Gli esempi di mode linguistiche da poter portare all’attenzione di voi lettori sono innumerevoli. Negli ultimi anni ha per esempio fatto parlar di sé, senza tuttavia essersi saputo affermare, l’agghiacciante aggettivo petaloso.
Oppure si pensi all’uso distorto della locuzione piuttosto che, adoperata con valore disgiuntivo. Ancora oggi (ma sempre meno, per fortuna) si sentono frasi come: “Stasera potremmo andare al cinema piuttosto che al pub”, dove quel piuttosto dovrebbe essere inteso come sinonimo di oppure. Errore da penna rossa: piuttosto che ha unicamente valore avversativo, e significa anziché.
Facendo un balzo indietro nel tempo, un intercalare che ha accompagnato più di una generazione, diciamo a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta del secolo scorso, è stato il mitico “Cioè”.
Una serie di parole e locuzioni dei primi anni Settanta del Novecento, spesso inventate (con grande arguzia) dai ragazzi per istituire una sorta di argot incomprensibile agli adulti, è stata raccolta in un libro di culto, ancora reperibile online o sulle bancarelle. Parliamo de “Il mercabul. Il controlinguaggio dei giovani”, uscito in prima edizione nel 1974.
E oggi?
Parlare in corsivo
Oggi pare che i giovani si prendano in giro da soli. Nel senso che su TikTok è esploso il parlare in corsivo, una moda linguistica che – più che intervenire sulla semantica o sulla sintassi – storpia la cadenza delle singole parole.
Ma cos’è, e come funziona, questo parlare in corsivo?
Parlare in corsivo: le origini
Pare che (almeno in Italia) tutto sia nato da una puntata del reality show della Rai Il collegio. La puntata incriminata, per la precisione, sembra essere la quinta. O, ancor meglio, una scena specifica: una piccola isteria collettiva degli studenti, diffusa in rete col nome de “I biscotti della discordia”.
Ma, ad ascoltare poi il parlare in corsivo su TikTok, bisogna ammettere che le affinità linguistiche e foniche tra la moda in questione e lo spezzone del reality non siano poi così lampanti.
Cos’è, dunque, questo parlare in corsivo?
Parlare in corsivo: cos’è
Su TikTok fioccano addirittura i tutorial in cui si insegna a parlare in corsivo.
Si tratta sostanzialmente di una cantilena, per mezzo della quale si allungano le vocali finali (e non solo) delle parole. E qui e là si aggiungono ulteriori vocali a formare dittonghi in realtà inesistenti, per dare un senso di svagatezza sussiegosa alla dizione.
Dovrebbe essere una presa in giro della parlata un po’ risaputa (e sonnecchiosa) che si adopera a Milano. Specie quella adottata da certi influencer di quei dintorni geografici.
Il boom
Partendo da qui, e anche grazie all’opera di divulgazione da parte della tiktoker marchigiana Giulia Caselli e di altri suoi omologhi, il parlare in corsivo è diventato virale.
E così oggi su TikTok, il social più in forma da qualche tempo a questa parte, si contano oltre 24 milioni di visualizzazioni con l’hashtag #corsivo. E nell’arcinoto podcast condotto da Fedez e Luis Sal, Muschio Selvaggio, si è anche dissertato del cantare in corsivo.
Perché si chiama così
Il corsivo, si sa, è quella scrittura i cui caratteri sono lievemente inclinati verso destra.
Dunque, con un’associazione che ci pare un po’ approssimativa, il parlare in corsivo richiamerebbe l’idea che le lettere inclinate è come se si allungassero (ma ne siamo proprio sicuri? Mah).
D’altronde è stato reperito il capostipite di questa moda, che risale addirittura al 2009. Si tratta di un tweet del comico statunitense @TRACKDROPPA, che in un cinguettio ha scritto: “Voice so smooth its like I’m singing in cursive.” Traducibile in: “Voce così liscia che è come se stessi cantando in corsivo”.
- Miller, Jason (Autore)
I limiti del parlare in corsivo
Si legge un po’ dappertutto che questo parlare in corsivo dovrebbe essere divertente.
Sarà. Ma non possiamo fare a meno di notare il suo carattere superficiale. Ogni autentica moda linguistica, compresi i sottolinguaggi della cultura giovanile, nasce – lo abbiamo già detto – come codice, con il quale un determinato gruppo comunica all’insaputa di altri. Spesso, anzi, con quel medesimo codice linguistico si inventano vocaboli o giri sintattici che prendono in giro proprio la categoria da cui ci si tutela.
Il linguaggio giovanile, ad esempio, ha sempre preso di mira il mondo (e i vizi linguistici) degli adulti.
Ci pare invece che il parlare in corsivo non poggi su alcuna regola o intuizione ben codificata, né porti alcuna critica corrosiva. E si limiti a essere la spia linguistica di un mondo bizzarro e ovattato, quello degli influencer di Milano e dintorni.
O siamo noi che, per restare in tema, siamo diventati dei matusa.
Ultimo aggiornamento 2024-10-06 / Link di affiliazione / Immagini da Amazon Product Advertising API
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