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Obi-Wan Kenobi: com’è la serie Disney+

Il bicchiere di Obi-Wan Kenobi purtroppo è mezzo vuoto.

Con la distribuzione su Disney+ del sesto e ultimo episodio, si è conclusa la prima (e unica?) stagione di Obi-Wan Kenobi, indubbiamente il progetto più atteso per la galassia di Star Wars dai tempi del bistrattato Star Wars: L’ascesa di Skywalker. Le premesse erano ottime: il ritorno di Ewan McGregor e Hayden Christensen nei panni di due dei personaggi più amati dell’intera saga; la possibilità di esplorare la prima fase di dominio dell’Impero, nonché di approfondire il lungo lasso di tempo che separa la trilogia prequel da quella classica; l’occasione di raccontare l’infanzia di Luke e Leia, ignari della reciproca esistenza ma uniti anche a distanza da quel filo invisibile che si chiama Forza.

Come potete leggere nel nostro approfondimento dedicato ai primi due episodi, ci eravamo approcciati a Obi-Wan Kenobi con il sentimento che tiene vivo Star Wars fin dalla sua nascita, cioè la speranza. Pur consci degli evidenti limiti registici di alcune sequenze (sì, ci riferiamo soprattutto alla fuga della piccola Leia), avevamo apprezzato il tentativo di esplorare questo sconfinato universo rimanendogli al tempo stesso fedele, in un precario equilibrio su un canone che ormai attraversa 45 anni di storia dell’intrattenimento.

Purtroppo, i restanti episodi della serie hanno confermato sia l’affrettato lavoro svolto sulla sceneggiatura, sia la regia poco ispirata di Deborah Chow, che aveva invece convinto negli episodi di The Mandalorian da lei diretti. Nonostante lo sconfinato affetto che ci lega a Star Wars, è difficile non inquadrare Obi-Wan Kenobi come una grande occasione sprecata, nonché come un maldestro stiracchiamento di un soggetto che con ogni probabilità nelle intenzioni della produzione avrebbe dovuto originariamente sfociare in una Star Wars Story cinematografica sulla scia di Rogue One e Solo.

Obi-Wan Kenobi e Anakin Skywalker

Obi-Wan Kenobi

Come ribadito anche in sede di campagna promozionale, il cuore di Obi-Wan Kenobi e la stessa ragion d’essere del progetto risiedono nel nuovo incontro fra l’ex padawan Anakin Skywalker e il suo vecchio maestro, noto ora con il nome di Ben. Li avevamo lasciati duellanti nella lava di Mustafar nel finale di Star Wars: Episodio III – La vendetta dei Sith, climax emotivo e artistico di una trilogia abbastanza sottovalutata, e sappiamo già che li ritroveremo ormai anziani in Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza, con il vecchio maestro destinato a soccombere e a diventare tutt’uno con la Forza per agevolare il cammino di Luke, Leia e Han Solo.

Anche se lo spazio canonico per un nuovo duello è esiguo («Ti stavo aspettando, Obi-Wan. Ci rincontriamo, finalmente. Ora il cerchio è completo. Quando ti ho lasciato non ero che un discepolo, ora sono io il maestro», dice l’ormai dannato Darth Vader nel primo Star Wars), Obi-Wan Kenobi lo attraversa con coraggio e ambizione, facendo incontrare i due più volte (addirittura anche in un sogno di Lord Vader). Per permettere ciò, Deborah Chow e il team di sceneggiatori imbastiscono le stesse dinamiche videoludiche che avevano ben funzionato in The Mandalorian, composte da piccole quest secondarie per fare avanzare la trama, favorite da incontri con i più disparati personaggi.

Mentre nel primo progetto seriale di Star Wars avevamo un meccanismo funzionale all’esplorazione di questo universo narrativo, in Obi-Wan Kenobi il gioco è invece talmente scoperto e ripetuto da diventare ben presto stucchevole, e ci priva inoltre della possibilità di conoscere meglio alcuni interessanti personaggi, come l’Haja Estree di Kumail Nanjiani.

I problemi di regia e scrittura

Questa dinamica abbastanza scolastica si affianca alla manifesta volontà di usare Leia come MacGuffin e Luke esclusivamente come dolce e nostalgico strumento per omaggi e citazioni. Elementi su cui si potrebbe anche chiudere un occhio, se effettivamente servissero alla costruzione di climax emotivi epici e appaganti.

