati dei fotografi a tuttotondo, l’immagine era pronta per essere appiccicata sul nostro frigorifero, e questo ci bastava e avanzava.

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Claudio Bagnasco

Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975 e dal 2013 vive a Tortolì. Ha scritto e pubblicato diversi libri, è co-fondatore e co-curatore del blog letterario Squadernauti. Prepara e corre maratone con grande passione e incrollabile lentezza. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com

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