Purtroppo, anche con tutto l’amore che riversiamo continuamente su Star Wars, è difficile non rimanere sconcertati dalla sciatteria e dall’approssimazione con cui viene messo in scena il primo incontro fra Darth Vader e Obi-Wan Kenobi nel terzo episodio: dialoghi totalmente privi di pathos, azioni confusionarie e una fotografia talmente scura da far pensare a un problema dello schermo sono l’accompagnamento a un passaggio che sembra uscito da un telefilm di seconda fascia degli anni ’90, e che non rende giustizia alla lunga e gloriosa storia di questa saga. Il piccolo fuoco che separa i contendenti e l’esitazione di Darth Vader, oggetto di scherno da parte di molti fan, sono davvero gli ultimi problemi di questo sconfortante episodio.

I personaggi secondari non aiutano a entrare in empatia con Obi-Wan Kenobi. Joel Edgerton e Jimmy Smits riprendono con palpabile svogliatezza i loro ruoli di Owen Lars e Bail Organa, e vengono messi ai margini del racconto. Le cose non vanno meglio per l’inquisitrice Reva Sevander di Moses Ingram: l’attrice compie uno sforzo encomiabile per dare slancio e tridimensionalità al suo personaggio, il cui arco narrativo è però fin dal primo momento talmente evidente da vanificare quello che nelle intenzioni della produzione avrebbe dovuto essere un discreto colpo di scena.

Obi-Wan Kenobi, Star Wars e il problema della fretta

All’interno della saga, poche volte ci è capitato di assistere a uno scarto così ampio fra le idee e la loro realizzazione. Nonostante gli svariati cambi di direzioni narrativi e stilistici, anche la tanto vituperata trilogia sequel (che da queste parti non disdegniamo affatto) garantisce un impatto scenico ed emotivo che Obi-Wan Kenobi non riesce a sfiorare neanche nei suoi momenti migliori. Dopo il passo falso di The Book of Boba Fett, estremamente deludente almeno finché non si è trasformata in una terza stagione di The Mandalorian camuffata, è lecito interrogarsi sulla creatività e sul forsennato ritmo delle serie Disney+ dedicate a Star Wars: la sensazione è che la stessa fretta che aveva penalizzato la già citata trilogia sequel stia affossando le ambizioni televisive della galassia lontana lontana.

A riprova di ciò, è evidente il salto di qualità che Obi-Wan Kenobi compie quando si aggrappa ai temi caratteristici della saga e soprattutto ai rapporti umani. Dopo un paio di episodi quasi del tutto riempitivi, il finale di stagione (e forse di serie) ci regala qualche emozione in più e soprattutto un altro duello fra Obi-Wan Kenobi e Darth Vader. I due non mancano di risparmiarsi e sottovalutarsi nuovamente a vicenda, e scavano finalmente in profondità nei loro sentimenti, riallacciandosi allo struggente finale di Star Wars: Episodio III – La vendetta dei Sith. Ewan McGregor ha così l’occasione per mostrare le sue doti espressive e per imprimere all’arco evolutivo del suo personaggio una convincente svolta.

“Anakin Skywalker non c’è più. Io sono ciò che rimane”

Obi-Wan Kenobi Darth Vader elmo

Abbiamo ritrovato un Obi-Wan Kenobi contratto, quasi bloccato fra un passato estremamente doloroso e un presente incerto e apparentemente privo di scopo. Paradossalmente, è proprio il fu Anakin Skywalker a dare al suo vecchio maestro la spinta decisiva per risolversi e fare definitivamente pace con ciò che è stato. Rivedere il volto dell’amico che affiora dall’iconico elmo di Darth Vader squarciato, sentendo dalla sua traballante voce un’arrogante e allo stesso tempo assolutoria rivendicazione del suo passaggio al Lato Oscuro, permette a Obi-Wan di dire definitivamente addio al suo ex allievo, e ci regala il momento più emozionante della serie, nonché una delle poche immagini che ricorderemo ancora fra qualche anno.

Il maestro Jedi è così libero di procedere a passi spediti verso la figura di vecchio saggio che abbiamo incontrato in Star Wars e di trasformarsi finalmente nel mentore silenzioso ma attento che veglia su Luke e Leia. Un abbraccio sincero, un dono prezioso e qualche gradevole strizzata d’occhio ci permettono di accettare qualche stiracchiatura al canone di troppo e di goderci anche un cameo abbastanza prevedibile. La carezza finale di una serie che appare però già invecchiata, e troppo lontana dai capitoli cinematografici in termini di solidità narrativa, cura dei dettagli e coinvolgimento emotivo.

La galassia lontana lontana ha ancora tante storie da raccontare e diversi personaggi da farci conoscere. Il tempo del team tecnico e creativo è invece limitato, e va gestito con maggiore attenzione e passione nei confronti di una saga così gloriosa e amata, condannata a non poter mai scendere sotto la soglia dell’eccellenza.

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Marco Paiano

Tutto quello che ho imparato nella vita l'ho imparato da Star Wars, Monkey Island e Il grande Lebowski. Lo metto in pratica su Tech Princess.

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